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Navalny contro Putin

di Anna Zafesova Paesi Edizioni, 2021

L’oppositore più famoso nella Russia di oggi, il leader e il volto della dissidenza russa, che in dieci anni di attivismo anticorruzione tramite il suo blog, la Fondazione non profit FBK e i social network, ha raggiunto una potenza mediatica in grado di far tremare le mura del Cremlino diventando un infuencer adorato soprattutto dalle nuove generazioni.

È il ritratto che la giornalista Anna Zafesova fa di Alexey Navalny, protagonista da dieci anni di un duello con il presidente Vladimir Putin, che in questa contrapposizione ha finito con il trasformarsi “da conservatore più o meno autoritario, attento comunque alla sua immagine di governante rispettoso dei princìpi del diritto internazionale, in un dittatore”.

Da questo scontro dipende il futuro stesso del Paese, scrive l’autrice, che individua 'l’ora X della Russia contemporanea' con quanto successo all’alba del 20 agosto 2020, quando Navalny si sente male a bordo di un aereo nel cielo della Siberia al ritorno da una campagna per le elezioni locali.
Come appare presto chiaro, il dissidente è stato avvelenato con una versione modificata del Novichok, uno degli agenti tossici a uso militare creati in Unione Sovietica. Sopravvissuto miracolosamente e trasferito in Germania per le cure, Navalny decide - sorprendendo tutti - di tornare in patria e all’arrivo, il 17 gennaio 2021, viene arrestato e incarcerato per una vecchia condanna. Ma non rinuncia alla sua battaglia, che ora non è più solo contro la corruzione, ma contro il regime putiniano.

Il saggio (sottotitolo “Veleni, intrighi e corruzione. La sfida per il futuro della Russia”) ricostruisce la vita e la carriera politica dei due avversari in modo approfondito, con un linguaggio sciolto e una trama densa di aneddoti a volte tragici a volte comici. 
Da una parte Navalny, l’avvocato-blogger, classe 1976, non è un oligarca o un intellettuale, ma un professionista che vive in un caseggiato anonimo come altri della periferia di Mosca. Non è un populista nostalgico del passato glorioso sovietico, ma un uomo pragmatico dotato di ironia e autoironia, convinto che la libertà, la concorrenza e la garanzia dei diritti, secondo il modello europeo, potranno condurre la Russia alla democrazia e a un mercato non dominato da monopoli e corruzione.

Dall’altra c'è Vladimir Putin, classe 1952, agente del KGB nominato da Boris Eltsin premier e suo successore alla presidenza nell’agosto 1999, che ha fondato il suo potere su un sistema autoritario nel quale parlamento, elezioni, partiti, tribunali, media sono rigidamente controllati dall’alto e l’informazione è dominata dalla tv nazionale secondo le direttive del Cremlino.

Questo assetto è entrato in crisi a causa di vari fattori: la politica estera, il peggioramento dell’economia non più sostenuta dai proventi dell'esportazione del petrolio, il cui prezzo è crollato dopo le impennate nel decennio 1998-2008, la pandemia da Covid-19. A questo si aggiungono il malumore e le proteste di molti cittadini per le vicende di corruzione e le tangenti svelate da Navalny e dalla rete dei suoi collaboratori, come nel caso dei costi elevatissimi per i Giochi di Sochi del 2014, e per la fuga massiccia di capitali con i depositi e le proprietà immobiliari posseduti illegalmente all’estero dai rappresentanti del governo e della classe dirigente.

Inoltre il sistema al potere ha ripreso la politica di rimozione del passato preferendo l'autoesaltazione e rifiuta di riconoscere i crimini del totalitarismo sovietico e di commemorare le sue vittime, rendendo sempre più difficile l’accesso agli archivi dei servizi segreti e del ministero della Difesa per i ricercatori, i privati cittadini e le organizzazioni come l'ONG Memorial, posta sotto sorveglianza speciale dopo essere stata dichiarata “agente straniero” dal ministero della Giustizia.

Il libro indica infine alcune alternative per un possibile cambio di regime, che risollevi la Russia dal declino. Tra le strade che l'opposizione potrebbe prendere c'è la svolta totale: non limitarsi a democratizzare l’assetto istituzionale esistente, ma rifondare da zero il sistema con un’Assemblea Costituente incaricata di porre le basi della Russia post comunista.

In questa prospettiva sarà interessante vedere il ruolo dei giovani che in questi mesi si sono mobilitati a fianco di Navalny: la “Generazione anatroccolo”, la parte più giovane dei suoi seguaci, con un’età tra i 18 e i 24 anni, identificata con uno dei simboli della battaglia anticorruzione, gli anatroccoli di gomma gialla, che alludono alla casetta per le anatre in mezzo al lago privato della dacia dell’ex premier Dmitry Medvedev, oggetto di un’inchiesta della Fondazione di Navalny.

Giovani che si impegnano per la tutela dell’ambiente e che non vogliono espatriare, che non rifiutano il passato né lo esaltano e, come il loro leader, non hanno nessun problema a riconoscere il loro Paese come arretrato, povero e ingiusto, ma si rifiutano di considerarlo una maledizione del destino e vogliono cambiarlo.

Anna Zafesova, esperta delle trasformazioni dell'impero post-sovietico, collabora con i quotidiani La Stampa, il Foglio e Linkiesta.

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