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Red Mirror. Il nostro futuro si scrive in Cina

di Simone Pieranni Editori Laterza, 2020

Dire che il nostro futuro si scrive in Cina, nel bel mezzo di una pandemia mondiale nata lo scorso dicembre a Wuhan, può sembrare una banalità. Eppure le interconnessioni tra quello che succede a Shangai, Pechino e – soprattutto - a Shenzen e ciò che a breve potrebbe accadere da noi vanno ben oltre il virus. Capire in che modo il Partito comunista e le grandi multinazionali cinesi attraverso la tecnologia hanno rivoluzionato il modo di vivere la comunità è fondamentale per comprendere dove stiamo andando noi e quanta libertà siamo disposti a barattare pur di essere serviti meglio dai nostri device.

Simone Pieranni chiama il suo saggio (uscito ad aprile 2020) “Red Mirror”, con un riferimento per niente velato alla celebre serie distopica britannica Black Mirror, in cui vengono tracciate le sfide del mettere la tecnologia al centro di ogni aspetto dell’esistenza e le sue conseguenze nella vita di tutti i giorni.

La differenza sostanziale tra lo “specchio nero” della serie scritta da Charlie Brooker e quello rosso tratteggiato da Pieranni è che quest’ultimo è già realtà.

Da “fabbrica del mondo” la Cina si è trasformata nel centro mondiale dell’innovazione. Da anni la dirigenza del Partito ha cominciato a pianificare il futuro del paese a tramite il finanziamento di progetti sperimentali sorretti da una mobilitazione di massa fortissima, come del resto la pandemia sta rendendo visibile a tutti. Allo stesso tempo la concorrenza internazionale si è indebolita, basta guardare i numeri sempre più bassi degli investimenti in ricerca e istruzione fatti dagli Stati Uniti dai tempi di Reagan a oggi.

Ma dietro questo mondo nuovo fondato su intelligenza artificiale, smart city, riconoscimento facciale e tecnologie green si annidano grandi questioni legate alle libertà individuali che sono difficilissime da districare e le cui implicazioni superano ampiamente i confini cinesi. Così, sebbene appaino strumentali e “disperati” gli attacchi di Trump, le questioni etiche e filosofiche emerse dalla gestione della nuova leadership tecnologica mondiale di stampo cinese meritano approfondimento e attenzione particolare.

Il libro inizia raccontando la storia di WeChat, una “super app” usata dalla quasi totalità dei cittadini cinesi. Con WeChat si possono pagare le bollette, recensire un film, sbrogliare tutte le questioni burocratiche e prenotare un taxi. Non è un caso che Mark Zuckerberg guardi con attenzione e ammirazione allo sviluppo di quest’app e che aspiri a trasformare Facebook a qualcosa di simile. Se i dati costituiscono il petrolio del Nuovo Millennio, We Chat possiede un giacimento inestimabile. “In un mondo che appare procedere sempre più verso un nuovo bipolarismo”, scrive Pieranni, “Cina e Stati Uniti saranno i paesi che si contenderanno la sfida tecnologica e i nostri dati, influenzando il resto del pianeta”.

WeChat e le altre grandi aziende tecnologiche cinesi hanno goduto della censura del Pcc verso le big companies statunitensi che “rischiavano di inquinare lo spirito socialista dei cinesi”; hanno fatto molti soldi e in cambio, per semplificare estremamente la faccenda, hanno ceduto i dati degli utenti al partito.

La domanda da farsi, alla quale Pieranni prova a rispondere con convincenti argomentazioni e onestà intellettuale, è: cosa succede se questi dati passano da aziende private allo stato e, tramite le informazioni che se ne deducono, quest’ultimo possa assecondare i nostri bisogni e svilupparne di nuovi? Nascono così le smart city cinesi: tecnologiche, a impatto ambientale ridottissimo e, ovviamente, controllatissime.

Emblematico il caso di Terminus, un’azienda che per conto del governo gestisce tutti i dati di queste città intelligenti: dalle informazioni sull’inquinamento ai movimenti delle persone. Potrebbe sembrare una situazione agghiacciante e degna dei romanzi di Bradbury e Dick, ma in realtà viene percepita dalla gran parte dei cinesi come una inevitabile cessione della propria privacy (il cui valore è inteso diversamente rispetto all’Occidente) in cambio di servizi e benessere.

Ma per capirne a pieno la deriva si dovrebbe studiare quello che succede nello Xinjiang, dove la Cina sta sperimentando una forma di controllo sociale e di repressione incredibile dove la tecnologia, attraverso telecamere, modelli predittivi e campi di rieducazione, va tutta a discapito della minoranza turcofona e musulmana degli uiguri. Controllare, punire ed educare: il governo ha spinto oltre un milione di cittadini dipendenti statali di etnia Han a spostarsi nello Xinjang con l’obiettivo di educare al patriottismo i locali.

Del resto appare evidente che questa tecnocrazia trova basi accomodanti nell’etica confuciana, che insegna a trovare la propria moralità prima dell’intervento della coercizione. Lo Stato, quindi, non è solo strumento di controllo sociale, ma arbitro profondissimo di cosa sia giusto o sbagliato e di quali sono le misure per ottenere il bene di tutti.

Le implicazioni per gli Occidentali, anche nel deprecabile caso in cui fossimo totalmente disinteressati alla sorte dei cinesi, sono moltissime. Partiamo dal modello lavorativo: la Apple è diventata quella che è anche grazie ai lavoratori cinesi della Foxconn che lavorano secondo il modello 996: lavoro dalle 9 alle 21 per 6 giorni a settimana. Un modello disumano che ha portato anche a un alto numero di suicidi. Oggi alcune delle multinazionali cinesi delocalizzano proprio in Europa, esportando di fatto il loro modello produttivo e lavorativo.

Altro esempio, lo sviluppo del sistema dei crediti sociali: non ancora ottimizzato, mira alla trasformazione delle “performance” di aziende e persone (giudiziarie, finanziarie e quindi “morali”) in punteggi sociali. Lo scopo ultimo potrebbe essere quello di creare un unico database centrale in cui ogni cittadino ha un punteggio in base alla sua “affidabilità”. Un sistema che potrebbe minacciare anche la sovranità degli altri stati: è il paradosso ad esempio della compagnia aerea di bandiera giapponese che nel 2018 nel proprio sito ha dovuto cambiare la dicitura "Taiwan" in "Taiwan China" per non ricevere “punteggi negativi” in Cina.

In un contesto capitalistico in cui vince chi riesce a soddisfare i bisogni delle masse nel minor tempo possibile, bisogna vegliare affinché i diritti di base non siano mai negoziabili con la qualità di servizi e beni di consumo.

Lo ha ben spiegato Pieranni in un’intervista: “La gestione del tempo sempre più frenetica e il permanere di differenze sociali e diseguaglianze saranno i temi salienti, credo, dei prossimi anni in Cina e la tecnologia rischia di aumentarne l’impatto. E anche in questo caso, secondo me, gli scrittori cinesi di fantascienza sembrano anticipare temi non solo locali, purtroppo”.

Joshua Evangelista, Responsabile comunicazione Gariwo

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