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La Casa dei Destini di Budapest

bel gesto di Orbán o colpo di spugna sulla storia ungherese?

"Perfino prima di aprire i battenti, il nuovo museo della Shoah di Budapest divide la comunità ebraica, fa andare su tutte le furie gli storici e tiene impegnati i diplomatici, nonostante il fatto che il governo di Orbán riconosca 'la responsabilità dello Stato ungherese' nella Shoah". Così scrive Ofer Aderet su Haaretz dell'8 dicembre 2018. Pubblichiamo la sua analisi tradotta.

Il Prof. Yehuda Bauer, lo storico della Shoah israeliano più famoso nel mondo, è ancora una volta turbato. A solo pochi mesi dalle aspre critiche al governo israeliano per “avere ceduto” alla narrazione polacca della Shoah, ora la sua attenzione è rivolta a un altro Paese dell’Est Europa che affronta il suo passato. Si tratta dell’Ungheria, dove un dibattito molto acceso sul nuovo museo dell’Olocausto, la Casa dei Destini, è in corso proprio in questi giorni. “Chiediamo agli ungheresi di riconoscere che tutto il Paese, e non solo “alcuni ungheresi”, collaborò con i tedeschi”, ha dichiarato Bauer su Haaretz giovedì, parlando in qualità di Presiente onorario della International Holocaust Remembrance Alliance.

L’imponente struttura nell’Ottavo Distretto di Budapest, un’area che è stata riqualificata da luogo malfrequentato a importante nodo per il tempo libero, non si può non vedere. La grande stella di David sulla facciata dell’edificio risalta come se fosse sospesa nell’aria. La luce che risplende da essa vuole illuminare l'intera notte, almeno secondo il progettista. Il governo ungherese non ha certo lesinato sull’iniziativa – l’edificio è costato 18 milioni. La struttura è stata inaugurata nel 2015, ma è ancora vuota, in attesa di componenti che il governo deve ancora fornire. L’apertura ora è stata prorogata per un tempo indefinito perché non si è riusciti ad accordarsi su come verrà presentata la parte più delicata della storia – il coinvolgimento dell’Ungheria nei crimini dei nazisti. La battaglia si è trasformata in poco tempo da un dibattito fra storici a una lotta tra politici. È riuscita inoltre a spaccare la comunità ebraica locale, trapelando all’estero. L’edificio, che sarebbe dovuto diventare uno dei tanti musei della Shoah nelle varie capitali del mondo, non è stato visitato nemmeno da un turista. In Ungheria, come altrove, è diventato un simbolo del dibattito sulla Memoria del passato. Quest’anno, al Rosh Hashanah, la comunità ebraica ungherese, che si oppone all’apertura del museo, è stata colta di sorpresa quando il governo di Viktor Orbán ha inviato alcuni dirigenti del museo presso un giovane rabbino del luogo, Shlomo Koves. Il rabbino è affiliato al Chabad, il movimento chassidico internazionale. L’intento è quello di aprire il museo nel 2019, per il 75° anniversario della Shoah in Ungheria.

Koves, che è nato a Budapest nel 1979, è il nipote di un sopravvissuto alla Shoah e ha un dottorato in Storia ebraico-ungherese. Ha detto ai giornalisti di Haaretz che non parteciperebbe mai alla “distorsione della Storia”, aggiungendo che cercava di migliorare il pensiero di una generazione di ungheresi sulla memoria dell’Olocausto, come pure il loro atteggiamento verso gli ebrei e Israele. Al momento, è molto occupato con le mostre del museo, supportando gli storici e gli esperti, tanto locali quanto internazionali, dice. Parla delle intese con il governo ungherese; il museo “deve riflettere appieno i fatti storici e preservare la memoria dell’Olocausto. Le mostre del museo saranno libere da influenze politiche ed esprimeranno la vera storia della Shoah in Ungheria”. Alcuni membri della comunità ebraica hanno dichiarato che il Chabad non ha l’esperienza necessaria per portare avanti un simile progetto di museo e che la nomina di Koves è stata pensata per fare "da foglia di fico" per una glorificazione di Orban. Andras Heisler, Presidente delle Comunità Ebraiche Ungheresi, che era in Israele giovedì, ha dichiarato che il Chabad è arrivato in Ungheria solo 15 o 20 anni fa, non ha radici nel Paese e si è focalizzata sopratutto sulla religione, non sulla Shoah. Afferma inoltre che la sua organizzazione ha l’esperienza, gli archivi e i contatti internazionali adeguati per affrontare la materia, e che quindi non c’è bisogno del Chabad.

Le preoccupazioni espresse da Heisler, che è nato a Budapest nel 1955 da una famiglia che è nel Paese da secoli, sono condivise da Bauer. “Per ottenere un imprimatur ebraico, il governo ungherese ha reclutato un rabbino di cui nessuno ha mai sentito parlare e che non ha mai trattato questi temi”, ha detto Bauer.

Il punto di vista di Yad Vashem

Il Centro per la Memoria della Shoah Yad Vashem, che ha sede in Israele, e altre stimate organizzazioni internazionali, si oppongono al progetto. Nel 2014, i funzionari di Yad Vashem si sono dimessi dal forum internazionale che il governo ungherese aveva convocato per consultarsi sul progetto. Yad Vashem ha espresso “fondamentali critiche a riguardo la sua concezione e il suo contenuto”. Coloro che criticano la Casa dei Destini avanzano obiezioni anche sul coinvolgimento della Fondazione Pubblica per la Ricerca della Storia e della Società del Centro ed Est Europa, guidata da Maria Schmidt, considerata dai suoi critici la “storica di corte” di Orban. “Schmidt afferma che quando i tedeschi entrarono in Ungheria, gli ungheresi non avevano alcuna possibilità di opporvisi”, ha detto Bauer, che ha definito tale affermazione priva di fondamento perché, ha dichiarato, "fu il governo ungherese e non i tedeschi a fermare la deportazione degli ebrei ungheresi quando voleva. Lo fece il 7 luglio 1944. Se avesse voluto, avrebbe potuto fermarla anche il 19 marzo”, data in cui la Germania aveva occupato l’Ungheria. La maggior parte delle deportazioni era verso Auschwitz. Schmidt gestisce, inoltre, la Casa del Terrore, che traccia dei paralleli fra i crimini nazisti e quelli commessi dai comunisti. Si tratta di una narrazione comune nell’Est Europa post-comunista, che ha attirato critiche da alcuni studiosi della Shoah. Schmidt è anche proprietaria della rivista di Economia filogovernativa Figyelo. Nelle settimane passate, all’inizio di questo mese il servizio di copertina della rivista mostrava Heisler circondato da banconote fluttuanti; l’articolo lo accusava di coinvolgimento in irregolarità finanziarie. La copertina è stata ampiamente criticata come antisemita. Il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha inviato il suo consigliere diplomatico, Reuven Azar, per invitare il governo ungherese a denunciare l’antisemitismo nelle “controversie nazionali in Ungheria”.

Parlando al quotidiano Haaretz giovedì, Heisler ha definito la copertina antisemita e terrorizzante, aggiungendo che aveva visto simili raffigurazioni solamente nei libri degli anni ’30. E ha anche completamente negato le accuse contro di lui espresse nell’articolo. Heisler ha affermato che, anche se la rivista ha stretti legami con Orban, lui sperava che la reazione negativa suscitata dall’articolo in tutto il mondo servisse a evitare altre pubblicazioni di quel tipo di materiale. Tuttavia, successivamente Orbán si è rifiutato di condannare la rivista.

Un altro noto ebreo nato in Ungheria che ha dovuto subire una campagna sporcata dall’antisemitismo è George Soros, il miliardario e sopravvissuto alla Shoah che è diventato la nemesi di Orbán per via del suo supporto ai gruppi di sinistra e delle sue critiche contro la dura politica dell’immigrazione attuata dal governo. Come ha detto Heisler, anche a Netanyahu “Orbán non piace. Noi, come comunità, non giudichiamo se sia una persona buona o cattiva, ma non possiamo accettare parole d’odio contro nessuno – gay, immigrati, rom, musulmani o Soros”. Heisler ha  quindi scritto una lettera aperta a Orbán condannando la campagna governativa contro Soros, che era culminata lo scorso anno nell’affissione di poster che usavano motivi antisemiti.

Il governo ungherese sta cercando di placare la paura che il museo distorca la storia. "Ci piacerebbe commemorare la tragedia nazionale dell’Olocausto in maniera degna, riconoscere le responsabilità dello Stato ungherese e piegare la testa davanti a coloro che furono vittime dell’Olocausto anche per il fatto che lo Stato ungherese non era in grado di proteggerli e anzi partecipava alla loro deportazione dall’Ungheria ai campi di concentramento", ha dichiarato il governo ungherese in un intervento su Haaretz. Ma nonostante le buone intenzioni, è chiaro che frasi come “non era in grado di proteggerli” riaccenderanno la disputa sul coinvolgimento dell’Ungheria nella Shoah.

Per ora, l'Ungheria sta cercando di raggiungere il consenso più ampio possibile per aprire il museo. Giovedì, i funzionari ungheresi si sono incontrati con i rappresentanti di Yad Vashem. Non sono stati resi noti i dettagli, non è stato reso pubblico alcun piano e l’obiezione di Yad Vashem all’apertura del museo non è cambiata. Escluso dalla discussione è il Ministero degli Esteri, anch’esso contrario all'aperture del museo. Non tutti sono ottimisti su questi colloqui. “Il Ministero degli Esteri ha molte persone capaci che conoscono la storia, e presume che non siano felici dei contatti fra i due Paesi”, ha dichiarato Bauer. Affermando che alcuni funzionari non stanno facendo abbastanza. “Il governo israeliano ha ministri che trovano la materia poco gestibile, ma non vogliono farne uno scandalo perché si tratta della Shoah”, ha dichiarato Bauer. “Chi ha veramente a cuore questa vicenda?”.

Il punto di vista della Polonia

Tutto ciò è molto simile a quanto successo con la dichiarazione israelo-polacca fermata da Netanyahu e dal Primo Ministro polacco Mateusz Morawiecki durante l’estate, a proposito della controversa “legge polacca sull’Olocausto”.

Bauer afferma che Israele si è completamente arresa sulla questione, con la dichiarazione congiunta che ha accettato completamente la narrazione polacca che glorifica il ruolo dei Giusti fra le Nazioni polacchi e minimizza il ruolo dei polacchi nei crimini nazisti durante la Shoah. Come sostiene Bauer, questo accade per via di considerazioni politiche che subordinano la memoria dell’Olocausto a interessi economici, di sicurezza e diplomatici.

Tornando all’Ungheria, qui non c’è fretta. Il governo ha dichiarato che un museo e centro per la memoria dell’Olocausto è già attivo a Budapest da quasi 20 anni, con il supporto governativo, quindi non c’è alcuna ragione di correre per aprire la Casa dei Destini prima che sia raggiunta una soluzione amichevole. Dopo che si raggiungerà un accordo sulla concezione del nuovo museo, si discuterà la materia con una serie di gruppi. Quando gli abbiamo chiesto com’è la vita ebraica in Ungheria sotto il governo nazionalista di destra, Heisler ha delineato un quadro complesso: “Abbiamo una collaborazione costruttiva con il governo”, ha detto, aggiungendo che essa si esprime in solidi finanziamenti per le istituzioni ebraiche incluso il restauro delle sinagoghe, dei cimiteri e degli ospedali. Gli ebrei inoltre godono di piena libertà di culto. “Contrariamente alle comunità ebraiche in Europa Occidentale, in Ungheria esse hanno dichiarato che [la macellazione kosher] e la circoncisione fanno parte della libertà di culto”, afferma Heisler. “E in Ungheria non ci sono attacchi fisici contro gli ebrei. Niente. Zero. Possiamo girare tranquillamente in strada con la kippah”.

Contestualmente, Heisler ha menzionato il suo incontro con Orbán circa un anno fa, in cui gli chiedeva supporto per ristrutturare una sinagoga di Budapest danneggiata da un incendio causato dall’elettricità. L’ultimo rabbino a sopravvivere alla Shoah prega qui, Heisler disse a Orban. Dieci giorni dopo, il governo approvò un finanziamento per riparare la sinagoga. “È è un politico serio che mantiene le sue promesse”, ha detto Heisler. Tuttavia, nota la percentuale di ungheresi che continuano a coltivare opinioni anti-Semite. “Il 20% dell’opinione pubblica – una delle peggiori percentuali in Europa, molto male”, afferma Heisler. Perciò è vitale preservare una comunità ebraica “indipendente, forte e fiera”, che non scenda a compromessi sulla narrazione della storia, specifica Heisler. Egli dice che molte persone del governo o vicine a esso stanno cercando di coprire o cambiare la storia, ma "dietro alla comunità ebraica ci sono 600.000 martiri" – il numero degli ebrei ungheresi che furono uccisi nella Shoah.

Questo è stato il comportamento di Heisler l’anno scorso quando Orbán ha elogiato pubblicamente Miklós Horthy, il leader ungherese che aiutò i nazisti durante la Seconda guerra mondiale, per i suoi successi come ufficiale durante la Prima guerra mondiale. Il fatto che l’Ungheria non sia stata “schiacciata sotto lo stivale della storia, lo dobbiamo proprio a un manipolo di eccezionali statisti”, ha detto Orbán di Horthy, mettendolo al primo posto di una lista insieme ad altri due. “Di questo fatto non si può dubitare”, nonostante la “partecipazione luttuosa dell’Ungheria nella Seconda guerra mondiale", ha aggiunto Orban.

Heisler è allarmato da tali tentativi di connettere un’immagine positiva al nome di Horthy. “Per noi, è uno dei primi responsabili dell’assassinio di 600.000 persone. Ci sono coloro che nel governo cercano di trasferire tutte le responsabilità sui tedeschi. Questo è il problema principale”, afferma Heisler.

Durante la sua visita in Israele, Heisler ha preso parte a un evento lieto, che ha avuto luogo giovedì: la celebrazione del centesimo anniversario del giornale ebraico-ungherese Uj Kelet, che ora viene pubblicato in Israele. Tra i luminari che vi hanno scritto figurano il giornalista e avvocato Rudolf Kastner, il regista e sceneggiatore Ephraim Kishon, e il giornalista e politico Yosef Lapid. Heisler sostiene che il governo ungherese aiuta a finanziare il giornale come parte del tentativo di Budapest di conservare le tradizioni dell’Ungheria nel mondo. “La situazione non è nera come pensano in Israele”, ha detto. “Ma non è neanche bianca, come sogniamo noi in patria”.

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