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​La legge sui Giusti, una libera scelta

di Gabriele Nissim

Quale significato ha la legge sui Giusti dell’umanità in discussione in Parlamento e che speriamo, come ci ha dichiarato l’onorevole Emanuele Fiano, possa essere votata nel mese di ottobre?
Evitiamo subito un equivoco. Non è una legge che vuole imporre un messaggio morale univoco e definitivo e nemmeno una legge che si propone di sostituire altre Giornate della memoria. La Giornata dei Giusti (6 marzo), istituita dal Parlamento europeo - e che ora un fronte plurale di deputati italiani vuole valorizzare anche in Italia - non rappresenta un obbligo, ma è una libera scelta che dipende esclusivamente dalla volontà degli organi locali, degli educatori e degli insegnanti.
Sarebbe un controsenso se questa ricorrenza, che ricorda le storie di chi ha fatto delle scelte morali, fosse vissuta come un’imposizione e non come un atto di responsabilità. Prima di tutto perché se non c’è una convinzione profonda, ma solo una decisione burocratica, il risultato può essere controproducente - come accade in certe manifestazioni della Giornata della Memoria, dove la ritualità è diventata più importante del messaggio. Se viene a mancare l’autenticità, si banalizza il senso della memoria dei Giusti.
Ma anche perché, come si è visto con l’approvazione della legge sul negazionismo in Italia e in altri Paesi (ultimo è il caso ambiguo della Polonia, che considera un reato penale l’uso dell’espressione “campi di concentramento polacchi”), l’imposizione è diventata una scorciatoia che sostituisce l’educazione e la battaglia culturale.
Dunque, se si dovesse trovare uno slogan per definire lo spirito della Giornata, si potrebbe parlare di una ricorrenza per libera scelta.

La Giornata dei Giusti affronta alcuni nodi culturali e politici del nostro tempo. Non è un caso se questo tema è stato discusso soltanto negli ultimi anni ed è entrato con forza nel dibattito pubblico. Per certi versi è una discussione nata da necessità e interrogativi a cui bisognava dare una risposta.
Prima di tutto la crisi del nostro tempo. Oggi si avverte un grande vuoto di fronte alle questioni dell’immigrazione, del terrorismo fondamentalista, del risorgere dei nazionalismi in Europa, della passività della comunità internazionale di fronte alle nuove atrocità di massa (vedi il caso della Siria, che sembra ricordare il fallimento delle Nazioni Unite di fronte al genocidio in Ruanda).
In questo contesto la gente ha sempre più paura, perché avverte la mancanza delle istituzioni. Così prevale l’egoismo, l’indifferenza, la chiusura in se stessi, e hanno sempre più presa sull’opinione pubblica quei movimenti populisti che esaltano la separatezza e i muri contro ogni forma di condivisione di una vita comune. A questa tendenza, che rischia di avere gravi conseguenze nelle prossime elezioni in Europa e negli Stati Uniti, si può trovare un argine nei comportamenti morali degli individui che difendono la pluralità umana, soccorrendo i migranti in mare, aprendo la strada dell’integrazione, opponendosi in prima persona ai terroristi, denunciando i genocidi, ricostruendo i legami tra le nazioni dell’Europa.
Questi comportamenti possono diventare motivo di emulazione, rappresentare quel seme di bene che può permettere a tanti uomini confusi di vedere la realtà da un diverso punto di vista. 
Come è accaduto per il passato, anche i Giusti del nostro tempo non hanno la bacchetta magica per cambiare il mondo, ma se si fanno conoscere le loro storie si può rilanciare la speranza nel futuro dell’umanità e riaprire la discussione anche in un momento di crisi delle istituzioni. La Giornata dei Giusti dovrebbe così diventare una straordinaria lente d’ingrandimento per tante azioni meritevoli di uomini che suppliscono al deficit politico e molto spesso rimangono nascoste. Togliere dall’anonimato il valore di queste azioni è un compito che non riguarda solo il passato, ma che diventa urgente per il nostro futuro.

La sfida della legge dei Giusti riguarda poi alcuni limiti di tutte le Giornate della memoria. Le lezioni sul passato diventano sterili se non si educano i giovani alla responsabilità nei tempi in cui viviamo. È facile essere buoni ex post, condannare i nazisti, i fascisti, gli aguzzini dei campi di concentramento e dichiarare la propria simpatia nei confronti delle loro vittime. Molto più difficile è indagare nella storia passata per comprendere il mondo presente. Ecco perché ampliare il proprio orizzonte dall’analisi del male e delle sofferenze alle storie di chi invece nel passato si è assunto una responsabilità nei confronti dei perseguitati, rappresenta un salto qualitativo. Al giovane non si chiede così soltanto di giudicare e condannare il passato, ma lo si invita a porsi questa domanda: cosa avresti potuto fare tu per opporti al male e per andare in soccorso delle vittime? Un giovane che si identifica in chi ha aiutato gli ebrei può comprendere meglio come agire nei confronti dei migranti.

Molti avvertono nel nostro Paese il proliferare delle Giornate della Memoria. Si ricordano in giorni diversi le vittime della Shoah, quelle delle foibe, della mafia, del terrorismo. Si assiste a una sorta di concorrenza delle memorie, dove chi ha sofferto - o chi si fa interprete del dolore di chi ha sofferto -, vuole giustamente ricordare una specificità delle persecuzioni nei confronti degli esseri umani. La pluralità delle memorie non è un limite, ma una ricchezza, perché trasmette la complessità della storia umana. Diventa controproducente quando si innesta una corsa alla gerarchia delle sofferenze, come se un dolore fosse più importante di un altro. In questo modo viene meno la possibilità di fare delle comparazioni, poiché alcuni pensano che ci sia il rischio di mettere sullo stesso piano la Shoah con altri crimini contro l’umanità. È questa una lettura sbagliata, poiché la memoria del crimine più grande dovrebbe servire come una lente di ingrandimento per indagare su tutti i crimini che hanno colpito l’umanità. È molto più forte una memoria inclusiva in grado di recepire tutte le sofferenze, piuttosto che una memoria che si si chiude in se stessa e crea degli steccati. A lungo andare, infatti, una memoria che si ghettizza e rifiuta le comparazioni cade nella metafisica, perché presenta il Male come un’eccezione unica nella storia dell’umanità. Ciò che è stato non si potrebbe dunque ripetere sotto nuove forme. Questo è il pericolo in cui incorre chi sacralizza l’unicità della Shoah.
Ecco perché la Giornata dei Giusti può essere un antidoto alla separatezza tra le memorie, un collante tra le varie Giornate. Ciò che può unire e creare un gusto per la comparazione è il valore comune del bene e della responsabilità. Le storie di uomini che in situazioni diverse sono andati in soccorso di altri uomini possono aiutare a ricomporre l’orizzonte delle memorie. L’esempio dei Giusti permette, più di ogni altra cosa, di ricucire la condizione comune degli esseri umani. Il messaggio è infatti fortissimo: in ogni situazione è sempre possibile assumersi una responsabilità. Ecco ciò che può unire ebrei, armeni, ruandesi, vittime della mafia e del terrorismo. Le situazioni sono diverse, ma l’uomo ha sempre dentro di sé una potenzialità nascosta per ergersi contro il male.

Questo messaggio della responsabilità è molto utile per la condizione politica e culturale che vive oggi il nostro Paese. Prevale sempre l’idea che se qualche cosa non va non si possa fare nulla e che l’unica cosa possibile sia l’indignazione e la colpevolizzazione degli altri. I Giusti invece insegnano che ogni uomo nel suo piccolo e nell’ambito della sua sovranità può sempre fare qualche cosa e difendere la sua integrità morale. Chi si prende cura del proprio giardino non cambierà il mondo, ma, come scrive Marco Aurelio, lascia una piccola traccia che può diventare un sentiero per gli altri uomini.

Gabriele Nissim

Analisi di Gabriele Nissim, Presidente Fondazione Gariwo

21 settembre 2016

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