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I Giusti, ieri e oggi

di Giorgio Mortara

Pubblichiamo di seguito il discorso di Giorgio Mortara, vicepresidente UCEI, al convegno "Dalla memoria della Shoah ai Giusti del nostro tempo" tenutosi alla Camera dei deputati il 26 gennaio 2017

La figura dell’Uomo Giusto (lo Zadick) è presente sin dagli albori in tutta la letteratura ebraica dalla Torah (Pentateuco) al Talmud sino alla saggistica, ed ai romanzi-testimonianza (cito l’Ultimo dei Giusti di Schwarz-Bart). Nel libro di Genesi si parla per la prima volta dei Giusti nel famoso episodio della distruzione di Sodoma e Gomorra. Nella descrizione dell’episodio si mettono a confronto la presenza di Giusti, grazie alla quale Dio sarebbe disposto a risparmiare la città, e il peccato principale dei cittadini di Sodoma e Gomorra – l’egoismo e la mancanza di solidarietà umana – per il quale meritano la distruzione.
I Giusti, secondo i Profeti, sono coloro, che anche a prezzo della propria vita, praticano solidarietà ed accoglienza, soccorrono deboli e oppressi, non cedono all’idolatria, cioè alla adorazione di cose e conquiste cui vien dato parvenza di divino in quanto soddisfano i propri comodi.
Abramo intercedette per la salvezza di Sodoma, ma la sentenza divina fu eseguita perché non esisteva tra i suoi abitanti nemmeno uno con l’ombra del pentimento rispetto al sentimento egoistico che permeava il pensiero di tutta la città.

Tuttavia il nostro Patriarca un risultato lo ottenne nel celebre faccia a faccia con Dio: il farsi strada nella coscienza individuale dell’uomo del senso della responsabilità personale di ciascuno nei confronti dell’intera collettività umana, la consapevolezza che in capo a ogni uomo sta un dovere di solidarietà collettivo e che esso va oltre le appartenenze, le convenienze personali e le logiche di gruppo. «Quando i giusti vengono al mondo, il bene pure viene nel mondo e la sventura ne è scacciata, ma quando i giusti se ne vanno dal mondo, la sventura ritorna nel mondo e il bene ne è scacciato.» è scritto nel Talmud (Tosefta, Sotà, X, 1).

La tradizione ebraica afferma che in qualsiasi generazione della storia dell'umanità sono sempre presenti 36 Giusti che ne garantiscono la continuità. Questi Lamed-waw, come sono chiamati nel mondo ebraico i 36 Giusti, non sono distinti dai comuni mortali e, spesso, non sanno d'esserlo neanche loro. Come raccontano le leggende ebraiche, molti di loro non hanno coscienza esplicita del compito che loro è affidato, ma, guidati dall’anelito di giustizia, pur nell'umiltà del loro essere, emergono per salvare i propri simili da pericoli e da disastri, per poi ritornare nell’ombra.

Questa tradizione ci insegna che anche nell’abisso più buio e anche nella condizione storica più disperata, c'è sempre un barlume di giustizia ed un esempio di umanità al quale possiamo aggrapparci.

Questo barlume tiene aperta la porta della giustizia all’universalità dell’umanità, cioè riguarda tutti gli uomini, ebrei e non, perché l’essere un Giusto non è legato all’appartenenza ad un popolo, ad un credo religioso o politico; esiste un dovere universale di giustizia che chiama tutti gli uomini, appartenenti a tutte le nazioni del mondo a compiere azioni che possano portare a salvare vite umane, anche una sola, perché, come affermato nel Talmud, “Chi salva una vita umana salva un mondo intero”.

Il termine "Giusto tra le Nazioni" (o meglio “Pio tra le nazioni”) in epoca medievale inizia ad assumere anche una valenza non solo religiosa e viene applicato dalle comunità ebraiche perseguitate ai non ebrei che si comportano nei loro confronti in modo equo e umano.

Solo in tempi moderni, al termine della Seconda Guerra Mondiale, assume un senso più ampio, non più direttamente legato all’ambito religioso per riferirsi a tutti quegli uomini non- ebrei che mostrarono un incondizionato impegno e coraggio nel proteggere dallo sterminio la vita di ebrei, anche di uno solo. "La luce dei Giusti irradia l'intera umanità e rappresenta un formidabile paradigma sia in tempo di pace che in tempo di crisi, quando il buio cala sul nostro mondo e la violenza, l'odio, la negazione dei diritti costituiscono una minaccia quotidiana alla vita democratica.”

Conoscere e divulgare le storie di chi si è opposto all'oscurità, nei diversi periodi del nostro recente passato, rappresenta pertanto un'opportunità di inestimabile valore che ci aiuta a capire l’importanza delle conquiste ottenute e il loro peso specifico nelle nostre esistenze. Celebrando gli umili eroi di ieri e di oggi, raccontando il loro coraggio, il loro sogno, la loro tenacia, rafforziamo i valori che uniscono popoli e culture diverse nel comune anelito di pace, libertà e fratellanza universale.

Il Giusto è un cittadino del mondo e non ha una sola patria. Ma quando viene ricordato e valorizzato fuori dai suoi confini acquista una nuova cittadinanza, come accade normalmente per i grandi artisti, scrittori e filosofi.

Nei Salmi (11, 3) è scritto: “Quando le fondamenta sono state distrutte, cosa può fare il Giusto?”. I nostri Maestri interpretano che quando i malvagi distruggono i fondamenti dell’umanità, solo l’azione dei Giusti può evitare che il loro disegno perverso possa avere successo.

E così che il senso di umanità, operò attraverso i vari Gino Bartali, Giovanni Palatucci, Giorgio Perlasca, i numerosi religiosi e le centinaia di anonimi italiani per mantenere il senso di solidarietà che deve legare gli esseri umani.

Yad Vashem in Israele ha dedicato alla memoria dei 297 Giusti fra le Nazioni (Chasidei Umot HaOlam) italiani un albero nell’annesso Giardino dei Giusti, albero che resta a richiamo dell’esempio che la loro memoria ci propone di fronte alla negazione della legittimità dell’esistenza di ogni uomo.

Qualcuno potrà obiettare che una memoria universale possa banalizzare la Shoah e che la categoria dei Giusti non si debba estendere a crimini e genocidi diversi dallo Sterminio non ritenendoli comparabili con quanto accaduto agli ebrei durante il dominio nazista.

La risposta migliore l’ha data Avraham Burg, l’ex presidente della Knesset (il Parlamento israeliano), in un suo recente libro in cui ha affermato che ci sono due modi per ricordare la Shoah: attraverso quelli che dicono che Auschwitz non si deve più ripetere per noi, intendendo “per noi” soltanto gli ebrei oppure attraverso quelli che invece sostengono che “ciò che è accaduto agli ebrei non deve più ripetersi per tutti gli esseri umani”.

Se si persegue la prima ipotesi, che forse ha avuto una ragione di essere quando, nel secolo scorso, le responsabilità per la Shoah erano rimosse in troppi Paesi e i sopravvissuti dovevano difendersi dall’oblio, la memoria rimane affidata alla sola attività della Diaspora e dello Stato d’Israele, e con il tempo e la scomparsa dei testimoni, rischia progressivamente di affievolirsi e di venire meno. Per assurdo perché un africano, un indiano, un neozelandese dovrebbe sentirsi in obbligo di ricordare l’Olocausto quando gli si dice che è una questione che riguarda solo gli ebrei?

Se invece il ricordo della Shoah viene percepito come un monito affinché un genocidio non si ripeta per tutti gli uomini, la memoria della Shoah diventa universale e un imperativo morale per tutti gli Stati e le istituzioni internazionali, non ci può essere uomo, in qualsiasi angolo del mondo, che non debba sentirsi responsabilizzato. In questa ottica la valorizzazione dei Giusti diventa uno dei capisaldi morali per ricordare che la salvezza del mondo, e dunque anche degli ebrei, dipende sempre dall’esistenza di uomini giusti che sono l’unica speranza possibile per la prevenzione dei genocidi e per la difesa di vite umane perseguitate.

La Tradizione ebraica è caratterizzata dall'imperativo categorico ZACHOR, ricorda. "Noi ebrei - scriveva Martin Buber nel 1938 - siamo una comunità basata sul ricordo. Il comune ricordo ci ha tenuti uniti e ci ha permesso di sopravvivere...".

"Ricorda i tempi antichi, cercate di comprendere gli anni dei secoli trascorsi, interroga tuo padre e ti racconterà, i tuoi anziani e te lo diranno....". (Deuteronomio, 32; 7,) Nella lingua ebraica non c’è il termine storia che viene tradotto con “Toledot” che letteralmente significa “generazioni”. Non vi è dunque Storia se non attraverso ciò che una generazione riesce a tramandare alla successiva. In questo risiede l’imperativo morale di ricordare.

Ricordare è pensare e riflettere, della Shoah resta ancora molto su cui riflettere. Si deve parlare delle camere a gas, delle officine hitleriane, delle sperimentazioni mediche perché i morti sono si tutti uguali, ma non lo sono i modi di morire come ha recentemente sottolineato Donatella di Cesare in un suo editoriale per il Giorno della Memoria. Non vogliamo che si ripeta né la fabbricazione dei cadaveri né, tanto meno, quell’esperimento del non-uomo, mai compiuto prima, in cui l’umanità stessa è stata messa in questione.

Sebbene sia insopportabile, occorre ricordare quel che è accaduto perché viviamo all’ombra di Auschwitz e, senza conoscere, si rischia di non ri-conoscere, di non avvertire immediatamente la ricomparsa dell’odio per l’altro, il cripto nazismo, l’antisemitismo che sempre più apertamente preoccupano e agitano la vita di ogni giorno in Europa.

Non un tardivo riconoscimento al popolo ebraico per la tragedia di cui è stato vittima, ma la consapevolezza che la Shoah è ammonimento a tutta l’umanità, oltre che memoria per gli ebrei. La cancellazione delle tracce dello sterminio rischiano di far trascurare i sintomi premonitori di altri stermini.

L’indifferenza da parte di noi cittadini europei nei confronti delle centinaia di migliaia di persone che fuggono dai loro Paesi in guerra o colpiti dalla carestia e dal terrorismo e cercano rifugio nei nostri Paesi, è colpevole e ricorda il comportamento tenuto nei confronti degli ebrei e dei perseguitati per motivi razziali o politici nel secolo scorso.
Forse ancora non lo avvertiamo, ma i morti nel flusso migratorio che sta coinvolgendo il nostro mare, suonano come una terribile accusa per la nostra Europa che non ha saputo e non intende intervenire per tempo con soluzioni applicabili alla risoluzione di questo problema.

Nel 2015 nel Giardino dei Giusti di Milano è stato posto un cippo e piantato un albero per ricordare l’eroismo della Guardia Costiera italiana.

A lungo la memoria è sembrata solo ricordarsi dell’offesa subita. Ma la memoria non è solo questo. È anche ricordo delle scelte fatte, dei bivi a cui ci si è periodicamente trovati e dei percorsi che si sono intrapresi per rispondere alla barbarie e alla violenza che si doveva fronteggiare per non subire più. In questo caso memoria è sottolineare la capacità che ha accompagnato la scelta della libertà, dando forma e vita a un progetto di e per il futuro. L’esatto opposto del destino come ha ben sottolineato lo storico sociale delle idee David Bidussa.

In Israele si celebra lo Yom HaZikkaron laShoà ve laGhevurà, il giorno del ricordo della Shoà e dell’Eroismo.
Perché lo Zikkaron, la Memoria, non può passare solo per il buio della distruzione, ma deve nutrirsi anche delle luci dell’eroismo. L’eroismo di chi impastava Matzot (i pani azzimi della nostra Pasqua) in un ghetto polacco nel 1943, l’eroismo di chi accendeva pubblicamente la Chanukkià (la lampada della Festa delle Luci) in un campo di transito olandese negli anni del 1940, l’eroismo del teatro in pieno ghetto di Varsavia, l’eroismo dei ribelli dei ghetti, l’eroismo dei Giusti tra le Nazioni: gli oltre 26000 uomini e donne che danno senso alla parola umanità. Perché "il binario di una Memoria che non educa alla fiducia nell’umanità, è un binario morto, un binario celebrativo e non educativo, un binario pericoloso che non insegna ma nutre di revanscismo o, peggio ancora, pietismo". (Rav P. Punturello)

La Memoria come spazio educativo per le nuove generazioni deve essere il nostro obiettivo. Occorre avvicinare i giovani a queste figure di resistenti, di combattenti ma anche a coloro che hanno incitato gli altri a dissociarsi dalle sopraffazioni risvegliando le coscienze combattendo l’indifferenza, offrendoli come esempio per promuovere l’impegno civile e l’assunzione personale di responsabilità.

Dobbiamo ricordare e fare emergere le figure di coloro che anche negli attuali conflitti e attacchi terroristici si sacrificano per salvare il prossimo, per vincere l’odio verso il diverso e per salvaguardare i valori dell’Umanità come - Khaled al Asaad, il custode di Palmira.

Questi modelli di riferimento debbono essere insegnati, fatti conoscere, perché scatti quel meccanismo di emulazione edificante indispensabile alla formazione di una coscienza civile.

Non è sufficiente ricordare, ma bisogna agire per difendere la nostra libertà come hanno fatto nel passato i nostri genitori e come cerchiamo o dovremmo fare tutti noi anche oggi per combattere ogni sopruso ed ogni schiavitù.

Importantissimo, ancor più di tutte le manifestazioni e le cerimonie, è il lavoro capillare che viene fatto dal Giardino dei Giusti, da Gariwo e da molte altre associazione e istituzioni (CDEC, Memoriale della Shoah) nelle scuole con insegnanti ed alunni.

Non è tuttavia la memoria in se stessa il mezzo per migliorare la società, quanto la sua capacità di saper proiettare la propria visione nel futuro. È solamente attraverso la prospettiva del domani che si possono realizzare cose grandiose. Non bisogna quindi dimenticare la propria storia, tutt’altro, ma per saperne scrivere una nuova e più bella non basta conoscere il passato, bisogna avere anche il coraggio per lottare per un futuro migliore e più giusto come hanno fatto coloro che ricordiamo oggi come Giusti.

Giorgio Mortara

Analisi di Giorgio Mortara, rappresentante UCEI nell'Associazione Giardino dei Giusti di Milano

30 gennaio 2017

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