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Giovinette. Le calciatrici che sfidarono il Duce

di Federica Seneghini Solferino, 2020

Devono giocare con la gonna nera per non offendere la morale e attenersi a un regolamento modificato per loro, così da non compromettere la loro funzione primaria nella società fascista: quella di fare figli, come asserì Mussolini nel famoso Discorso dell’Ascensione pronunciato alla Camera dei Deputati il 26 maggio 1927.

Ma tutto questo non ferma le sorelle Boccalini, Ninì Zanetti, Rosanna Strigaro, e le altre decine di “giovinette” che decidono di giocare a calcio. Né, una volta formato il Gruppo femminile calciatrici milanese, i giornalisti che le deridono sulle pagine dei quotidiani riescono a smorzarne gli entusiasmi.

È l’inverno del ’33 quando Marta (voce narrante scelta dall'autrice, la giornalista Federica Seneghini) e le altre calciatrici sfidano i tabù dell’epoca comunicando, attraverso una lettera aperta inviata ai giornali sportivi, la loro intenzione di giocare a calcio, in quanto tifose e amanti dello sport. Da quel momento seguono pochi ma intensi mesi di entusiasmi e delusioni, fino a quando un comunicato dell’Ufficio sportivo della federazione dei Fasci di combattimento sancisce definitivamente il divieto di costituire società femminili di calcio.

L’ambiente è quello della Milano fascista, ben raccontata da Seneghini e contestualizzata nel saggio che chiude il volume, a cura dello storico dello sport Marco Giani. Inizialmente le “giovinette” trovano un alleato inaspettato in Leandro Arpinati, presidente della FIGC e del CONI, che concede loro il permesso di giocare. La vita della squadra è tuttavia parallela alle lotte interne al partito, in particolare tra Arpinati e Achille Starace e, una volta che Mussolini nomina quest’ultimo segretario del PNF, la politica sportiva italiana va in una direzione opposta. Di fatto, al regime servivano atlete che competessero nelle discipline previste per le Olimpiadi del 1936 che si sarebbero svolte a Berlino, non delle calciatrici.

Non conosciamo l’orientamento politico di tutte le circa cinquanta componenti della squadra - anche se è documentato molto ampiamente l’antifascismo delle sorelle Boccalini e non solo – tuttavia possiamo affermare che giocando a calcio il Gruppo femminile calciatrici milanesi evidenzia “un dissenso non solo verso il regime”, come ha spiegato Giani durante la presentazione dell’ebook di Gariwo I Giusti dello sport, “ma soprattutto un dissenso verso gli stereotipi di genere”. Durante l’epoca fascista lo sport “delle donne” serviva a sviluppare il corpo femminile, non a favorirne l’emancipazione. In quest’ottica dobbiamo leggere la preoccupazione da parte dei critici dell’epoca rispetto ai rischi legati alla possibilità che la palla possa sbattere contro il seno. E fa sorridere, ma non troppo, la risposta positiva del professore Nicola Pende, endocrinologo il cui rapporto con la promulgazione delle Leggi razziali è tutt’oggi controverso, che si espone favorevolmente all’attività calcistica delle donne perché “nessun danno può venire alla linea estetica del corpo né allo stato degli organi addominali e sessuali in ispecie”, ma solo se il giuoco del calcio viene “razionalizzato" così da non essere mirante "a campionato che richiede sforzi di esagerazioni di movimenti muscolari”.

Sono passati quasi novant’anni da quel ’33 e qualcuno potrebbe chiedersi – al di là del valore letterario – in che modo il romanzo di Seneghini possa inserirsi nel dibattito socio-culturale legato allo sport italiano. Per rispondere a questa domanda basterebbe leggere alcune statistiche sul calcio femminile. Se da un lato, come riporta Nielsen, sono ben 314 milioni le persone che in tutto il mondo si dichiarano interessate al calcio femminile (capofila l’Olanda, dove – secondo la ricerca - circa il 59% degli appassionati si dichiara equamente interessato al calcio femminile e a quello maschile), altresì in Italia il calcio femminile verrà riconosciuto come professionistico solo dal 2022/23, dopo estenuanti battaglie sindacali e culturali, contemporaneamente alla perdurante e ossessiva sessualizzazione del racconto delle attività sportive femminili nei media di settore e non. 

Ecco allora che le Giovinette raccontate da Seneghini, che sfidarono sì il regime ma anche e soprattutto una cultura maschilista contro la quale si sta ancora oggi combattendo, ci ricordano che conoscere le battaglie di ieri è fondamentale per non abbassare la guardia oggi dando per scontato lo sforzo di chi lotta per promuovere i valori dell’inclusività.

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