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Cambiamo strada. Le 15 lezioni del coronavirus

di Edgar Morin Raffaello Cortina Editore, 2020

Edgar Morin, una delle figure più conosciute e prestigiose della cultura contemporanea, con la sua straordinaria capacità di interpretare il presente, ci invita, ancora una volta e alla soglia dei cent’anni, ad accettare le sfide generate dal coronavirus.

Di pandemie, nella storia, ce ne sono state tante ma il Covid, che ha paralizzato 177 paesi del mondo, ha introdotto una novità: una megacrisi composta da crisi sanitarie, politiche, economiche, sociali, ecologiche… tutte interconnesse tra loro. In una parola: “complesse", nel senso di “tessute insieme”. La prima rivelazione di questi mesi è che ciò che si considerava separato è in realtà inseparabile.

L’Occidente vede frantumarsi il suo grande paradigma, quello della modernità, nato nel XVI secolo con l’uomo al centro, artefice del proprio destino e animato dal desiderio di estendere il suo potere sulla natura (“sapere è potere”, affermava Bacone) e sugli altri popoli.

Il coronavirus ci costringe a riflettere sulle nostre esistenze, sul mondo e sulla nostra relazione col mondo.

Cambiare paradigma è però un processo storico lungo, difficile, lento e per niente scontato nel suo esito finale: il cambiamento incontra le resistenze di strutture e mentalità radicate.

Il post- coronavirus è angosciante quanto la crisi in atto: quale sarà il risultato futuro ? Distruzione o speranza? Siamo entrati nell’era dell’incertezza.

Morin analizza le 15 lezioni del coronavirus: dalla domanda sul “come vivi?" qual è l’essenziale dell’esistenza, quale posto hanno l’amore e l’amicizia, alla consapevolezza paradossale che più ci crediamo potenti più siamo deboli.

La vita (singola, nazionale, universale) si mostra come un’avventura incerta: lo spettacolo della morte (tabù della nostra società occidentale) ha fatto irruzione nel quotidiano, col suo strascico di angoscia per i morenti soli negli ospedali, per la lontananza dei familiari, privati del rito di un comune cordoglio.

Intossicati dal consumism , abbiamo scoperto l’essenziale, abbiamo vissuto solidarietà dimenticate. I mestieri più esposti alla morte (operatori sanitari, cassiere dei supermercati, fattorini), spesso sottovalutati e malpagati, sono stati la nostra salvezza.

La scienza, che non ha un repertorio di verità assolute, ha evidenziato le sue fragilità: i saperi, sempre più iperspecializzati e competitivi tra loro, sono stati costretti a collaborare .

La politica neoliberista del profitto a tutti i costi è stata smascherata nelle sue contraddizioni: genera disuguaglianze, provoca ingiustizie, alimenta guerre.

Le democrazie hanno vissuto la tentazione del nazionalismo aggressivo e xenofobo e la restrizione dei diritti individuali, dovuta alla pandemia, ha mostrato la possibilità che chi governa possa agire mosso da scelte arbitrarie o autoritarie.

L’economia consumista non può più nascondere che depreda le risorse ambientali con energie non rinnovabili e deteriora il pianeta: in poche settimane di lockdown la natura e gli animali hanno ripreso a respirare. La sola globalizzazione tecno- economica non può bastare per progettare il futuro: siamo una comunità di destino di donne e uomini, legati indissolubilmente alla sorte bioecologica del pianeta Terra.

“Nulla dovrà essere più come prima”: l’estrema gravità di questo momento è carico di sfide. Cambiare strada diventa vitale.

Nella seconda parte del saggio, Morin non propone una rivoluzione né un progetto (statico) di società ma una Via politico-ecologica-economica-sociale.

I nuovi percorsi di trasformazione ci chiedono di assumere una nuova mentalità che connette invece di separare i saperi, che supera la concezione tecno-economica del mondo in cui il calcolo è diventato l’unico sistema di conoscenza delle realtà umane (tassi di crescita, PIL, sondaggi…) dimenticando che sofferenza, disagio gioia, felicità, amicizia, amore sono realtà incalcolabili.

E’ necessario un metodo di conoscenza che risponda alla sfide della complessità rinunciando alla logica delle antinomie e delle contrapposizioni: globalizzazione/deglobalizzazione, crescita/decrescita, nazionale/universale. In ogni opzione c’è un rischio e un’opportunità: per esempio ogni paese dovrebbe avere risorse agricole, autonomie sanitarie ed energetiche per non dipendere da altri (de-globalizzazione) ma al contempo è necessario globalizzare non tanto l’ipercapitalismo economico ma un new deal, di rilancio ecologico e di riforme sociali, che crei la coscienza di una comunità di destino.

Oltre alla sfida della complessità ci attende la sfida delle incertezze: il virus ci mostra che ogni evento storico trasformatore è imprevisto. L’uomo occidentale deve abbandonare la pretesa di controllo sulla realtà e sulla natura attraverso il sapere: ogni sua azione ha bisogno di una strategia che contempli il rischio.

Dopo aver analizzato le condizioni per una nuova politica della nazione, della civiltà, dell’umanità e della Terra, l’autore si sofferma sulle caratteristiche di un umanesimo rigenerato, vero motore di cambiamento individuale e collettivo .

L’umanesimo rigenerato riconosce che l’uomo è sia sapiens che demens, un “mostro incomprensibile”, come amava dire Pascal, e ne accetta la complessità. Siamo ragione e passione. Soprattutto non siamo perfetti. Possiamo però sviluppare ciò che di meglio c’è in noi stessi: le facoltà di essere solidali e responsabili, imperativi non solo personali ma anche politici e sociali. “Sii tu il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo”, scriveva Gandhi. E’ tempo che il riconoscimento della nostra comune identità sia reso universale e concreto: siamo uguali ma diversi, nella dialettica costante tra Io e Noi.

Il vero realismo dell’umanesimo rigenerato intercetta i segnali che annunciano i processi trasformativi del presente: non sognando un mortifero mondo perfetto ma rigenerando la perenne aspirazione dell’umanità a un mondo migliore. “Ciò che non si rigenera, degenera” afferma Morin: il vero realismo è la rigenerazione permanente, strategica, possibile, imprevista.

L’umanesimo rigenerato è infine planetario: l’umanità è minacciata dalle epidemie, dal degrado, dalle armi nucleari e il suo destino è intrecciato alla vita della biosfera. Questa Terra-patria è il nostro unico mondo. Ci sembra impossibile cambiare strada, siamo come sonnambuli nella notte, tante trasformazioni sono necessarie mentre tutto sembra regredire…

Ma nel mondo, grazie a questa crisi molteplice e globale, scorrono tanti rivoli di novità, ci sono tante sorgenti che, se congiunte, possono confluire in un grande fiume.

“La speranza non è una certezza, comporta la coscienza dei pericoli e delle minacce ma ci fa prendere posizione e lanciare la scommessa”.

L’aspirazione millenaria dell’umanità a un mondo migliore può alimentare le vie riformatrici necessarie. “Se non speri l’insperabile, non lo troverai”, ci ricorda Eraclito.

Conclude Morin: “L’avvenire è in gestazione  ci auguriamo che sia una rigenerazione della politica e una protezione del pianeta per umanizzare la società. Ma è tempo di cambiare la strada!”.


Arianna Tegani, Commissione educazione Gariwo

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