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Svegliamoci! - La sfida della complessità

di Edgar Morin Edizioni Mimesis, 2022

Lo diceva già Ernst Bloch: “La filosofia o avrà coscienza del domani e sarà sapienza della speranza, prendendo partito per il futuro, o non avrà più alcuna conoscenza”, perché “pensare è varcare le frontiere”. Ma ammoniva: “Si tratta di imparare a sperare”. Il bellissimo testo di Morin, in modo essenziale e lucido, lancia la sfida: dobbiamo diventarerestauratori della speranza”. In un momento in cui “siamo al cuore della crisi e la crisi è nel cuore dell’umanità”, in cui l’era dell’ "antropocene" è anche quella del “thanatocene”, è necessaria la speranza.

Ma cos’è la speranza? Come la si impara?
La speranza non è quell’illusorio sentimento diffuso all’inizio della pandemia dell' "andrà tutto bene”: speranza è impegno responsabile, è azione proattiva che, come diceva Bloch, “ama l’esito positivo invece del naufragio”. È lavoro contro l’angoscia della vita perché, radicata nell’incompiutezza umana, alimenta l'intelligenza e la volontà degli esseri umani affinché possano, nel mondo e nella natura, avviare e sostenere un processo evolutivo verso la “civilizzazione della Terra e trasformare la specie umana in umanità”, come afferma Morin.

La speranza ha bisogno di una conoscenza adeguata dell’uomo, della natura, della storia: necessita di una riforma del pensiero, di una rivoluzione paradigmatica che, superando la linearità logico- aristotelica, tenga insieme antagonismi e contraddizioni complementari verso una visione complessa, aperta, flessibile di fronte all’incertezza della vita, in grado di adattarsi ai rischi.
Ripercorrendo la storia della Francia (ma il discorso vale anche per noi e tanti altri Paesi) Morin sottolinea che le crisi del nostro tempo possono indurre a fare scelte reazionarie piuttosto che umaniste: suprematismi, ritorno delle autocrazie, razzismo, mito dello sviluppo, tecnicismo e tentazione del transumanesimo (che vorrebbe trasformare la natura umana e sociale per controllarla) sono gli esiti nefasti di un pensiero e di scelte unilaterali che, guidate “dalla trinità scientifico-tecnico-economica, sempre più animata dal dominio insaziabile del profitto”, stanno distruggendo il pianeta e l’umanità.
Ogni crisi produce lucidità e cecità, immaginazione creatrice e immaginario reazionario: non c’è un esito necessariamente positivo della storia umana. “Governare è come tenere il timone, l’arte di dirigere è l’arte di dirigerSI, in condizioni di incertezza che si sono fatte drammatiche.”
Purtroppo “la mente umana ha ipersviluppato i suoi poteri sul mondo fisico e su quello vivente ma li ha sottosviluppati su tutto ciò che è umano”.
La speranza si impara. Come? Attraverso l’educazione e l’istruzione.
A partire dalla conoscenza di noi stessi.
Come diceva Pascal l’uomo è un “mostro incomprensibile”, la sua grandezza non deve nasconderne la debolezza strutturale, l’irrazionalità. Tutto ciò che è umano è bipolare: homo “sapiens e demens, faber e mitologicus, economicus e ludens”. L’essere umano è anche “unitas multiplex”: la diversità degli individui, delle culture, etniche e nazionali, possono originare conflitti e violenze o un processo di umanizzazione come miglioramento delle relazioni tra gli umani e con il pianeta.
Ma occorre "educare" la ragione e le passioni, orientare le nostre naturali contraddizioni al meglio e non al peggio, restituendo agli insegnanti il compito di formare “menti interrogative, in grado di problematizzare e di dubitare, capaci di autocritica e critica”, riformando i programmi in vista di temi utili per affrontare i problemi vitali di oggi, superando il nozionismo frammentato delle discipline ed elaborando visioni d’insieme che orientano le scelte urgenti per il futuro dell’umanità e del pianeta.
I pericoli di una interdipendenza tecnico economica priva di solidarietà e di un sapere scientifico inquinato anch’esso dal potere del denaro impediscono di costruire quella cosciente “comunità di destino dell’umanità” che sola può salvarci da un sonnambulismo pericoloso che ci porta alla distruzione.
La riforma del pensiero deve generare una “politica umanista”: ecologica, energetica, dell’acqua, dei luoghi abitati dagli esseri umani, dell’economia e della produzione, della riforma dello stato e della società civile. “Una politica di civiltà mira a riportare umanità e convivialità nelle nostre esistenze. Essa mira a sviluppare l’autonomia individuale, la responsabilità, la libertà e a lottare contro l’egoismo…”, nel pieno riconoscimento della “piena umanità dell’altro”.
Con la concretezza che sempre accompagna il suo pensiero aperto e multiforme, Morin chiude la sua riflessione lasciandoci tre principi speranza che, se accolti, possono sostenere le nostre scelte.

  • Puntare sull’improbabile: "la speranza è nell’improbabile" perché in momenti drammatici del passato ha originato avvenimenti salvifici.
  • Fare affidamento sulle possibilità e sulla creatività della mente umana: “se sappiamo come distruggere il pianeta, abbiamo anche la possibilità di sistemarlo”.
  • Infine l’impossibilità, per un sistema che trasforma la società e gli individui in macchine, di durare all’infinito: il malfunzionamento e la fine inesorabile sono inevitabili. 

Mi auguro che le riflessioni e gli appelli di Morin raggiungano i giovani, gli studenti nelle scuole, le donne e gli uomini che non si arrendono al potere nichilista di chi, per controllare il mondo, lo sta distruggendo. La nuova politica umanista, auspica Morin, sia la “speranza coraggiosa della lotta iniziale” contro le resistenze opposte dalla barbarie e soprattutto un "progetto di salute terrestre" che accomuna tutti i “restauratori della speranza”.

La giovane poetessa Amanda Gordon all’apertura dell’assemblea ONU a New York ha recitato la sua poesia “An Ode We Owe”: “Chiedo solo che vivi consapevole e sveglio… ti sfido a dare ascolto a questa chiamata… Soprattutto ti sfido a fare del bene affinché il mondo sia grande”Se sappiamo ascoltarli i nostri giovani hanno energie, visioni e capacità di futuro.

Fate chiasso ragazzi!

Arianna Tegani, Commissione educazione Gariwo

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