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L’amico armeno

di Andreï Makine La nave di Teseo, 2022

La prima cosa che mi ha colpito, prendendo in mano il libro di Andreï Makine “L’amico armeno” (edito da La nave di Teseo e magistralmente tradotto da Fabrizio Ascari), è la foto dell’autore sul risvolto di copertina. Un viso duro, che sembra scolpito nella pietra, le labbra senza sorriso, la mascella squadrata e uno sguardo azzurro dritto, limpido, che ha dentro tutta la sofferenza del mondo, ma di chi dalla sofferenza non si è lasciato sconfiggere. Ho pensato che mi piacerebbe incontrarlo e che quella maschera deve nascondere una grande ricchezza interiore. Non ho trovato molte informazioni biografiche in rete, salvo che è nato in Siberia, è stato allevato da una nonna francese, e a trent’anni ha chiesto asilo politico in Francia, vivendo di espedienti e umiliazioni fino al folgorante successo letterario, con il libro d’esordio “Il testamento francese” che ha vinto il premio Goncourt e il Premio Médicis (unico romanzo nella storia della letteratura francese ad essersi aggiudicato contemporaneamente entrambi questi prestigiosi riconoscimenti). Come molti scrittori che adottano una lingua letteraria diversa dalla propria - penso a Conrad, Nabokov, Agota Kristof o anche il nostro Antonio Tabucchi - Makine ha una straordinaria intensità espressiva, ogni parola è soppesata, meditata, rivoltata, e più che un romanzo il suo libro mi ha fatto pensare a un poema in prosa, carico di emozioni, di dolore inespresso, di dignità, ma anche di bellezza e di amore trattenuto. Un libro verticale, che scende fino al cuore e alle viscere.

La storia è minima. Una piccola comunità armena che si è temporaneamente trasferita ai margini di un villaggio siberiano, in attesa del processo politico per alcuni parenti in detenzione preventiva con l’accusa di essere sovversivi. La miseria e la dignità, le modeste vestigia di un passato di benessere a poco a poco svendute, l’orgoglio e la bellezza delle donne, la saggezza silenziosa dei vecchi, la scoperta dell’amore e della morte da parte del giovane protagonista, io narrante di questa vicenda minima. Un adolescente ribelle, duro, che si incontra con un coetaneo dolce, sofferente, malato, quasi femmineo nei gradi occhi neri dalle lunghe ciglia. Per il protagonista, l’orfanotrofio, le risse, la solitudine. Per il suo amico armeno il calore di una famiglia, di una casa poverissima che però gli sembra un regno, il “regno d’Armenia”, la solidarietà di un popolo che ha conosciuto persecuzioni, genocidi, esilio, ma che mantiene viva la propria identità culturale e le proprie tradizioni.

Un libro fatto di silenzi, di attesa, di atmosfere rarefatte, di non-detto. Ma proprio come il viso del suo autore, suggerisce una profondità di vissuti, di sentimenti, di esperienze che le scarne parole trasmettono magistralmente ai lettori.

Viviana Kasam, giornalista e presidente Brain Circle Italia

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