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Niente è stato vano. Il romanzo di Géza Kertész, lo Schindler del calcio

di ​Claudio Colombo Meravigli, 2018

Claudio Colombo è un giornalista di grande esperienza con alle spalle anni di Gazzetta dello Sport e conosce tecnicamente il mondo di cui si deve parlare per ricostruire la vita di uno sportivo ungherese come Géza Kertész, calciatore, allenatore, uomo di cultura e cittadino responsabile dell’onore della propria nazione nel momento cruciale dell’occupazione nazista e della persecuzione antiebraica. Il libro ricostruisce dettagliatamente la formazione nell’ambiente magiaro dell’inizio del XX secolo, la serietà e la posatezza di un giovane che si dedica con profitto alla pratica del nuovo sport del football. Egli si mette in mostra nelle squadre della capitale Budapest, fino ad essere selezionato per la rappresentativa nazionale ungherese, un’Ungheria ancora politicamente unita all’Austria sotto l’imperial regio governo di Francesco Giuseppe.

Alla sconfitta e al disfacimento dell’impero egli si avvale del prestigio del calcio ungherese per trasferirsi in Italia con la famiglia e passare alla qualifica di allenatore di formazioni di provincia come la Salernitana e il Catania, ma nelle quali viene sempre stimato e apprezzato. Sono gli anni del ventennio fascista e il Duce ben presto si avvede del consenso popolare che può ottenere appoggiando la formazione sportiva della gioventù. Roma ospita i mondiali di calcio del 1934 e l’Italia di del Pozzo vince in successione anche le Olimpiadi a Berlino nel 1936 (con una squadra di veri dilettanti, come dettava la regola dello sport olimpionico) e rivince a Parigi nel 1938, battendo in finale proprio l’Ungheria. In Italia Géza Kertész si attiene al suo ruolo di tecnico straniero che lavora anche per squadre sostenute dal regime, ma distante dalla politica.

Dopo aver allenato l’Atalanta nel 1938-39 e non esser riuscito all’ultima partita del campionato a portarla in serie A, allenò per due anni la Lazio e nel dicembre 1942 fu chiamato dal connazionale Alfred Schaffer ad allenare la Roma campione d’Italia. Non fu una stagione felice e la guerra e i bombardamenti su Roma indussero la famiglia Kertesz (la moglie Rosa e due figli) a ritornare a Budapest. Qui nel 1944 Istvàn Toth, ex compagno di squadra del Ferencvaros, lo coinvolge in un'organizzazione della resistenza all’occupazione tedesca del marzo 1944. I due calciatori riescono a dribblare diverse volte la Gestapo mettendo in salvo decine di ebrei, ma un delatore li fa arrestare nel dicembre del 1944 e i due amici saranno fucilati nel palazzo reale di Buda il 6 febbraio del 1945, sette giorni prima della caduta di Budapest all’assedio dell’Armata rossa.

Immediato il riconoscimento del loro eroismo da parte della popolazione di Budapest nei mesi successivi, sottaciuta la sua figura sotto i governi comiunisti. Negli anni Ottanta riconosciuto come Giusto dallo Yad Vashem. Una figura di sportivo esemplare, un uomo di stile e metodo che ha saputo vivere di sport e di interpretare la responsabilità politica nel modo più lineare.

Carlo Sala, Commissione educazione Gariwo

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