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La lotta intellettuale e morale di István Bibó

di Judith Bibo - Padova, 2000

Durante il primo Convegno Internazionale di Gariwo "Si può sempre dire un sì o un no", svoltosi tra il 30 novembre e il 2 dicembre 2000 presso l’Università degli Studi di Padova, la nuora di István Bibó ha portato la sua testimonianza per ricordare la figura del Giusto, coscienza critica della nazione durante entrambi i totalitarismi. Riportiamo di seguito alcuni passaggi del suo intervento, che è disponibile integralmente nel box approfondimenti.

Quando si pronuncia il nome di István Bibó, si è quasi sicuri che esso sia conosciuto soltanto da certi storici o studiosi di scienze politiche. In effetti, quand’era vivo cercarono di non farlo conoscere nel suo Paese o di farlo dimenticare con una congiura del silenzio. Dopo la sua morte, nel 1979, non riuscirono a impedire che le sue opere fossero pubblicate in Ungheria e che i suoi studi più importanti fossero tradotti prima in francese, tedesco, inglese e italiano e successivamente nelle varie lingue dei Paesi dell’Europa centrale: polacco, slovacco, ceco, russo e recentemente anche in rumeno. Per i lettori delle sue raccolte di studi politici, Bibo ha analizzato con perspicacia i problemi storico-politici di una delle tre “Europe” (riprendendo il termine dello storico ungherese J. Szucs), cioè di quel territorio che si estende tra la Germania e la Russia. Dunque, la domanda fondamentale che bisogna porsi è la seguente: a quale titolo questo autore può e deve essere considerato uno dei Giusti del nostro secolo?

[…] All’inizio della sua carriera, Bibo lavora come magistrato e come funzionario ministeriale. È proprio questa posizione che gli permetterà, all’epoca delle leggi razziali, di salvare la vita a molti uomini e donne. All’interno del Ministero della Giustizia egli prepara, con l’aiuto di alcuni colleghi, dei documenti falsi per i perseguitati. All’epoca delle deportazioni, questo diventava una questione di vita o di morte. Dopo che la Germania nazista ha occupato l’Ungheria, quest’attività gli vale l’arresto da parte della Gestapo nell’ottobre del 1944, arresto che non avrà comunque gravi conseguenze nel caos generale. Dopo la guerra, sempre in qualità di funzionario - stavolta al Ministero degli Interni - egli apprende la notizia che le potenze alleate avevano intenzione di evacuare i territori abitati dalle popolazioni tedesche - in Polonia, Boemia e Ungheria - e di trasferire queste popolazioni o in Germania o in Unione Sovietica, con destinazione sconosciuta. In certe regioni dell’Ungheria, le autorità si affrettavano già a obbedire a questa presunta decisione dei “grandi”, cacciano i tedeschi dai loro villaggi per sistemarli in campi all’aperto costruiti frettolosamente. Quando arrivano al Ministero le notizie delle prime operazioni di questo tipo, Bibo interviene energicamente. Nei mesi di aprile e maggio del 1945 egli redige tre note indirizzate al Ministro degli Interni per avvertirlo che le prime vittime di questo genere di sopraffazioni saranno ancora una volta le donne in gravidanza, i bambini esposti alle varie epidemie e gli anziani, com’era già avvenuto durante le deportazioni degli ebrei. Grazie al suo intervento, le operazioni incontrollate saranno sospese, ma - malgrado tutto - si effettuerà comunque il trasferimento di una parte dei tedeschi d’Ungheria.

[…] Ricompare durante la rivoluzione dell’autunno 1956, allorché è eletto ministro del governo rivoluzionario di Imre Nagy. In realtà, l’unico atto che egli compie da ministro consiste nel rimanere da solo in Parlamento quando i carri armati sovietici rioccupano l’Ungheria e circondano la sede del Parlamento. Benché gracile e debole di vista, egli affronta con coraggio la situazione eccezionale: ignorato dai militari russi che occupano l’edificio, redige un proclama, rivolto alla popolazione e ai responsabili delle grandi potenze, che farà circolare grazie a qualche aiuto occasionale dopo averlo consegnato nelle mani degli incaricati delle ambasciate circostanti. È questo proclama, seguito da tre testi più lunghi, a valergli venti mesi dopo , nell’agosto 1958, una condanna all’ergastolo. Il suo processo segreto segue soltanto di poche settimane la condanna a morte e l’esecuzione di Imre Nagy. Di sicuro gli sarebbe stata riservata la stessa sorte. Oggi sappiamo che grazie al Presidente indiano Nehru, che intervenne personalmente presso i dirigenti sovietici, il regime di Kadar rinunciò in extremis a condannarlo a morte.

[…] Se Bibo è un Giusto, il suo esempio presenta due aspetti importanti. In primis, egli dilata singolarmente la nozione di Giusto perché, con la sua solidarietà, aiuta di volta in volta tutti coloro che diventano le vittime di persecuzioni o di ingiustizie in Europa centrale nel corso della sanguinosa storia del XX secolo. Agisce più o meno tempestivamente, seguendo però sempre gli stessi valori morali. In secondo luogo, agire e pensare costituiscono per lui le due facce dello stesso impegno, ed è per questo che le sue azioni si inscrivono in una tradizione tipicamente europea, quella degli intellettuali.

[…] In un testo postumo che possiamo considerare a tutti gli effetti il suo testamento spirituale, egli spiega il significato profondo della civiltà europea come una lenta progressione verso la fine della violenza e l’umanizzazione del potere, progressione spesso incostante ma persistente, che si compone di due elementi fondamentali: da una parte la sperimentazione dei principi e delle tecniche della democrazia iniziata in seno alla civiltà greco-romana dell’antichità, dall’altra la tradizione ebraico-cristiana che, nel campo della riflessione politica, culmina nella concezione di Sant’Agostino, il quale crede che il potere sia sempre immorale e che di conseguenza esso debba sempre giustificarsi, cioè assumersi le proprie responsabilità dinnanzi a Dio.

[…] Bibo segue il suo maestro, lo storico italiano G. Ferrero che, alla vigilia della Seconda guerra mondiale, esprime come segue la sua principale preoccupazione: “Le guerre che dipendono dal disordine spirituale di un’epoca sono moto più pericolose di quelle provocate da conflitti di interesse di natura politica”. Per Bibo, che segue le orme del suo maestro, il compito principale dell’intellettuale consiste dunque nel comprendere i conflitti.

[…] Egli formula un giudizio morale severo sulla società ungherese e dichiara che l’aspetto più grave della sconfitta che l’Ungheria ha subito in guerra non è di natura militare o economica: ciò che è più carico di conseguenze per il Paese e la sua sconfitta morale.

[…] Bibo sa, e anche in questo segue il suo maestro G. Ferrero, che mettendo sullo stesso piano bene e male, ci si dimentica che una delle dimensioni fondamentali dell’uomo è che egli ha paura. L’uomo è l’unico essere vivente a sapere che deve avere paura, e una delle sue paure più terribili è quella che egli prova davanti ai suoi simili, e non a torto. Visto questo dato fondamentale dell’esistenza umana, fare il bene implica il più delle volte che bisogna farlo malgrado la paura e contro la paura stessa. Affinché l’uomo diventi un essere morale, occorre avere coraggio. Siamo qui al nocciolo del problema, perché se si vuole trarre un insegnamento dall’esempio dei Giusti, la questione deve essere posta in modo tale da non trascurare le esperienze reali di totalitarismo. Infatti, valutare con precisione gli effetti della paura è una prerogativa dei regimi totalitari, come oggi sappiamo bene. Ma se all’inizio questi regimi calcolano una certa dose di paura, molto velocemente la moltiplicano. Ciò significa, nel contesto europeo, che una volta scomparsa la legalità come baluardo della democrazia, cioè una volta falsificate e schiacciate le istituzioni democratiche che garantiscono l’applicazione delle leggi, emerge la faccia orrenda della democrazia, cioè la sovranità popolare che degenera facilmente nel terrorismo cieco delle masse.

11 febbraio 2019

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