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I maestri del pensiero del Giardino dei Giusti

Lectio per l'apertura della Giornata Europea della Cultura Ebraica

Un'immagine dell'Anfiteatro Ulianova Radice al Giardino dei Giusti di Milano

Un'immagine dell'Anfiteatro Ulianova Radice al Giardino dei Giusti di Milano

Quali sono gli elementi culturali e fondativi del Giardino dei Giusti di Milano che ha portato poi alla nascita di centinaia di Giardini dei Giusti in Italia, in Europa e in Medio Oriente e alla promulgazione della Giornata dei Giusti in Europa e in Italia?

Prima di tutto, una concezione della memoria che pone il riscatto delle vittime della Shoah nella responsabilità del tempo presente. La memoria vera è quella che lascia dei segni tangibili nei comportamenti delle persone. Ci dovrebbe essere una sorta di benchmarking, come quello che quantifica le prestazione dei computer, come scrive Valentina Pisanty ne I guardiani della memoria, Bompiani. Si tratta sempre di valutare i risultati concreti di una cultura della memoria nell’opinione pubblica e non avere paura di fare un discorso autocritico quando la retorica prende il posto della riflessione e non incide sulla politica degli Stati.

Due grandi personaggi come l’ebreo americano di origine polacca Raphael Lemkin e lo studioso israeliano Yehuda Bauer sono partiti dalla Shoah per affrontare il tema della prevenzione dei genocidi. Tutti e due si sono mossi nello stesso orizzonte. La lezione della Shoah dovrebbe servire a tutta l’umanità, affinché quanto è accaduto agli ebrei non si ripeta non solo per il popolo ebraico, ma per ogni minoranza in ogni parte del mondo. È quindi un mai più non solo specifico per un popolo, ma con un carattere universale. Del resto, quando i segni del male sono riaffiorati nel mondo per uno strano destino hanno sempre colpito il popolo della diaspora, forse in quanto più cosmopolita.

Nel suo ultimo libro The Jews: a contrary people, Bauer mette in discussione l’idea dell’unicità della Shoah con un argomento molto particolare. Se il genocidio degli ebrei fosse un fenomeno unico nella storia ce lo potremmo anche dimenticare perché non avrebbe più importanza nella nostra vita. È accaduto una volta e non si ripeterà più, e quindi, aldilà del nostro orrore, ci sentiremo rassicurati perché non ci riguarderà più. Il concetto di unicità porta a ritenere che la Shoah sia avvenuta per fattori extrastorici, come se fosse opera di un Dio o di un demonio, un'ipotesi che spesso viene alimentata negli ambienti religiosi. Bisogna invece affermare, sostiene Bauer, che essa è il risultato delle azioni degli esseri umani e definirla come un non precedente nella storia dell’umanità, la forma più estrema di un genocidio. E se è un non precedente si potrebbe dunque ripetere sotto nuove forme. Il nostro compito è allora quello di costruire una strategia internazionale che possa pervenire nuovi genocidi nella storia. Il compito della memoria fallisce se quel non precedente, da monito per il nostro futuro, si trasforma in un precedente. È questa la grande sfida.

È quanto ha cercato di fare Raphael Lemkin, quando ha fatto approvare dalle Nazioni Unite nel 1947 la Convenzione per la prevenzione de genocidi, che dovrebbe impegnare tutti gli Stati del mondo nel denunciare e bloccare ogni tentativo genocidario. Purtroppo, è un meccanismo che ha funzionato poche volte per via del diritto di veto delle grandi potenze, che per i loro interessi hanno preferito spesso coprire i peggiori crimini contro l’umanità, come è accaduto in Cambogia, in Ruanda, nel Darfur, dove la Comunità internazionale è rimasta in silenzio.

Ecco perché il vuoto delle grandi potenze può essere riempito dalla responsabilità dei singoli individui, che con le loro azioni personali possono spingere la Comunità internazionale ad assumere una maggiore responsabilità. Ecco perché nel Giardino dei Giusti raccogliamo le storie di chi ci ha provato, durante la Shoah e altri genocidi. I cittadini sono la rete che dal basso, con azioni esemplari, può nel corso del tempo dare forza al progetto di Lemkin. Come osserva Bauer, siamo ancora, nonostante tutto, soltanto all’inizio di un percorso internazionale che richiederà molte battaglie. Ma è questo il fine a cui deve tendere il lavoro della memoria: educare in un percorso senza fine ogni nuova generazione di fronte al minimo segno di odio e rendere attiva la politica della prevenzione internazionale.

Il secondo punto fondamentale è stata una riflessione sul concetto di Giusto a partire dall’esperienza di Moshe Bejski, l’artefice del Giardino dei Giusti di Gerusalemme. I Giusti rappresentano in ogni contesto estremo la possibilità di scelta degli esseri umani. Un genocidio, come del resto un regime totalitario, come aveva ben compreso Étienne de La Boitie, grande amico di Montaigne, si rende possibile non solo per l’opera dei carnefici, ma per il coinvolgimento passivo o attivo degli esseri umani. Per intenderci, Hitler e Stalin hanno potuto vincere nelle loro società a partire da quanti hanno detto loro di sì e li hanno sostenuti. Chi non lo ha fatto, in varie forme, ha inceppato il meccanismo.

I Giusti, quindi, rappresentano la possibilità di resistenza degli esseri umani. Non sono un mondo a parte o un'eccezione, ma rappresentano la possibilità alla portata di tutti di incidere nel corso degli avvenimenti. Sono coloro, infatti, che prendono in mano il proprio destino quando la storia prende una cattiva direzione.

Un punto centrale in questa riflessione è il valore del singolo individuo nella contrapposizione al male. Un uomo ha sempre la possibilità con le sue azioni di diventare argine contro il male. Può non solo accadere che un uomo sia in grado di salvare una vita, ma anche che diventi il protagonista di un movimento capace di salvare una nazione intera. È ciò che è accaduto per esempio in Bulgaria, quando Dimiter Peshev, il vicepresidente del parlamento, sconvolse i piani di un regime che stava consegnando gli ebrei ai tedeschi, o in Unione Sovietica, quando il russo Stanislav Petrov in un bunker sovietico fu in grado da solo di impedire una guerra nucleare, con la sua reazione a un errore dei computer che aveva fatto scattare l’allarme di un lancio di missili americani sul territorio sovietico.

L’uomo, come diceva il filosofo Jonas, è un essere minuscolo e imperfetto, che però è l’unico in grado di fare dei miracoli su questa terra. Da questo punto di vista, è importante osservare come una delle prime decisioni di Yad Vashem sia stata quella di valorizzare le azioni dei singoli, quando in molti avrebbero voluto dare il titolo di Giusto ad organizzazioni collettive, come sindacati, partiti, congregazioni religiose.

Moshe Bejski mi ha spinto a ragionare sul bene possibile perché i Giusti non sono santi o eroi, ma uomini che, nell’ambito delle loro possibilità, sono stati capaci di compiere azioni spesso anche minute, che però hanno potuto lasciare un segno. Da questo punto di vista, la responsabilità più grande non l’hanno coloro che hanno avuto paura delle morte e non hanno avuto il coraggio di combattere una battaglia al di là delle loro forze, ma quanti avevano la possibilità di aiutare senza un rischio sovraumano e sono stati invece indifferenti. Ecco perché ha un grande valore ricordare nei Giardini le persone che in situazioni di crisi hanno fatto un bene normale e non eroico. Direi che sono proprio queste persone che maggiormente possono spingere all’emulazione e rappresentano spesso l’ago della bilancia.

Moshe Bejski, consapevole del conatus, lo spirito di sopravvivenza che orienta tutti gli uomini di cui parla Spinoza, sosteneva che se si chiede agli uomini l’impossibile, la maggior parte di essi trova immediatamente delle giustificazioni per spiegare la resa. Se invece si mostra la possibilità di un bene normale, una presa di coscienza sulla responsabilità personale diventa più fattibile. È questa la grande sfida.

Qual è il significato di ricordare i Giusti nella società?

In primo luogo, è un segno di gratitudine. Moshe Bejski si arrabbiava moltissimo quando un salvato si dimenticava del suo salvatore. La questione può sembrare solo legata ad un peccato di distrazione o a un sentimento egoistico di non riconoscenza. In realtà, è più complessa. Chi compie un'azione di bene agisce spesso in solitudine, con paura e timore. Si prende comunque un rischio. Se la società non lo riconosce, può smarrire la sua forza. Il riconoscimento è la molla che spinge l’uomo a migliorare. È un principio sbagliato ritenere che chi fa del bene debba sentirsi soddisfatto solo per il suo gesto. È vero, il bene che compi ti fa sentire meglio, ma poiché tutti noi siamo uomini fragili su questa terra, e non in un ipotetico paradiso, abbiamo bisogno di sentire un grazie. L’idea che il bene sia gratuito e basti a se stesso è una grande illusione, perché l’uomo è sempre un essere sociale che ha bisogno di sostegno.

Anche l’uomo giusto ha bisogno di essere salvato dal suo salvatore o dal riconoscimento della società. È questo il punto fondamentale della responsabilità personale che si esprime in una manifestazione di gratitudine.

Il secondo punto importante del ruolo dei Giardini dei Giusti è quello dell’educazione della società. Come spiegava bene Kierkergaard, l’insegnamento morale non deve passare da un'imposizione autoritaria dall’alto, ma deve mettere l’individuo in condizioni di scegliere autonomamente con un percorso personale; per questo egli ha individuato il valore educativo della comunicazione indiretta

È questo un concetto fondamentale alla base dell’attività di un Giardino. In questa struttura, il visitatore non riceve né comandamenti, né ordini morali, né prediche su quello che è giusto fare. Egli invece viene sollecitato ad ascoltare storie. La storia di un Giusto ha un effetto terapeutico. Grazie alla descrizione di un'esperienza vissuta, la persona si può interrogare sulla sua vita, raccogliere sollecitazioni, pensare. Può scegliere se prenderla come punto di riferimento, sentire un suo richiamo, decidere da solo se quella vita particolare potrebbe orientare la sua. Il visitatore è libero di credere o di non credere, di agire e di non agire. La predica dall’alto è un'imposizione, l’esempio di una vita concreta è invece uno stimolo.

Tutta la struttura architettonica del nuovo Giardino dei Giusti di Milano è stata concepita con questo scopo. Prima di tutto, il visitatore viene stimolato alla comparazione tra le varie storie di responsabilità nei differenti genocidi o totalitarismi. Chi passeggia tra gli alberi e le targhe viene sollecitato ad avere una visione universale della condizione umana, e a non fermarsi solo davanti a una storia che lo ha toccato da vicino, come è il caso del fascismo in Italia. Egli infatti viene a conoscenza di diverse storie di resistenza morale che riguardano altri Paesi e differenti contesti storici.

Il passo successivo è lo stimolo alla comparazione tra passato e presente, perché accanto alle storie dei Giusti della Shoah, del Gulag o del genocidio armeno, il visitatore trova esempi di responsabilità morale che riguardano il nostro tempo. Così riceve il messaggio che il meccanismo della scelta per gli esseri umani di fronte al male non si esaurisce mai nella storia. Egli comprende meglio il presente perché lo legge attraverso la memoria del passato e, riflettendo sulle scelte difficili dei nostri contemporanei (chi per esempio ha rischiato la vita oggi per salvare i migranti o ha lottato contro il terrorismo o per la libertà delle donne nel fondamentalismo religioso), diventa più empatico nei confronti dei Giusti del passato, che non gli appaiono più come se fossero vissuti in un film tragico che non lo riguarda. 

Alla fine del suo percorso si ritrova in due piazze. La prima, più piccola e personale, dove si può sedere su una panchina e meditare, da solo o con un amico. Nella seconda si trova in un anfiteatro più grande, concepito per creare un momento di discussione collettiva di una scuola, di un’associazione, di un gruppo di quartiere… Il visitatore può così uscire dal suo anonimato e mettersi in discussione davanti ad una piccola polis, in cui può esprimere pubblicamente le sue posizioni. Egli così si mette in gioco ed esprime, dopo la visita, la promessa della sua responsabilità. Ha prima scoperto le storie degli altri e ora deve cominciare a narrare la propria. È una sorta di esercizio spirituale che comincia quel giorno, ma che poi, con un atto di libera scelta, si può estendere nella sua vita attiva e quotidiana.

Il Giardino ha così una funzione maieutica di tipo socratico. Attraverso le storie dei Giusti il visitatore si è posto delle domande e può forse mettersi in discussione e affrontare senza alcuna imposizione i suoi stessi pregiudizi, che Socrate chiamava i pensieri congelati.

Cosa significa parlare dei Giusti del nostro tempo? 

Prima di tutto, affermare un concetto importante: la categoria dei Giusti è sempre legata alla contingenza del tempo e i meccanismi della responsabilità sono sempre diversi. Lo diceva bene Eraclito: "Acque sempre diverse scorrono per coloro che s'immergono negli stessi fiumi". Così la forma del bene e la forma del male. Un Giardino dei Giusti, con tutta la prudenza necessaria, deve presentare alla società gli esempi migliori.

Oggi il Coronavirus ci ha messo di fronte ad un cambiamento repentino di un'epoca e ci ha mostrato le grandi sfide che ci aspettano. La pandemia ci ha mostrato qualcosa di incredibile a cui, con il nostro individualismo, ci siamo spesso dimenticati di pensare. La salvezza del singolo è legata alla preservazione dell’altro. Portiamo la mascherina per proteggere noi stessi, ma anche il nostro prossimo. Da qui ci accorgiamo che se vogliamo vincere questa battaglia, come ha sostenuto lo storico israeliano Harari, dobbiamo lavorare per una risposta globale. Non ci si salva da soli, ma tutti assieme. Siamo tutti chiamati alla tutela degli anziani. Una delle grandi conquiste della modernità, come l’allungamento della vita, sembra oggi in pericolo. Fa venire i brividi l’insensibilità verso gli anziani a cui abbiano assistito, come se la loro vita fosse un prezzo normale da pagare. Eppure questo concetto di solidarietà globale tra i Paesi e tra le generazioni fa fatica ad affermarsi, in quanto vediamo nel mondo soffiare il vento delle tentazioni nazionaliste e costatiamo come tra le grandi potenze aumentino i contrasti, che possono portare anche a nuove guerre fino a poco tempo impensabili.

Questa tremenda regressione ci fa pensare che un'umanità divisa non sarà in grado di affrontare la sfida più importante che minaccia la sopravvivenza del pianeta: i cambiamenti climatici. O saremo uniti o ci aspettano catastrofi in tutto il mondo. Non c’è poi solo una regressione pericolosa nei rapporti internazionali, ma vediamo come si rafforzano le autocrazie e nelle democrazie sembrano godere di grande popolarità i leader che soffiano sul populismo. Molti di questi hanno fomentato in modo scientifico l’odio sui social per indebolire le istituzioni democratiche. L’hate speech è diventato un veleno nelle democrazie.

Su questa deriva in corso dobbiamo riflettere con attenzione, perché, come osserva Yehuda Bauer, la democrazia rimane il baluardo più importante per la prevenzione delle guerre e dei genocidi. Un mondo con una crisi delle democrazie crea purtroppo gli scenari peggiori.

Ecco perché è importante valorizzare gli uomini che oggi lavorano per la cooperazione, per il rafforzamento delle istituzioni internazionali, per la difesa della democrazia. Per questo Gariwo si propone, dal Giardino di Milano, di valorizzare tre uomini simbolo di queste grandi battaglie. Nella bibbia si racconta che in ogni epoca ci sono uomini che prendono in mano le sorti del mondo. Li chiamano i giusti nascosti. Io li definisco invece, come il mio maestro Moshe Bejski, l’élite dell’umanità a cui dobbiamo aggrapparci per costruire il futuro. 

Tra questi 36 giusti ci metterei senz’altro il medico italiano Carlo Urbani, che pagò con la vita la sua battaglia contro la SARS; i coniugi cinesi Liu Xia e Liu Xiaobo, che furono i grandi protagonisti della battaglia per la democrazia in Cina e per questo pagarono con la prigione la loro missione, e infine uno statista internazionale come Dag Hammarskjöld, che dedicò la vita alla costruzione delle Nazioni Unite e per il suo coraggio controcorrente morì in un misterioso incidente aereo il 17 settembre 1961, mentre era impegnato a risolvere la crisi congolese. La sua storia è oggi molto importante perché, di fronte a chi oggi vorrebbe smantellare le Nazioni Unite, ci richiama al valore della collaborazione internazionale.

Non c’è altra possibilità. Dobbiamo sentirci cittadini del mondo se vogliamo prenderci cura del nostro piccolo pianeta. È questo a mio modo di vedere il contributo più importante dell’ebraismo.

Gabriele Nissim

Analisi di Gabriele Nissim, Presidente Fondazione Gariwo

7 settembre 2020

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