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Eroi dello sport

di Daniele Marchesini Il Mulino, 2016

Jacques Goddet, storico patron del Tour de France, indicò Fausto Coppi come "il più grande" ed Eddy Merckx come "il più forte" ciclista di sempre. Due personaggi molto diversi tra loro, eppure due eroi. Così come lo sono Garrincha (“a alegria do po”) e il suo dribbling irresistibile, o due geni e sregolatezza rimasti fermi nell’immaginario di diverse generazioni, Maradona e Best.

Quando un atleta diventa eroe? Se lo chiede e prova a rispondere Daniele Marchesini, storico e docente all’Università di Parma, ne “Gli eroi dello sport”. Partendo da un presupposto: eroe non vuol dire per forza campione. Anzi, molto spesso gli eroi sono perdenti, arrivano a un passo dal successo e poi vengono sconfitti. Come l’italiano Dorando Pietri, che alle Olimpiadi di Londra del 1908 vince la maratona ma perde la vittoria, perché squalificato. Per molti la più amara sconfitta nella storia dello sport, perché durata solo pochi minuti: il tempo, per il giudice Jack Andrew, di esaminare il ricorso della squadra americana, che accusò il maratoneta emiliano di essersi fatto aiutare a rialzarsi a quattro passi dal traguardo. Dopo l’arrivo, Pietri svenne e fu trasportato in barella all’ospedale. Il pubblico, commosso, mai aveva assistito a uno spettacolo così impressionante. Un perdente, il cui nome tuttavia tuttavia, viene consegnato alla duratura memoria dei posteri. Di lui, sulle pagine del Daily Mail Arthur Conan Doyle scriverà un articolo appassionato che entrerà negli annali del giornalismo sportivo mondiale.

Con uno stile asciutto ma mai scevro di aneddoti, Marchesini tesse un racconto collettivo che riguarda da vicino tutti i tifosi, di qualsiasi generazione. Del resto il racconto delle gesta degli eroi, sin dall’antica Grecia, si interseca con le guerre e i grandi accadimenti sociali che coinvolgono la vita di tutti.

Perché è nei bar, nelle piazze, nelle osterie, che nasce la “chiacchiera da bar” e che si interseca con la politica e le vicende individuali. E gli eroi sportivi non sono più circoscritti al campo di calcio, alla pista o alla strada. Questo lo capisce il totalitarismo fascista che plasma l’atletismo politico (si veda Carnera nell’Italia mussoliniana o Schmeling in Germania); seguito, in un secondo momento dall’Unione Sovietica, dove il primato prima è visto come sciovinismo borghese per poi venire esaltato, ma solo se inserito in un progetto di educazione collettiva.

Sebbene i regimi usino lo sport e i suoi grandi per fini propagandistici, le gesta sportive e umane degli eroi spesso diventano per il popolo appiglio nei momenti più difficili. Si pensi all’amore che la gente delle favelas nutriva per il dribbling ubriacante di Garrincha, un affetto che si dimostra quando la strada per il piccolo camposanto di Pau Grande che ospiterà il suo corpo senza vita diventa il raduno di centinaia di migliaia riconoscenti a un uomo “la cui fine rivelava in piena luce la disperazione ordinaria dellea vita dei ceti e ambienti popolari”.

E poi ci sono gli eroi sportivi a cui Gariwo dà ampio spazio: quelli del dissenso, come i coniugi cecoslovacchi Zatopek o della riconciliazione, come la squadra di rugby sudafricana spinta da Nelson Mandela. O ancora il pugno chiuso di Tommie Smith e John Carlo a Città del Messico nel 1968.

La lunga carrellata di Marchesini è un tuffo nelle storie e nella Storia. Senza seguire un ordine cronologico o una suddivisione per disciplina, gli eroi di Marchesini ci fanno sognare, arrabbiare, rattristare e soprattutto emozionare. Perché, come diceva Omero, il coraggio dell’eroe è nelle sue lacrime.

Joshua Evangelista, Responsabile comunicazione Gariwo

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