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La famiglia di piazza Stamira. Una famiglia ebraica anconetana nei fatti del Novecento

di Marco Cavallarin Edizioni ae, 2021

L’autore ricostruisce l’albero genealogico di due famiglie anconetane di origini ebraiche, gli Almagià e i Sacerdoti, e lui stesso appartiene in qualche modo a queste famiglie, avendo sposato Patrizia Ottolenghi, figlia di Elio e di Cesarina Sacerdoti. Famiglie numerose, com’era consuetudine nel secolo che va da metà ‘800 a metà ‘900, che vivevano ad Ancona, in un palazzo a più piani di proprietà di Sabato Almagià, e affacciato su piazza Stamira, una piazza dedicata ad un’eroina che nel 1173, sacrificando la propria vita, aveva salvato la città nel corso di un assedio del Barbarossa.

Cavallarin ne segue le vicende, che ricava da lettere, memoir, interviste, ed è interessato soprattutto ad illuminare le vite dei quattro figli di Rodolfo Sacerdoti e di Celeste Almagià: Sara, Enzo, Vittorio e Cesarina Sacerdoti, nati tra il 1909 e il 1917, cresciuti in periodo fascista e alle prese con le leggi razziali dal ’38 al ’44 circa. La famiglia è piuttosto agiata e tutti i figli, comprese le femmine, ricevono una buona istruzione. Le università di riferimento sono quelle di Bologna e di Roma.

Sara sposa Nello Castelbolognesi, figlio di un rabbino, e con lui sposa anche la fede sionista, che porterà lei e il marito ad emigrare in Israele nel ’39, a vivere e lavorare nei kibbutz.

Cesarina sposa Elio Ottolenghi nel ’42 con un matrimonio sobrio e veloce. Al momento della cerimonia davanti alla sinagoga campeggia una scritta: ”Morte agli ebrei”. Gli Ottolenghi tentano di emigrare in Svizzera e scampano all’eccidio di Meina, sul lago Maggiore.

Enzo, descritto come indisciplinato e scavezzacollo, aderisce attivamente alla resistenza e si specializza in esplosivi. E’ sua la testimonianza della collaborazione delle popolazioni rurali, spesso pagata a prezzo di rappresaglie. Temendo per lui, i genitori lo seguono, rifugiandosi in ripari di fortuna pur di stargli vicino.

Vittorio, dopo il liceo classico, si laurea in medicina, aderisce al partito d’Azione e trascorre il periodo bellico lavorando in incognito come medico all’ospedale Fatebenefratelli di Roma. Le sue testimonianze costituiscono la parte più significativa del materiale a cui Cavallarin attinge.

Attraverso le vicende della famiglia Sacerdoti – Almagià scorre la storia del nostro Paese e della comunità ebraica perseguitata, compresa la deportazione romana del 16 ottobre 1943. Con le parole di Vittorio:” (…) Un macello (…) Era come un film surrealista. Provai un senso di annientamento e di rivolta che non riuscivo ad esprimere”. Dei duemilanovantuno ebrei rastrellati in tutta Roma e deportati ad Auschwitz ne torneranno soltanto sedici.

Nonostante tutte le accortezze la famiglia Sacerdoti – Almagià non riuscì ad uscire completamente indenne dal periodo bellico: i coniugi Evelina Sacerdoti ed Edoardo Bigiavi, rifugiati nel pisano, a Montevaso, in località “Il Boschetto”, furono deportati e uccisi ad Auschwitz per una soffiata raccolta da fascisti zelanti.

Tutti i documenti relativi a questa folta comunità ebraica anconetana sono stati posti in salvo in Israele.

Il libro si propone come un importante contributo alla memoria, per la ricostruzione delle vicende italiane, viste attraverso gli occhi e i percorsi di quattro giovani italiani di origine ebraica. Se nel libro sono numerose le testimonianze di comportamenti “giusti” che hanno portato alla salvezza di molti, non possiamo però dimenticare che Evelina ed Edoardo Bigiavi sono morti ad Auschwitz per una delazione. E con loro altri ebrei bolognesi subirono la stessa sorte.

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