A poche ore dal Giorno della Memoria vorrei dire un grazie al nostro Paese.
Vorrei esprimere questa mia gratitudine prima di tutto come ebreo, ma anche come chi ha sempre ritenuto che la memoria abbia un ruolo importante per l’educazione alla responsabilità nella vita di tutti i giorni.
L’Italia ha molti difetti, ma non c’è un Paese d’Europa dove il giorno della Shoah sia così sentito. Non c’è amministrazione comunale che governi un piccolo paese o una grande città che non organizzi una ricorrenza pubblica per il 27 gennaio; non c’è scuola di ogni grado dove gli insegnanti non propongano la lettura di libri sull’Olocausto e non incoraggino i loro studenti a visitare i campi di sterminio per non dimenticare; non c’è rete radio o televisiva che non organizzi dei programmi speciali legati a questo evento, mentre tutti i giornali riempiono le pagine con una varietà di riflessioni e di articoli.
È un panorama molto diverso dalla Francia, dove la giornata viene vista come un’imposizione degli ebrei che guarderebbero solo a se stessi, come ha affermato nelle sue pièces il comico Dieudonné, o dal clima intollerante di molti Paesi del centro Europa, dove apparentemente l’antisemitismo era congelato dai regimi totalitari, ma in realtà era fomentato dalle campagne antisioniste. Oggi in Ungheria, in Ucraina, nei paesi Baltici l’antisemitismo è ancora all’ordine del giorno, perché poco è stato fatto per affrontare, come scriveva il grande politologo ungherese Itsvan Bibo, le responsabilità di chi ha collaborato con i nazisti e affrontare così una purificazione morale di quelle nazioni.
Eppure questo grande abbraccio simbolico tra l’Italia e gli ebrei che si realizza ogni anno rischia di evaporare, se la giornata si presenta come una semplice ripetizione e non produce una memoria viva e legata ai tempi in cui viviamo.
Ho potuto verificare in tanti incontri, a cui ho partecipato con entusiasmo nelle scuole, come gli studenti siano in grado di afferrare meglio il passato quando si sentono impegnati nella trasformazione del presente. I giovani più di altri non amano che gli si chieda soltanto di ricordare e provano persino noia quando sono considerati come dei fruitori passivi della memoria, ma si sentono sinceramente coinvolti quando capiscono di essere impegnati per la trasformazione del mondo che li aspetta fuori dai banchi di scuola.
È in fondo la stessa domanda di senso a cui non viene mai data risposta soddisfacente in tutti gli eventi pubblici che si tengono nelle varie piazze d’Italia il 27 gennaio. Ricordare per che cosa? Perché non si ripeta, è la risposta implicita. Ma allora cosa significa poi nella politica e nella vita quotidiana?
Se questo interrogativo viene eluso, la Giornata della Memoria - di cui tutti siamo così fieri - perderebbe la sua ragion d’essere fino a trasformarsi soltanto in un rito ripetitivo, come del resto è accaduto per il 25 aprile, la festa della liberazione dal fascismo.
Ci sono invece tutte le condizioni perché l’Italia e le comunità ebraiche del nostro Paese diventino in Europa un punto di riferimento per ricordare i genocidi dimenticati o troppo velocemente rimossi dall’opinione pubblica - come è avvenuto per il Ruanda, la Cambogia e il genocidio armeno - per far conoscere il tormento delle comunità ebraiche che si vedono in mille modi negare il diritto alla memoria nei Paesi dell’ex blocco sovietico e nei Paesi arabi, per aprire finalmente un discorso serio sulla prevenzione dei genocidi e sulla denuncia sistematica dei crimini contro l’Umanità che si ripetono nel mondo.
Con questo spirito Gariwo si è mossa in Europa in una battaglia universale per ricordare i Giusti di tutti i genocidi nella giornata del 6 Marzo e si è rivolta direttamente a Papa Francesco per chiedere un Angelus in Piazza San Pietro per ricordare gli uomini laici e di tutte le fedi che rischiano la loro vita per impedire che il male della Shoah possa ripetersi ovunque nel mondo.
Il nostro obiettivo è stato quello di trasformare il grande potenziale morale del nostro Paese in un grande esempio per la comunità internazionale.
Sono convinto che se le comunità ebraiche sentiranno come me questo senso di gratitudine per l’Italia e si apriranno senza paura alla memoria di tutti i genocidi - comprendendo come la più grande apertura agli altri sia il modo migliore per non banalizzare la Shoah e lottare contro ogni forma di rimozione - la Giornata della Memoria in Italia continuerà ad essere la più importante d’Europa.
Un vanto per il nostro prestigio internazionale e dunque per tutti gli italiani e per tutti gli ebrei.
La nostra gratitudine e la nostra responsabilità
nel Giorno della Memoria

Il Memoriale della Shoah di Milano

Analisi di Gabriele Nissim, presidente di Gariwo, dall'intervento al Memoriale della Shoah
20 gennaio 2014
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Memoria
ricordare il passato per costruire il futuro
Il Comitato internazionale I Giusti per gli armeni. La Memoria è il futuro fondato da Piero Kuciukian per commemorare chi si è impegnato contro il genocidio del 1915, focalizza sin dal titolo la funzione del ricordo, che non è un nostalgico voltarsi indietro nella Storia, ma un ben più corposo dare un senso al passato per costruire un futuro che non ne ripeta gli errori.
La memoria ha tanti risolti e presenta esiti contrastanti, in positivo o in negativo a seconda di come viene trattata. Riflettere sugli avvenimenti che ci hanno preceduto per capire il presente significa ricercare le coordinate che ci permettano di interpretare le nuove situazioni con la consapevolezza dei pericoli o delle opportunità che certi meccanismi culturali, sociali e individuali innescano. L'esperienza dei genocidi del Novecento, il fenomeno dei totalitarismi, sfociati in una devastante guerra mondiale, gli equilibri della guerra fredda, ci forniscono indizi molto precisi sulle pretese di egemonia geopolitica e sulle derive umanitarie da evitare; mentre l'esempio dei Giusti, il loro variegato impegno a favore dei perseguitati, la richiesta di libertà, l'autonomia di pensiero e l'istanza di difesa della dignità umana, sono altrettanti referenti da assumere per evitare le trappole dell'arroganza, della negazione della verità, del rifiuto della diversità, della chiusura all'altro, della decisione unilaterale.
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