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​Giornata dei Giusti: memoria dell’offesa, memoria della scelta

di Anna Foa

Alla memoria dell’offesa, che vogliamo preservare da ogni tentativo di negazione, di rimozione, di indifferenza, vogliamo accostare la memoria della resistenza, della scelta. Alla Giornata della Memoria, che è la memoria dell’offesa, vogliamo accostare la Giornata dei Giusti. Se ne sentiva davvero il bisogno? Credo proprio di sì, e per molti motivi. Non si tratta di creare un’altra ricorrenza, ma di cercare attraverso la memoria dei Giusti di illuminare i problemi dell’oggi, di stimolare con l’esempio le scelte responsabili dell’oggi. Ricordando i Giusti, infatti, onorandone il coraggio e le azioni, interveniamo direttamente nella qualità della memoria dell’offesa - cioè della memoria della Shoah - e ne limitiamo possibili chiusure, eventuali fossilizzazioni. Attraverso i Giusti, possiamo guardare trasversalmente a tutti i genocidi che hanno caratterizzato il Novecento, a tutte le violenze che lo hanno segnato, perpetuando la memoria di quanti hanno fatto scelte di vita, hanno aiutato le vittime, hanno guardato in faccia il male. Alcuni non per una volta sola, come quell’Armin Wegner di cui Gabriele Nissim ci ha con maestria raccontato la storia, che ha saputo reagire tanto al genocidio degli armeni che a Hitler. Attraverso la memoria dei Giusti, che ci consente il confronto, rinunciamo a guardare l’offesa solo attraverso gli occhi delle vittime, abbandoniamo ogni tentazione di mettere in concorrenza le vittime. Il confronto tra i genocidi non mira a costruire una graduatoria del male ma, arricchito dall’esempio di quanti hanno consapevolmente e coraggiosamente scelto il bene, a sottolineare anche la forza eterna dell’esempio, la libertà dell’individuo di scegliere il bene.

Abbiamo molte volte ripetuto, e ne siamo tuttora convinti, che ciò che distingue gli ebrei (e in un certo senso anche i rom e i sinti) dalle altre vittime non è tanto la quantità del male subito, ma il fatto di averlo subito senza scelta, per il solo fatto di essere nati. È vero, certo, ce ne parla anche Primo Levi in un confronto tra gli internati militari e gli ebrei. Gli ebrei non hanno scelto, anche perché non avevano alcuna possibilità di scelta. Ma se solo l’avessero avuta (e nel campo riemerge sotto altre forme, ad esempio nei kapò) ecco che sarebbero stati riportati a quel calderone di varia umanità (i prigionieri, gli esseri umani) che potevano cercare di sopravvivere a spese dell’altro oppure dedicare la loro vita a salvarlo.

Ed ecco che ricordare i Giusti, ricostruirne le storie tanto spesso dimenticate, le scelte sofferte e dense di pericoli, ci aiuta a ricomporre quella storia, la memoria dell’offesa. Non solo storia di vittime ma storia di Giusti, di salvatori. E il male è ciò che ha avuto bisogno di giusti per non trionfare. C’è nella nostra volontà di celebrare i Giusti un bisogno di ricomposizione, di tikkun. Un bisogno di riportare le vittime per eccellenza, gli ebrei, dentro l’umanità tutta. Non solo vittime, potremmo dire. Esseri umani, innanzi tutto, come coloro che hanno provato a salvarli, a proteggerli. Nessun ebreo in Italia, è stato detto, si sarebbe salvato se non ci fosse stata la mano di un non ebreo protesa a sorreggerlo, nasconderlo, nutrirlo. Sottrarlo al suo destino di vittima e rimetterlo fra gli esseri umani. Questo dobbiamo trasmettere per far sì che la memoria non sia una parola vuota e che le generazioni imparino a scegliere e ad essere responsabili.

Anna Foa

Analisi di Anna Foa, storica

23 settembre 2016

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