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Anne Applebaum sulle commemorazioni del Primo conflitto mondiale

come sono cambiati i rapporti tra i Paesi

Il 10 novembre 2018 si è celebrato il centenario dell’armistizio tra Francia e Germania, che concluse la Prima guerra mondiale. Angela Merkel, alla presenza di un folto pubblico, delle delegazioni di 70 Paesi, del comando militare franco-tedesco che oggi è operativo grazie alla cooperazione interna alla Nato e all’Unione Europea, e con cori che cantavano i due inni e l’inno alla Gioia di Beethoven, è stata con Emmanuel Macron nel vagone su cui nel 1918, a Compiegne, i tedeschi firmarono l’armistizio, e dove 78 anni fa aveva marciato Hitler, per imporre la resa più umiliante possibile alla Francia occupata. Il giorno seguente seguivano le celebrazioni classiche all’Arco di Trionfo di Parigi. La storica Anne Applebaum ha commentato le celebrazioni sul Washington Post. Di seguito pubblichiamo le sue osservazioni tradotte.

Nell’undicesimo giorno dell’undicesimo mese e all’undicesima ora dell'anno – il momento in cui l’armistizio che poneva termine alla Prima guerra mondiale fu dichiarato un secolo fa – i leader delle nazioni che una volta si assassinarono l’una con l’altra in quel brutale conflitto si sono riuniti a Parigi. Ciò era quanto ci si attendeva. La sorpresa è stata il grado in cui un’occasione formale ha brillantemente mostrato lo stato delle relazioni fra gli ex alleati e gli ex nemici al giorno d’oggi.

Il Primo Ministro britannico, Theresa May, non c’era. Ha scelto di presenziare a una cerimonia a Londra, presieduta dal Principe Carlo, di fronte a un memoriale dei caduti di guerra della Gran Bretagna. Questo è un evento che ha luogo ogni anno, perciò non c’era nulla di sorprendente nella sua decisione di rimanere in patria. Tuttavia, accadeva alla fine di una settimana in cui il suo governo si è spaccato, litigando aspramente e pubblicamente sul modo in cui la Gran Bretagna lascerà l’Unione Europea e creerà nuovi conflitti con vecchi alleati. In questo contesto, l’assenza della Gran Bretagna, uno dei partecipanti più importanti alla guerra, sembra non lasciar presagire nulla di buono.

Mentre la maggior parte dei leader percorreva gli Champs-Elysées fino all’Arc de Triomphe, anche il Presidente USA, Donald Trump, non era presente. Trump il giorno prima non si era presentato presso un cimitero americano vicino a Parigi, adducendo la scusa della “pioggia”. L’11 novembre, il suo portavoce alludeva ai “protocolli di sicurezza” per spiegare la sua riluttanza. Dato che altri non si sono preoccupati della sicurezza, questa spiegazione sembrava insufficiente. Forse Trump era ancora furioso per le elezioni di midterm; o forse non poteva o voleva compiere un gesto di solidarietà nei confronti di alleati con i quali l’America ha lottato negli ultimi anni: in Europa, scrisse Trump nel 2000, “i loro conflitti non valgono le vite americane”. In ogni caso, è arrivato tardi. Con la sua tipica arroganza, il Presidente russo Vladimir Putin è arrivato perfino più tardi.

La Cancelliera tedesca, invece, non si è preoccupata dei protocolli di sicurezza. E nonostante la pioggia, Angela Merkel è riuscita il giorno prima a partecipare a una cerimonia presso il luogo dell’effettiva resa tedesca nel 1918. La Merkel è stata il primo Cancelliere tedesco a recarsi a Compiegne dopo Adolf Hitler, che insisteva che i francesi a loro volta vi si arrendessero, nel 1940. La sua volontà di presentarsi a Compiegne – e di inviare il Presidente tedesco (un capo di Stato più onorario che esecutivo) a Londra, sempre per la prima volta – è un genere di gesto che abbiamo imparato ad aspettarci da lei e dalla Germania, un Paese i cui leader politici credono ancora che il loro futuro risieda nelle alleanze costruite dopo le terribili guerre del 20° secolo. Ma sebbene ora ce li aspettiamo, vale la pena ricordarci, nel contesto della storia tedesca del post-1918, di quanto siano straordinari questi gesti.

Infine, al Presidente francese rimaneva il compito di riassumere tutte queste immagini e di esprimerle a parole. In Francia, un Paese avvezzo a pensare a se stesso come una grande nazione – fu Napoleone, il conquistatore di tanta parte dell’Europa, a ordinare la costruzione dell’Arc de Triomphe — ci sono stati storicamente sentimenti conflittuali sulle alleanze. Macron ha cercato di risolverli, cogliendo l’occasione per stilare una distinzione che viene raramente proposta, tra il patriottismo e il nazionalismo: “Il patriottismo è l’esatto opposto del nazionalismo. Dicendo che ‘i nostri interessi vengono prima e quelli degli altri non contano’ cancelliamo ciò che una nazione ha di più prezioso, ciò che la tiene in vita: i suoi valori morali”. Ma sebbene ormai ci aspettiamo questi argomenti da Macron – la possibilità di sentirsi contemporaneamente leali a un Paese e ai “valori universali” – non tutti in Francia ne convengono, e il Presidente francese è impopolare. Non vi è certamente alcuna garanzia che il suo successore, chiunque possa essere, uomo o donna, sosterrà gli stessi argomenti.

Come ho detto, era solo una cerimonia, solamente un evento organizzato con musica e bandiere. Ma possiamo anche riguardarlo, un giorno, come una delle ultime cerimonie del suo genere.

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