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40 cappotti e un bottone

di Ivan Sciapeconi Edizione Piemme, 2022

“Ho conosciuto molti bambini in fuga. Bambini arrivati con i barconi o rifugiati in case famiglia. Quando ho incontrato per la prima volta le vicende di Villa Emma, ho pensato che ogni ragazzo, ogni ragazza in fuga meriti un paese come Nonantola, una guida come Josko”

Così dice nella postfazione al romanzo l’autore Ivan Sciapeconi, maestro di scuola primaria a Modena, autore di libri di narrativa per bambini. Senza immaginare, quando l’opera è uscita il 18 gennaio 2022, che di lì a un mese avremmo visto migliaia di bambini profughi arrivare dall’Ucraina anche nel nostro Paese o vagare soli , per le strade della Polonia , come quel bambino che piangendo si trascina poche cose nel via vai concitato della fuga.

Il romanzo narra la vicenda dei ragazzi di Villa Emma, una quarantina di giovani ebrei che nell’estate 1942 arrivano a Nonantola. Sono scappati dalla Germania nazista grazie all’organizzazione di Recha Freier e cercano di arrivare con i loro accompagnatori in Palestina. A Nonantola sono accolti, accuditi, accompagnati da un paese intero : un mondo nuovo che sembra lontano dalla guerra e dalla violenza delle camicie brune. Natan, protagonista narrante di quei giorni che riassume in sé tante caratteristiche dei ragazzi veri che hanno vissuto a Villa Emma, può affrontare le sue paure, i suoi sospetti, la ferita della lontananza dalla sua famiglia ( padre, madre, fratello e zio ).

Dopo l’8 settembre però bisogna organizzare una nuova fuga: don Arrigo Beccari, il dottor Giuseppe Moreali, Josko (Josef Indig Ithai), Goffredo Pacifici della DELASEM e tutto il paese preparano la fuga dei ragazzi. Ben in vista sul treno che li porterà in Svizzera, vestiti come ragazzi di un istituto in gita con 40 cappotti uguali cuciti a tempi di record dalla sarte del paese. “ I loro nomi non saranno dimenticati”.

Questa storia parla di noi e dei tempi bui che stiamo attraversando: le immagini televisive non lasciano scampo alla nostra incredulità. Natan, il protagonista, è la voce delle migliaia di bambini e ragazzi che fuggono dalle bombe, dalla guerra, lontani dalle loro famiglie.

Come ci si salva? Prima di tutto con l’accoglienza. Di ognuno, di tanti.

Natan si chiede perché la gente di Nonantola rischia per loro. Don Arrigo risponde: “ Non è questa la domanda giusta. Non è perché. La domanda vera è : quando”. Se qualcuno, prosegue don Arrigo, bussa alla tua porta quando fuori piove, non ha altro riparo e ti spiega perché si trova in quella situazione, potresti non fidarti dello sconosciuto . “Poi, pian piano, devi decidere, perché la sua storia potrebbe essere la tua…Non c’è motivo che non lo sia in futuro…L’unica differenza tra te e lui è il caso….E poi, se non ti avesse racontato la sua storia , chissà, forse sarebbe stato più facile…ma ora lo sai…E devi decidere. Gli abitanti di Nonantola, come noi oggi, hanno scelto perché “ci siamo conosciuti…quando? Quando si smette di essere sconosciuti? Dopo una passeggiata? Dopo una partita a carte? Dopo una risata?” .

Dopo anni di colpevole e deliberata indifferenza verso migliaia di migranti che sfuggivano da guerre che durano da tempo, finalmente abbiamo aperto gli occhi : il “quando” è scattato per un pericolo che empaticamente ci unisce e che può polverizzare vite così simili alle nostre. La solidarietà e l’accoglienza lasciano impronte per cammini futuri.

Per i ragazzi di Nonantola l’altra salvezza, quella interiore, quella che guarda al futuro e si impegna perché sia migliore, è passata da Josko e dai tanti maestri ed educatori che li hanno incontrati.

Natan ha uno zio , Hermann, studioso e pio. Insegna al nipote che il suo maestro, di fronte alla sciagura, andava nella foresta, accendeva un fuoco, recitava una preghiera e il miracolo si compiva : la sciagura non si abbatteva. Dopo di lui , il suo discepolo pregava Dio dicendo che, pur non sapendo accendere il fuoco, sapeva comunque recitare la preghiera e il miracolo si compiva. Dopo di lui , il discepolo che non sapeva né accendere il fuoco e nemmeno recitare la preghiera, sapeva almeno rintracciare il luogo: bastava per ripetere il miracolo. Fino all’ultimo dei saggi che , seduto sulla poltrona e con la testa tra le mani, ammetteva di non saper né accendere fuoco, recitare la preghiera, ritrovare il luogo ma “Tutto quello che so fare è raccontare questa storia. Io spero che basti. E bastava…”

Rosi, una ragazza del gruppo, riceve un giorno dalla zia un biglietto: “Ti informo che la tua cara madre è morta”. Natan sa che tagli così , nessun chirurgo riesce a ricucirli perché “fanno evaporare l’umanità…” .La pazzia è forse “l’umanità che si disperde nelle ferite”. Josko, il maestro, ha preso in mano la situazione, ha tenuto Rosi al suo fianco per giorni e le ha detto: “Leggerò io la tua posta. Ti racconterò le buone e le cattive notizie, ma con le parole giuste. Le troverò. Ti dirò tutta la verità ma con le parole che ogni verità merita”. E propone all’assemblea dei ragazzi di fare lo stesso anche con la loro posta, perché la fiducia fa restare umani.

Raccontare storie di giusti nell’orrore dei molti volti del male , permette di trovare le parole giuste per parlare della responsabilità e della libertà, per guardare la realtà salvando la fiducia e la speranza di poter rimanere umani.

E’ l’unica certezza di futuro per abolire la guerra, icona di ogni violenza e sopruso (anche quella delle parole e delle immagini) “prima che sia lei a cancellare l’uomo dalla storia” (papa Francesco).

Come affermava Hannah Arendt: “Anche nei tempi più bui abbiamo il diritto di attenderci una qualche illuminazione che potrebbe giungere non tanto da teorie e nozioni astratte quanto dalla incerta , tremolante e spesso flebile luce che alcune donne e uomini, nella loro vita e con il loro operato, accenderanno pressoché in qualsiasi circostanza e diffonderanno durante il tempo che è stato loro concesso in terra”.

Josko dice: “Fare l’insegnante è il più eroico dei mestieri oppure il più vile”. Fare l’insegnante è ingranaggio o granello di sabbia che fa saltare gli ingranaggi” . Con Josko, Natan trova il coraggio di raccontare la sua storia familiare e di accettare la morte dei suoi cari.

E’ consapevole che ha un potere, quello di decidere che cosa fare del suo tempo, della sua vita, della sua identità. “Il tempo più prezioso è quello sottratto alla morte e al dolore. Questa sarà la mia vendetta. La mia vittoria sarà il modo in cui cancellerò, giorno per giorno, questo dolore inutile. Niente guerra per me, né bandiere, nessun <>. Nessun muro”.

Ammutoliti e angosciati di fronte alle quotidiane immagini di morte, come adulti e soprattutto come educatori , possiamo sperare che raccontare storie di impegno per il Bene e la Vita basti per compiere il miracolo.

“E bastava…!”

Arianna Tegani, Commissione educazione Gariwo

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