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A casa nostra. Cronaca da Riace

di Lelio Bonaccorso, Marco Rizzo Feltrinelli Comics, 2019

Cosa succede ai migranti dopo la “salvezza” che era stata al centro del precedente libro di Marco Rizzo e Lelio Bonaccorso? I due autori partono da questo quesito per indagare il sistema dell’accoglienza in tre luoghi simbolici: Riace, San Ferdinando e Gioiosa Ionica.

Dalle tavole di A casa nostra emergono ancora una volta storie, volti, esseri umani. E la complessità di un sistema in cui non solo i migranti, ma anche gli operatori e gli amministratori pubblici, si trovano in bilico tra burocrazia, decreti, caporalato, assistenza e protezione.

Se in Salvezza il colore prevalente era l’arancione dei giubbotti di salvataggio dell’Aquarius, in questo nuovo volume a farla da padrone è l’assenza di colore, a segnare una divisione netta tra il momento del soccorso e ciò che accade ora.

Con la stessa forza che aveva caratterizzato la graphic novel sui salvataggi in mare, Rizzo e Bonaccorso osservano di persona i luoghi e le vicende, per poi consegnarle, al graphic journalism.

Ecco quindi che le parole di chi è considerato quasi un numero dalla burocrazia restituiscono voce, dignità, identità ai tanti che fuggono da fame e violenze.

Le storie, tradotte in immagini, sono uno strumento per trasmettere conoscenza e consapevolezza, ma anche per riconoscere il coraggio di chi, nonostante dolore e sofferenze, ha avuto la forza di raccontare, di prestarsi all’opinione pubblica.

Questo è ancora più vero per gli abitanti di San Ferdinando, la baraccopoli tristemente nota per le condizioni di vita precarie e per le tante persone che qui sono morte. Come Soumaila Sacko, il 30enne del Mali ucciso mentre cercava delle lamiere per costruire un riparo nella tendopoli. Soumaila era un attivista sindacale della Usb in prima fila contro i caporali e lo sfruttamento dei braccianti agricoli, quasi tutti migranti, senza diritti e senza una casa, impiegati nella Piana di Gioia Tauro e costretti nei rifugi fatiscenti di San Ferdinando.

A San Ferdinando vivono 2mila, 3mila persone, che vanno e vengono a seconda delle stagioni di raccolta. Accanto alla baraccopoli ne sorge un’altra, con tende blu, fornite dal Ministero dell’interno. Ogni volta che San Ferdinando viene evacuata e distrutta dalle forze dell’ordine, i migranti si spostano nella tendopoli “ufficiale”, per poi riorganizzarsi abusivamente quando vengono spente le telecamere.

Nella cronaca del volume non possono mancare Riace e Mimmo Lucano. Nell’intervista con l’ex sindaco - ritratto nell’appartamento di Caulonia, dove viveva prima della revoca del divieto di dimora a Riace - viene ricostruito il modello di accoglienza che ha reso famosa la cittadina.

“Ho sempre pensato che Riace non fosse un modello, ma che rappresentasse un’utopia, il desiderio di una società diversa” racconta Lucano, con la consapevolezza di essere partito da un contesto di spopolamento, segnato dalle famiglie mafiose e dalla rassegnazione sociale, abbandonato dai giovani, che cercavano altrove opportunità per il loro futuro.
È un uomo semplice Lucano, che non ha “studiato né per fare il sindaco né per fare l’esperto di migrazioni”, ma che, sostiene, ha “cercato di ricostruire una comunità, di far rivivere l'identità dei luoghi e la dimensione umana per tornare a sperare in un futuro possibile”. A casa nostra fa rivivere tutte le tappe del “modello Riace”: la sua creazione, l’arrivo di chi “fiutava il business dell’accoglienza”, i processi, l’allontanamento dei migranti, l’abbandono.

Ed è proprio questa sensazione, di abbandono, che colpisce in questa analisi del sistema di accoglienza. Un sentimento, come lo spritz di una delle tavole, “amaro”.

Martina Landi, Responsabile del coordinamento Gariwo

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