
Quando nel 2012 Gabriele Nissim ha proposto di dedicare la Giornata europea dei Giusti (approvata dal Parlamento di Bruxelles quello stesso anno e divenuta solennità civile in Italia nel 2017) a Moshe Bejski, istituendo tale ricorrenza nella data della sua scomparsa, il 6 marzo, il pensiero è andato prima di tutto alla grande opera del “Giudice dei Giusti”.
Bejski è stato l’anima del Giardino dei Giusti di Yad Vashem a Gerusalemme, e ha improntato le scelte della Commissione dei Giusti seguendo il criterio della gratitudine.
Come ricordiamo nella sua biografia, “Per lui non era necessario essersi comportati da eroi per ottenere il riconoscimento. Il gran numero di casi segnalati a Yad Vashem dimostrava che vi era stato un reale coinvolgimento di molte persone, di gente comune, nel tentativo di strappare gli ebrei allo sterminio. Far conoscere le loro storie significava sfatare il mito che l’opposizione al nazismo fosse un’impresa quasi impossibile, che non ci fosse la possibilità concreta di aiutare i perseguitati senza correre rischi estremi. Molte volte sarebbe bastato un piccolo intervento per impedire una grande tragedia”.
Leggere questo libro in occasione del Giorno della Memoria è un grande tributo a Moshe Bejski, al suo immenso lavoro, e alle storie di tutti quei Giusti ricordati allo Yad Vashem per aver salvato la vita dei perseguitati.
Queste pagine, dedicate ai ragazzi ma che risultato piacevoli anche a un occhio adulto, scorrono tra “storielle ebraiche”, battute, una trama che spazia da romanzo storico a spy story, episodi come le leggi razziali, il rastrellamento del ghetto di Roma, la dichiarazione di guerra e, soprattuto, voci. Sono le voci registrate di chi è fuggito dalla deportazione, di chi ha salvato persone innocenti (“Ma per quale motivo ce l’avevano tanto con voi? Cosa hanno mai fatto gli ebrei?”, viene chiesto a un certo punto al protagonista), di chi ha dedicato la vita alla ricerca della verità.
Ha un lavoro da portare a termine, Jack La Manna. Un lavoro che lo porterà da New York a Parigi, da Roma a Gerusalemme. Affinché la memoria del bene non oscuri quella del male. Come ricorda lo stesso autore nella prefazione, “Per i molti uomini e donne che si schierarono dalla parte degli oppressi, ve ne furono molti di più che accordarono un consenso passivo o collaborarono attivamente alla persecuzione nazista e fascista. La memoria dei Giusti, quindi, non deve servire a deresponsabilizzare un popolo, a sminuire l’orrore di un’epoca e di una mentalità che ha portato l’umanità sull’orlo dell’autodistruzione”.
I Giusti, tuttavia, ci sono stati. Hanno permesso a molte famiglie di continuare a vivere, non hanno voltato la testa dall’altra parte anche quando prendersi cura dei perseguitati significava rischiare la vita o dover dividere un pasto che a malapena bastava per una persona sola “Quando mia madre mi ha vista arrivare con tre bambini (ebrei, sottratti dalla deportazione, n.d.r.) e dodici valigie, si è messa le mani nei capelli. C’era poco da mangiare, anche solo per noi due, ma ci siamo date da fare”.
Ecco quindi, tra le pagine del libro, le storie dei Giusti, i loro nomi: Lisa Fittko, Varian Fry, Ida Lenti Brunelli, don Gaetano Piccinini, Enrico De Angelis, padre Francesco Antonioli e padre Armando Alessandrini, Teresa e Pietro Antonini, il professor Caronia, Giovanni Borromeo, Francesco Nardecchia. Giusti tra le Nazioni, ma anche uomini e donne “giusti”: non santi né eroi, ma persone comuni che hanno scelto di non essere indifferenti, che insegnano a tutti noi che anche nei momenti più bui della storia è possibile scegliere il bene.
“Potevano fare o non fare qualcosa e hanno scelto di fare. È la scelta giusta”: è questo esempio che ci regala la fiducia e la speranza negli esseri umani. Perché chi salva una vita salva il mondo intero, ma salva anche “la propria vita o meglio, la propria umanità”.
Martina Landi, Responsabile del coordinamento Gariwo