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Ho creduto nei Khmer rossi

di Ong Thong Hoeung Guerini e Associati, Milano, 2004

Ong Thong Hoeung è un intellettuale di famiglia borghese, studente a Parigi. Alla caduta del regime di Lon Nol rientra in Cambogia per partecipare alla ricostruzione del paese, animato da ideali comunisti e da amor patrio. “Ho creduto nei Khmer rossi” è un libro-denuncia dell’orrore della rieducazione attuata dal regime Khmer e del tragico destino di un popolo. Il XX secolo ha visto intellettuali pervasi da ideologie progressiste rientrare in patria per essere utili al loro paese. Ritornando scoprono una realtà diversa da quella immaginata. L’utopia è precipitata nel totalitarismo e spesso i rimpatriati terminano la loro esistenza nei lager. Hoeung si catapulta dalla realtà francese in Cambogia dove è in atto una delle forme più violente di pulizia sociale. Soppressa la moneta, chiuse le scuole, le città abbandonate, i giardini trasformati in risaie. Vestiti neri, corpi piagati, toilettes convertite in gabinetti rivoluzionari, gli escrementi umani usati come fertilizzanti. Nessuno sorride, non esistono documenti personali, chiuse le ambasciate, il paese isolato dal mondo. Ovunque regna un odore infetto. Ispiratrice della rivoluzione khmer rossa fu la rivoluzione culturale maoista, complice la sinistra occidentale, silente l’America contraria all’intervento vietnamita che porrà fine nel 1978 al genocidio di 2 milioni di cambogiani. In ogni pagina di Ong torreggia un’ombra misteriosa, onnipotente, che con la sua ineluttabilità condiziona l’esistenza di tutti: l’Angkar, il Regolamento. Mano secolare un’accozzaglia di contadini armati, giovanissimi. Ong comprende l’abisso nel quale è precipitato: sono caduto in trappola, non dovevo venire, non posso tornare indietro.

La rieducazione è attuata con metodi violenti. L’io è bandito, sostituito dal noi, si lavora 18 ore al giorno per una ciotola di riso. Bisogna parlare come i contadini, proibito mettere le mani sui fianchi. Sparizioni e suicidi. I bambini cantano: amiamo infinitamente l’Angkar. Ognuno sorveglia l’altro. Tutti devono cambiare il proprio nome. Su ogni cosa aleggia la fame che piega i corpi, corrompe le anime. La rieducazione ha il suo culmine nelle riunioni di critica-autocritica: si devono confessare i peccati di individualismo, giudicati dai presenti. Tutto è interpretato. Tristezza significa spirito confuso, gioia pensare alla felicità personale, indecisione mostrare una natura piccolo borghese, chiedere aiuto non seguire la regola del contare sulle proprie forze. Non si deve sapere più del necessario, né domandare più di quanto l’Angkar non dica, il segreto porta alla vittoria. Incontrando qualcuno non bisogna chiedere da dove viene, né il suo vero nome. Il segreto deve essere mantenuto anche fra marito e moglie. Solo le masse sanno. Ma chi sono le masse? Un’entità definita dall’Angkar, concreta e astratta che si trova ovunque e in nessun luogo, una forza inesauribile. Quattro anni di rieducazione e Ong sembra accettare l’ineluttabile, la sua mentalità borghese. Assieme agli amici rimpatriati ha vissuto un’odissea drammatica. Caduto il regime scoprirà che in Cambogia sono rimaste solo donne: la maggioranza degli uomini è scomparsa, due terzi della sua famiglia uccisi o morti di fame. Quale peso dare alla memoria di un genocidio? Ong Thang Hoeung oggi vive in Belgio.

Pietro Kuciukian, Console onorario d'Armenia in Italia e cofondatore di Gariwo

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