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Among the Righteous

di Robert Satloff documentario PBS tratto dal libro "Tra i Giusti" sugli arabi nordafricani che salvarono gli ebrei, in inglese, 2010


Among the Righteous si apre con Robert Satloff in visita a Yad Vashem. Lo storico ebreo americano, che si è trasferito per quattro anni con la famiglia a Rabat per cercare un Giusto nel mondo arabo, spiega che esistono le prove dell’uccisione di ebrei nordafricani nelle camere a gas, ma a Gerusalemme non si ricordano ancora arabi che abbiano salvato israeliti.
Eppure il suo documentario mostra chiaramente, a partire dalla storia della famiglia Scemla, i cui discendenti vivono oggi in Francia, che da Tunisi si poteva finire a Dachau. I nazisti avevano infatti occupato la Tunisia, imponendo le leggi razziali e il resto del loro sistema di terrore. Il documentario di Satloff mostra che di campi di concentramento nel Maghreb si parla perfino nel famosissimo film Casablanca con Humphrey Bogart.
Il film tratto dal libro Tra i Giusti è molto suggestivo. Il bianco dei muri a secco, il rosso della terra nordafricana e i colori intensi del Viale dei Giusti di Yad Vashem rimangono nella memoria dello spettatore. Un altro aspetto che colpisce profondamente è la semplicità con cui Satloff si pone rispetto ai suoi interlocutori, parlando perfettamente arabo o francese a seconda di chi ha di fronte.
Più importante di tutto però è il suo impegno a raccogliere testimonianze. Il film può essere letto anche in una chiave di contrasti: tra il Nuovo Mondo e l’Europa che ha prodotto la Shoah, tra la ricchezza dell’architettura marocchina e la modestia delle abitazioni di alcuni sopravvissuti, tra l’ebreo e l’arabo che non può ancora ricordare di averlo salvato dal genocidio, ma è costretto a raccontare a vicini e amici di aver soccorso un soldato tedesco in fuga.
Robert Satloff ha un’unica speranza nell’intraprendere questo percorso: che si possa arrivare a una pace tra mondo arabo e mondo ebraico, oltre che Occidente in generale, una volta che gli arabi diventino consapevoli di quanto hanno patito gli ebrei in una situazione di totale asimmetria attraverso la conoscenza, e la commemorazione anche ufficiale da parte di Yad Vashem, degli uomini e delle donne dei Paesi arabi che davanti a quella tragedia non solo hanno tenuto gli occhi aperti individuando la parte oppressa, ma hanno anche agito portando aiuto ai perseguitati.
La storia più importante del documentario è quella del tunisino Khaled Abdul Wahab, un bell’uomo dell’aristocrazia araba che nella città di Mahdia faceva da intermediario tra i nazisti e la popolazione locale. Al pari degli invasori – che, come ricorda il film, godettero di collaborazione fattiva da parte degli ex colonizzatori francesi – Abdul Wahab era un bon vivant e frequentava perfino i bordelli. Tuttavia, come ricorda anche Gabriele Nissim ne La Bontà Insensata, quando apprese che un ufficiale tedesco intendeva violentare e far prostituire una signora ebrea, Odette Boukry, non esitò a offrire un rifugio sicuro a lei e al gruppo con il quale era provvisoriamente nascosta. Li ospitò nella sua fattoria, un luogo dove Satloff ci porta assieme ad Annie Boukry, la figlia della scampata e sopravvissuta a sua volta, e a Faiza Abdul Wahab. Nella commozione della figlia del Giusto arabo il film tocca un climax di emozioni.  Lo spettatore vede Faiza sia all’interno della proprietà paterna, sia in una delle più importanti sinagoghe di New York, a stendere una mano verso gli ebrei, soprattutto americani, traumatizzati dopo l’11 settembre che ha animato tutta la riflessione di Satloff. In questo gesto di amicizia ci si può appieno rispecchiare, auspicando che anche Yad Vashem riesca a superare una posizione di chiusura nei confronti del mondo arabo che, sia pure comprensibile in presenza di un conflitto lacerante come quello mediorientale che oggi rischia di allargarsi a macchia d’olio, ha avuto i suoi Giusti proprio come l’Europa. 

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