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L'apicultore di Aleppo

di Christy Lefteri Piemme, 2019

Tra i tanti endorsment ricevuti da “L’apicultore di Aleppo”, c’è quello di Heather Morris, autrice del discusso “Il tatuatore di Auschwitz”. Secondo Morris, il romanzo di Christy Lefteri è provocatorio e non può non “far aprire i nostri occhi”. Chissà se il riferimento agli occhi aperti è legato alla pittrice Afra, moglie del protagonista che, nonostante sia divenuta cieca dopo un’esplosione che ha ucciso suo figlio, è il vero “sguardo” di tutta la storia: una drammatica epopea che conduce il lettore dalla Siria dilaniata dalla guerra a un anonimo bed and breakfast della costa sud dell’Inghilterra. 

È qui, infatti, che l’apicoltore Nuri e la moglie Afra passano le giornate cercando di ricucire le profonde ferite causate dalla guerra, in attesa di sapere dall’Ufficio migrazioni se la loro richiesta d’asilo verrà accettata.

In mezzo ci sono i soldati del regime di Assad, le fughe, i trafficanti, le traversate in mare e Atene, dove i nostri rimarranno bloccati per settimane insieme a migliaia di altri migranti. Ad Atene Nuri e Afra conoscono la solidarietà e la crudeltà, la tenerezza e la violenza estrema, in un crogiolo di vite sospese. Qui le paure del futuro e i fantasmi del passato si fondono in unico presente, in cui ogni passo falso può essere letale. In queste condizioni diventa sempre più difficile scindere il bene dal male e orientare il proprio istinto di sopravvivenza senza rinunciare all’empatia verso chi soffre.

Nello sfondo, il profumo di miele e il ronzio delle api generose, diligenti e organizzate, il cui viavai laborioso scandagliava la vita di Nuri prima dello scoppio della guerra. Queste coordinate di normalità saranno l’unico faro nella fuga disperata.

“L’apicultore di Damasco” è prima di tutto una grande storia d’amore tra due persone ritrovatesi da un giorno all’altro a convivere con il vuoto della morte e dell’abbandono. Nel tentare di arginare la disperazione, tra i due protagonisti si creano muri invisibili fatti di ricordi comuni e risentimenti. Ma alla fine scopriranno che si può tornare a vivere solo se si rimane uniti, accettando il fatto che alcune ferite non si rimargineranno mai.

Nel tessere il racconto Christy Lefteri, londinese figlia di rifugiati ciprioti scappati nel Regno Unito dopo l’invasione turca del ’74, intreccia con delicatezza e precisione le centinaia di storie che ha raccolto durante il suo lavoro di insegnante volontaria ad Atene tra i migranti. Nelle vite di Nuri e Afra, ma anche di tutti i personaggi secondari, sono riflesse le vicende che i suoi genitori le raccontavano da piccola e che ha ritrovato, una volta giunta nella capitale greca, nelle storie che ha ascoltato dai suoi studenti siriani, afghani, somali e ivoriani.

Pluripremiato e diventato best seller in molti paesi europei, il romanzo di Lefteri è un percorso allegorico che non può lasciare indifferenti. L’apicoltura, la cecità e la pittura sono appigli simbolici che riescono a catapultare i lettori in vicende profonde che vanno ben oltre i bollettini fatti di sbarchi, numeri e polemiche ai quali siamo tutti assuefatti.

La sfida, una volta finito il libro, è trasferire la rabbia e l’empatia verso azioni pratiche volte a sostenere chi fugge dalla guerra ed è costretto a fare i conti con la Fortezza Europa. Anche in questo Lefteri ci viene incontro, pubblicando a fine volume un elenco dettagliato di associazioni ed enti benefiche che assistono i migranti in Grecia.

Joshua Evangelista, Responsabile comunicazione Gariwo

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