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Zidov il salvataggio degli ebrei in Jugoslavia e Dalmazia e l'intervento della II Armata

di Gino Bambara Ugo Mursia Editore, 2017

A partire dall'aprile del 1941 Italia fascista e Germania nazista occupano la Jugoslavia e se ne spartiscono il territorio. In Serbia viene costituito un governo fantoccio sotto il sostanziale controllo della Germania ed inizia immediatamente la deportazione degli ebrei e la confisca dei loro beni a vantaggio prevalentemente dei tedeschi. Al governo serbo viene affidato il duplice compito di combattere i partigiani di Tito e di deportare gli ebrei. In Croazia la nascita del governo filo nazista di Ante Pavelić viene favorita dall'Italia fascista; in questo territorio si mette in moto un processo di sterminio di efferatezza estrema contro i residenti serbi, ebrei e zingari. La Dalmazia e le isole vengono annesse direttamente all'Italia, mentre il territorio retrostante viene sottoposto a un regime di controllo militare che affianca l'amministrazione civile locale, consentita dalle forze di occupazione.

Gino Bambara, che partecipò alle vicende descritte fra il 1941 e il 1943, in qualità di ufficiale dell'esercito italiano, in questo libro ci fornisce una dettagliata descrizione della situazione politico - militare e dei rapporti fra le forze in campo. Si tratta di un lavoro minuzioso, ricco di documentazione, preciso come deve essere precisa un ricerca storica attendibile.

In particolare, in merito alla questione del trattamento degli ebrei residenti nelle zone occupate, non deve essere stato semplice districarsi nel groviglio di interazioni - rivalità, concorrenza, emulazione - fra Germania e Croazia da un lato e Italia dall'altro, interazioni che sono sempre al limite fra collaborazione, competizione e scontro e sono ulteriormente complicate dalle divergenze che ben presto emergono in seno all'apparato politico-militare italiano.

L'obiettivo dell'autore è di mostrare, attraverso una puntigliosa analisi dei documenti, da quali contraddizioni fosse attraversato, nell'apparato di potere italiano, il rapporto fra potere militare e potere civile nelle zone occupate in merito al comportamento da tenere di fronte alle pressanti richieste della Germania di inviare nei luoghi da loro indicati gli ebrei che si trovavano nei territori sotto giurisdizione italiana.

Fra il '41 e il '43 la persecuzione degli ebrei nell'Europa invasa e in Croazia raggiunse il suo apice. In particolare in Croazia il regime di Pavelić mostrò una ferocia se possibile maggiore di quella degli stessi nazisti. Fu questa spietatezza che indusse molti ebrei a cercare rifugio dalle zone controllate dai nazisti a quelle controllate dagli italiani, che sembravano tenere un atteggiamento più umano.

La situazione impose in questo modo all'esercito italiano di occupazione di provvedere alla raccolta degli ebrei, fossero essi residenti da tempo sul posto oppure fuggiti dalla persecuzione nazista. Allo scopo vennero utilizzati tutti gli spazi disponibili, dalle case private vuote, agli alberghi, agli edifici pubblici inutilizzati. A fianco di campi che erano veri e propri campi di contenzione e repressione, in cui venivano reclusi gli oppositori politici e potenziali nemici del regime fascista, in alcune zone vennero edificati "campi di protezione" in cui gli ebrei non venivano trattati come prigionieri e dove si consentiva loro una certa libertà di movimento. Questo nonostante una direttiva di Mussolini che avrebbe imposto di consegnare gli ebrei ai tedeschi nel momento in cui costoro ne avessero fatto richiesta.

Fu soprattutto in merito a questa richiesta che si verificò la divergenza fra alti gradi militari e capi dell'amministrazione civile, che si trovavano a dover affrontare e risolvere problemi logistici complessi. La tesi dell'autore è che si delinearono due linee di condotta identificabili. Da un lato, l'atteggiamento umanitario mostrato dalle forze armate, in alcuni casi in sintonia con le direttive del ministero degli esteri. Dall'altro, la volontà repressiva del ministero degli interni che spingeva governatori e alti dirigenti civili ad acconsentire alle pretese, da parte di nazisti e  ustascia, di respingimento di ebrei serbi e zingari che erano riusciti a valicare clandestinamente il confine dalle zone sottoposte a controllo nazista alle zone occupate dagli italiani. Secondo l'autore, la direttiva di Mussolini non trovò nell'esercito uno strumento docile che la mettesse in atto, fermo restando, invece, che il ministero degli interni perseguiva una linea del tutto prona alle pretese razziste del nazismo. Furono forse considerazioni legate alla convenienza del momento che ispirarono la condotta degli alti comandi militari, ma sta di fatto che in molti casi essi si rifiutarono di dare seguito alle pretese dei nazisti.

In particolare nel capitolo 13, "Vicende rimaste in ombra", assumendo un punto di vista in controtendenza rispetto al "mainstream" della storiografia italiana sulla guerra in Jugoslavia e negli altri territori occupati, che ha dissolto il mito degli "italiani brava gente", l'autore riabilita almeno in parte il comportamento dell'esercito italiano, non solo nei territori occupati della Jugoslavia, ma anche in quelli di Francia Grecia e Nord Africa. I fatti citati vengono addotti come prova di una vera e propria divaricazione fra le direttive razziste del ministero degli interni e il comportamento adottato dagli alti comandi dell'esercito a favore e in difesa degli ebrei italiani nei territori sopraddetti. In ultima analisi nessun ebreo italiano sotto giurisdizione italiana doveva essere consegnato ai tedeschi e per di più bisognava fare in modo che i cittadini italiani ebrei residenti all'estero ricevessero assistenza nel momento in cui si fosse reso necessario il loro rimpatrio per sfuggire alla minaccia della deportazione.

Se è vero quindi che il mito degli "italiani brava gente" non è giustificato dai molti episodi in cui soldati italiani hanno messo in atto un comportamento tutt'altro che umano, è anche vero d'altra parte, che non in tutte le situazioni in cui veniva esercitata una forte pressione per costringere i comandi militari italiani ad adeguarsi alle pretese dei nazisti, si ottenne che essi abdicassero al loro senso dì responsabilità e forse anche di umanità .

Il testo è corredato da un ricco apparato di documenti, note e citazioni bibliografiche, nonché da documenti fotografici. Si tratta indubbiamente di un interessante contributo al dibattito storiografico su un argomento la cui interpretazione ancora oggi non trova concordi gli storici.

Salvatore Pennisi, Commissione educazione Gariwo

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