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Undici storie di resistenza, undici anni della Turchia

di Murat Cinar EBS Print

C’è chi lotta per la pace, chi chiede perdono agli armeni, chi si batte per i diritti lgbtq+ e chi combatte il patriarcato. Sono i protagonisti delle storie che Murat Cinar ha messo insieme in “Undici storie di resistenza, undici anni della Turchia”, uscito nel 2022 per EPS Print.

Da oltre dieci anni Cinar prova a spiegare la Turchia contemporanea agli italiani attraverso articoli, conferenze, podcast e post sui social. Da poco più di un anno lo fa anche sulle pagine di Gariwo, cercando di raccontare quel mondo sommerso di attivisti, dissidenti, associazioni per i diritti umani totalmente o quasi dimenticato dalla stampa occidentale.

In questo libro mette insieme questo patrimonio umano e lo canalizza attraverso undici storie, più una (la sua), di persone che dal 2010 sono state costrette a lasciare la Turchia per motivazioni legate alla politica e, più in generale, alla sicurezza personale.

Sono i rappresentanti di una nuova diaspora, come spiega l'autore, fatta di professori universitari, studenti, parlamentari, sindaci, avvocati, giudici, alti ufficiali dell’esercito, giornalisti, sindacalisti, attivisti del mondo dell’associazionismo e persino medici.

Del resto, negli ultimi dodici anni nella Turchia governata da Erdoğan e dal suo AKP è successo di tutto ed è arduo riassumerne i punti salienti per i più distratti. Dopo essersi assicurato nel 2011 un terzo mandato come primo ministro, Erdoğan ha dovuto affrontare nell’estate del 2013 l’onda dei manifestanti che da piazza Taksim hanno protestato in tutto il paese (da lui definiti teppisti e vandali). Nel 2014 è stato eletto come presidente della repubblica, nell’estate 2016 ha fatto reprimere nel sangue un tentativo di colpo di stato. Quasi 300 persone, per lo più civili, sono state uccise negli scontri durante il colpo di stato. Nelle settimane successive, il governo ha effettuato una massiccia epurazione, rimuovendo decine di migliaia di soldati, agenti di polizia, insegnanti e dipendenti pubblici dai loro lavori e imprigionando altri per le loro presunte simpatie per golpe Il desiderio di Erdoğan per l'espansione dei poteri presidenziali si è concretizzato con il referendum dell'aprile 2017. Nel frattempo la Turchia è caduta in una crisi economica gravissima: svalutazione della lira, impennata dei prezzi dei beni di prima necessità, aggravata dalla pandemia.

Eppure, negli ultimi mesi della Turchia di Erdoğan si è parlato quasi unicamente in funzione dell’auto-narrazione di stato pacificatore, che medierebbe tra gli imperi in nome della ricerca della pace mondiale. Un lavoro meticoloso di costruzione dell’immagine che nasconde tutto il resto: le purghe e la repressione interna così come l’utilizzo ricattatorio verso l’Europa dei migranti e le violente attività militari nelle vicine Siria e Iraq. 

Questo libro rimette al centro del discorso le persone turche, non come un monolite ma come un insieme di vissuti personali molto diversi tra loro accomunati dall'aver dovuto fare i conti con tutto quello che abbiamo detto finora.

Perché si fugge dalla Turchia? Se fino ai primi anni degli anni Dieci lasciare la Turchia da intellettuale era visto quasi come un vezzo, dopo la rivolta di Gezi, il fallito colpo di stato, le purghe, i decreti di emergenza convertiti in legge e con il discutibile cambio di ruolo delle magistratura (che negli ultimi anni è diventata totalmente dipendente da chi governa), espatriare è diventata una necessità per migliaia di persone.

Un grande pregio del libro è quello di non cercare storie “fatte con lo stampino”. Di non forzare il racconto verso un approdo politico sicuro. In tal senso, un caso emblematico è quello Ömür, che da anni vive a Roma e che è un seguace dell’imam Fethullah Gülen. “La Turchia è piena di comunità religiose che in un modo o nell’altro cercano di approfittare della gente spinta alla povertà per via di un sistema capitalistico sfrenato e criminale - spiega Cinar. Per l’autore l’esempio per antonomasia è proprio la comunità di Hizmet fondata da Gülen, che attualmente vive in autoesilio negli Stati Uniti. Mi è personalmente capitato di parlare con persone che hanno subìto l’indottrinamento della sua comunità semplicemente iscrivendosi, da bambini, in scuole calcio indirettamente riconducibili a Hizmet.

Seppur con alcune differenze, Gülen e Erdoğan provengono dalla stessa macro area culturale dell’islam politico. Si conoscono da almeno 25 anni, sono stati “co-belligeranti” e insieme, gulenisti e membri dell’AKP, si sono infiltrati in tutti i luoghi di potere. Dopo il 2009, con il liberismo di Erdoğan che è diventato più “statalista”, i rapporti si sono definitivamente incrinati. Cinar spiega molto bene l’evoluzione delle relazioni tra il partito di Erdoğan e Hizmet, fino all’operazione anticorruzione che ha portato all’arresto di decine di persone, molte delle quali vicine all’AKP. Un colpo di stato “soft”, secondo l’entourage di Erdoğan, che ha a sua volta ha condotto alla repressione tutte le manifestazioni anticorruzione e a considerare i gulenisti la classe dirigente di uno stato parallelo. Fino al già citato tentato colpo di stato del 15 luglio 2016 e ai suoi terrificanti numeri. Per l’AKP c’è solo un colpevole: la rete di Gülen. E questa idea di rete oggi è davvero estesa: “Mentre oggi la Turchia vive una vera trasformazione”, scrive Cinar, “milioni di seguaci di Gülen sono senza lavoro, vivono come invisibili, alcuni in carcere e parecchi obbligati a restare in esilio. Il futuro è pieno di incertezze per questa sostanziosa fetta della società che si definisce religiosa e abbastanza conservatrice e che costituisce ormai una città fantasma e un esercito di invisibili e/o marchiati”.

Tra i protagonisti del libro c’è anche Serdar Degirmencioglu, che i lettori di Gariwo hanno potuto già conoscere. Nel mese di gennaio del 2016, più di duemila accademici hanno firmato una lettera che invitava tutte le parti coinvolte nel conflitto con il PKK a cessare il fuoco e tornare al tavolo delle trattative. Serdar era uno di questi. Dopo aver perso il suo lavoro da presidente di dipartimento presso l’università privata di Dogus, ha deciso di lasciare la Turchia. La sua storia racconta molto del clima che si respira oggi nel mondo accademico. Ma non solo, spiega anche lo spirito di resistenza che anima molti dissidenti politici. Cinar e Serdar Degirmencioglu si conoscono bene, quest'ultimo è stato suo professore all'università. Nella loro seconda vita da migranti, fuori dalla Turchia, si sono visti più volte, tra l'Italia e la Grecia. "Ogni volta aveva un’idea da realizzare, progetti per denunciare i crimini del regime e creare nuove reti per costruire e consolidare la cultura della solidarietà e sconfiggere il militarismo sempre più presente nella nostra vita. Serdar Değirmencioğlu è un vero resistente e continua a lottare per costruire l’alternativa”.

Murat Cinar, da 20 anni a Torino, interseca queste storie con quella della sua infanzia nel quartiere popolare di Feriköy, e con quella della sua famiglia, figlia a sua volta di migrazioni da Sivas e da Batumi, in Georgia.

Ma queste storie non finiscono, questo libro “non finisce”, come spiega l’autore nei ringraziamenti. Perché “la lotta continua e ogni luogo è Taksim”.

Joshua Evangelista, Responsabile comunicazione Gariwo

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