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La lingua come patrimonio identitario dei curdi

distinto dagli idiomi dei vicini arabi e turchi

Il Kurdistan è un territorio ricco di storia e cultura e con una grande grande diversità linguistica, religiosa e culturale. Scrive il linguista e politologo Noam Chomsky: “Una lingua non è fatta solo di parola. È una cultura, una tradizione, il collante di una comunità, una storia intera che determina ciò che una comunità rappresenta. E tutto ciò è incarnato in una lingua”.

E proprio l’aspetto linguistico determina ieri e oggi l’identità dei curdi, in contrapposizione ai vicini arabi e turchi, entrambi in maggioranza di fede musulmana, ma che usano idiomi riconducibili a famiglie linguistiche assai diverse. Il curdo, invece, nelle sue diverse varianti appartiene alle lingue iraniche, come il persiano, parte della comune famiglia indoeuropea.

Esistono almeno due tipologie linguistiche del curdo, chiamate Kurmanji e Sorani. Non ancora standardizzato è anche il modo in cui si trascrive questa lingua. Accanto al curdo in caratteri arabi –preponderante in Iraq, dai cartelli stradali, ai libri e alle scuole – sopravvive ancora l’uso di trascrivere la lingua in caratteri latini. Il curdo è stato usato, anche da un punto di vista letterario, nell’alfabeto cirillico, soprattutto nell’Unione Sovietica, e per un breve periodo negli anni Venti, anche nell’alfabeto armeno, sempre nell’Urss.

Le radici di questo popolo sono assai antiche come testimoniato dalla cittadella di Erbil, patrimonio dell’UNESCO, la cui vista domina e sovrasta il centro della capitale della Regione autonoma del Kurdistan iracheno. Una presenza tanto più importante, in quanto sia la furia iconoclasta dell’ISIS che il boom edilizio degli ultimi decenni hanno cancellato molte tracce storiche.

Questa altura artificiale, simile a quella che domina il centro di Aleppo in Siria, può raccontare come un libro aperto migliaia di anni di Storia che risale addirittura al Paleolitico. Meno suggestivo è invece il lato moderno, del tutto preponderante, delle città curde irachene di oggi, quali Erbil e Dohuk, edificate in fretta e furia negli ultimi decenni, lasciando forse poco spazio sia alla memoria che all’immaginazione, ma per i curdi il simbolo liberatorio di una rivalsa nei confronti di un passato di repressione e sofferenze.

Un panorama urbano di anonimi quartieri sorti dal nulla e centri commerciali, dove la disuguaglianza segna purtroppo in modo netto la differenza fra un’élite assai esigue e la larga maggioranza della popolazione, molto lontana dagli standard dei primi.

Simone Zoppellaro, giornalista

21 giugno 2021

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