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Chico Mendes, difensore dell'Amazzonia

di Davide Morosinotto Einaudi Ragazzi, 2020

Questo è un libro che finisce male, il 22 dicembre del 1988, a Xapuri: un piccolo villaggio del Brasile proprio in mezzo alla foresta amazzonica.
Visto dall’alto è solo una manciata di capanne nate dove un fiume con lo stesso nome, lo Xapuri, si fonde con un altro molto piú grande: l’Acre. È un posto sperduto, difficile da raggiungere e da cui è difficile scappare. Proprio per questo, è un posto dove la legge non arriva. E la parola «giustizia» perde di significato.
Questo è un libro che finisce male il 22 dicembre del 1988. Ma comincia un po’ di tempo prima.
Con una famiglia.
E un trasloco nella foresta.

La famiglia è quella del piccolo Zuza, primo protagonista di questo racconto. Insieme al padre, è un raccoglitore di gomma: una pianta, regina dell’Amazzonia, che ha la particolarità di non poter essere coltivata. Cresce spontaneamente nella giungla, nascosta tra la vegetazione, e i raccoglitori ogni giorno devono seguire le estradas più volte al giorno per praticare piccoli tagli alle piante e raccogliere il prezioso lattice.

C’è poi un altro protagonista di questa storia, un uomo “sulla quarantina d’anni, vestito con pantaloni troppo larghi e una camicia troppo corta, sandali di gomma, un fucile di traverso sulla schiena. Aveva una faccia tonda e cordiale, con gli occhi grandi e lunghi baffi neri”. Si tratta di Francisco, Chico, Mendes. Nato in una famiglia molto povera, raccoglitore di caucciù, era diventato sindacalista per difendere i diritti della sua gente e della foresta.

C’è infine un terzo, grande, protagonista tra le pagine: la foresta Amazzonica. Un posto “importante perché gli alberi producono ossigeno, quindi ci permettono di respirare. Fabbricano aria. Permettono agli uomini di vivere”. La foresta è il grande scenario in cui tutto ruota: le lunghe giornate dei seringueiros, le minacce dei padroni delle terre che vogliono eliminare gli alberi per far spazio a più redditizi pascoli e campi coltivati, le lotte sindacali, il legame delle popolazioni con la propria terra, la conoscenza dell’equilibrio delicato che nella foresta esiste. “I noci avevano bisogno della foresta per vivere - Ricorda a un tratto il piccolo Zuza. - Se si tagliavano le piante intorno, le api non riuscivano a impollinare e l’albero smetteva di fare frutti”.

La foresta è la grande madre da proteggere, “insieme alle persone che ci abitano. Cioè noi. È questo che fa Chico. Protegge la foresta. È il nostro difensore”. Chico Mendes è stato infatti tra i primi a considerare l’Amazzonia come un tesoro da tutelare, piuttosto che un territorio da sfruttare.

Come avvisano le prime righe del libro, tuttavia, questa non è una storia a lieto fine. Il 22 dicembre del 1988 Chico torna a casa per cenare con la famiglia, e viene ucciso da un colpo di pistola proprio dai latifondisti che aveva denunciato.

Il suo assassinio scatena la prima grande polemica a livello mondiale riguardo la mancata giustizia nei confronti dei “difensori dell’ambiente” perseguitati e uccisi. Un tema oggi centrale in molti Paesi della terra.

Come ricordano le ultime righe, oggi il seringal Cachoeira è una riserva estrattiva protetta dalla legge e intitolata a Chico Mendes. L’Amazzonia, invece, continua a bruciare. E i “defenders”, difensori del nostro pianeta, continuano a rischiare la vita, nel silenzio della comunità internazionale.

Martina Landi, Responsabile del coordinamento Gariwo

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