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La bambina di sabbia

di Halima Bashir con Damien Lewis Sperling & Kupfer, 2011

Il libro “La Bambina di Sabbia” scritto da Halima Bashir con la collaborazione del giornalista Damien Lewis ed edito nel 2011 da Sperling & Kupfer è qualcosa di più di una testimonianza di guerra: è anche la storia di come la protagonista, da bambina nata nella regione poverissima del Darfur, costretta alla pratica dell’infibulazione a soli 8 anni e a una vita faticosa in un Paese in guerra, realizza la missione insita nel proprio nome (Halima è il nome di una donna che ha guarito il padre prima che lei nascesse) e si realizza come medico e come donna capace di portare balsamo sulle ferite del mondo sempre più violento nel quale viviamo. Una donna premiata con il Premio Politkovskaya e che il prossimo 6 marzo pianterà un albero con Gariwo, alla presenza delle autorità, degli studenti e dei cittadini, nel Giardino dei Giusti di Milano.

Il libro inizia con Halima a Londra che culla il suo bambino, un bimbo che forse non avrebbe potuto avere per le conseguenze delle mutilazioni subite da bambina e soprattutto dello stupro che le hanno inflitto i miliziani janjaweed per punirla delle sue denunce sui crimini contro le donne e le bambine.

Ma andiamo con ordine. Prima di tutto Halima ci parla della sua regione, devastata dai conflitti ma anche terra amata, nonostante tutte le avversità. “Darfur. So che a voi suona come una parola intrisa di sangue e sofferenza. Un nome che evoca le terribili immagini di un orrore oscuro e di un male senza fine. Dolore e crudeltà a un livello tale da essere per lo più inconcepibile agli occhi del mondo civilizzato. Per me, invece, Darfur ha un significato completamente diverso: era ed è tuttora quell’insostituibile, incommensurabile gioia che si chiama ‘casa’”.

Halima nasce nella tribù zaghawa, “un fiero popolo guerriero di africani neri, i più generosi e ospitali nei confronti degli stranieri”. Cresce in una famiglia che la ama molto, anche se è vittima di arcaiche tradizioni e la fa infibulare. In ogni caso il padre vuole che lei studi. Per lei sono anni di formazione molto duri. Nel Paese, una regione del Sudan, ci sono enormi disparità tra gli arabi dominanti e i neri spesso emarginati o schiavizzati. Questo si riflette anche nei rapporti tra gli studenti e tra loro i professori. Le distanze da casa a scuola sono lunghe. Molti lavori sono ancora faticosi, fatti alla vecchia maniera. Incombe sul Darfur lo spettro della carestia – che c’è stata più volte – e dagli anni 2000 anche della guerra, una guerra che all’inizio suo padre saluta con sollievo, perché la vede come una ribellione doverosa dei neri contro gli arabi. Halima stessa cresce desiderando, sì, la pace, ma convinta che “se non ci ribelliamo, veniamo schiacciati”. Eliminati. Annientati perché “cani negri”. Quando lei, con grande coraggio, osa parlare con i giornalisti di quello che vede al pronto soccorso dove trova impiego appena laureata – corpi straziati di gente che spesso nega che la causa delle ferite sia la guerra, cadaveri tutti inesorabilmente del suo popolo, e soprattutto bambine innocenti stuprate – viene portata via da alcuni uomini in divisa che prima dichiarano di volerla interrogare e poi la violentano per giorni, dicendole proprio: “Cagna negra, sai che cos’è lo stupro?”. Il suo volto è una maschera d’odio: occhi vicinissimi ai miei, pestilenziale alito di soldato. “Credi di sapere che cos’è perché sei un medico? Pensi di poter parlare di stupro perché sei un medico? Ma tu non sai niente. Noi sì che siamo esperti in materia…”. Oggi Halima è rifugiata politica in Inghilterra con la famiglia.

È un bel libro, ricco di personaggi – l’energica nonna di Halima, le sue compagne di scuola, il suo superiore al pronto soccorso che offre assistenza a gente di tutti i colori e le etnie pur essendo arabo come gli oppressori, l’arguto padre, le pazienti prima della guerra che vanno a farsi visitare anche se non hanno nulla e così via… Ricco di passione civile, visto che denuncia il terrorismo islamista, la guerra, gli stupri contro le donne e le bambine, le pratiche arcaiche e violente contro il corpo di queste ultime e così via. E suddiviso in capitoli molto ben delineati, ad esempio “La facoltà di Medicina”, “Voci di guerra”, “La dottoressa dei ribelli”, “Fuga dal Darfur”, ognuno per raccontare una fase della sua avventurosa esistenza sul filo della speranza, oltre l’odio. Grazie alle cure di uno staff editoriale attento, che Halima ringrazia all’inizio del libro, e alla sapienza giornalistica di Damien Lewis, ne emerge un’opera di un certo valore letterario oltre che documentale. E con il pregio di ricordarci il valore e la capacità di rinascere come una fenice di ogni essere umano, anche quello più disprezzato ed emarginato.

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