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Le paure del mondo e i Giusti

di Giovanni Cominelli

La fenomenologia dell’odio, del risentimento, dell’aggressività, del fastidio dell’altro, del razzismo e dell’antisemitismo è, in questa fase della nostra vita pubblica, piuttosto vasta e pervasiva. L’onda parte dai singoli, riempie la società, si ribalta sulla rappresentanza politica, che qualche volta ha la tentazione di darle forma e programma politico e la rinvia potenziata alla società e agli individui. Alcuni politici praticano la tecnica cinica del surfing, su onde sempre più alte. Prima o poi ne saranno travolti, come documenta la storia del ‘900, per non andare più indietro. Non senza che gli individui, la società, la politica democratica abbiano, intanto, pagato un alto prezzo. Ma la storia alle nostre spalle non autorizza a rinchiuderci in una teoria dei corsi e ricorsi, che si ponga in attesa rassegnata che la notte passi e che il pendolo della storia batta di nuovo dalla parte giusta. 

Abbiamo, in primo luogo, necessità di comprendere razionalmente le cause di quello che a prima vista appare come un sommovimento irrazionale dello spirito pubblico nazionale ed europeo. Alla base sta la paura o, meglio, le paure. Stanno accadendo eventi nel nostro mondo e si stanno imponendo dinamiche, che erodono i due pilastri del nostro modello politico e sociale del secondo dopoguerra: la democrazia liberale e lo Stato sociale. L’Europa, con il suo mezzo miliardo di abitanti, potente culturalmente ed economicamente, ma frammentata in 28 Stati nazionali, di cui solo 19 fanno parte della zona Euro, è sempre più stretta e assediata dalle grandi potenze asiatiche tra cui la Russia, la Cina e l’India da una parte, mentre al Sud preme l’enorme bacino demografico africano in veloce esondazione. L’allentamento accelerato del legame euro-americano, il ritiro degli Usa su una posizione nazionalista, il Medio-Oriente in permanente e sanguinosa fibrillazione l’espansione commerciale cinese, le correnti di immigrazione sempre più gonfie stanno generando delle sfide, cui l’Europa non riesce a rispondere. Essa sta subendo una riduzione di potenza. Ma non sono gli Stati, le società, la politica che si sentono minacciati ed hanno paura. Sono gli individui europei (e americani!) che hanno paura. Cioè: ciascuno di noi. A. Panebianco argomenta che la geopolitica si può comprendere pienamente solo se ne considerano anche i micro-fondamenti, cioè noi singoli: “i nostri movimenti individuali trasmettono le nostre vibrazioni più impercettibili a destinazioni remote” (Harari). 

Abbiamo paura di perdere sovranità sulle nostre vite e sul nostro destino, di diventare irrilevanti al cospetto delle forze mondiali dell’economia, della finanza, del mutamento climatico, della ricerca biotecnologica, dell’Intelligenza artificiale. Temiamo che la nostra libertà e le nostre libertà, quali statuite dal diritto e difese dalle istituzioni democratiche, siano un inutile e vuoto lusso. Le generazioni reagiscono in modo diverso al mutamento di scenari globali/individuali. I giovani non vedono più un futuro lungo e luminoso davanti, le generazioni di mezzo sentono l’incertezza economica e sociale, agli anziani il grande futuro della giovinezza post-bellica è scivolato alle spalle. Non è difficile convincere tutte quante le fasce demografiche che la minaccia viene da altro, dall’esterno, dall’Altro, quali che siano le gambe sul quale cammina. E che basterà costruire muri alti, rialzare ponti levatoi, chiudersi in piccole comunità e piccole patrie. L’Altro sta diventando una minaccia.

Gariwo continua ostinatamente a proporre un’altra strada, quella dei Giusti. I Giusti, che quest’anno sono proposti all’attenzione pubblica, sono certamente esempi morali di assunzione di responsabilità, ma, in primo luogo, sono portatori di una lucida appercezione intellettuale del mondo. Non hanno avuto paura delle paure degli altri e delle proprie. Vi hanno guardato dentro con coraggio intellettuale e coerenza dei comportamenti.

Circa cento anni fa, nell’inverno del 1918, Max Weber prendeva congedo dell’Università di Monaco. La prima guerra mondiale era appena finita, con la catastrofe degli Imperi centrali, con la lunga teoria di milioni di morti, mentre all’orizzonte avevano già fatto la loro comparsa ideologie totalitarie e illusoriamente salvifiche. Rivolgendosi ai propri studenti, dice: “La semplice probità intellettuale ci impone di mettere in chiaro che oggi tutti coloro i quali vivono nell’attesa di nuovi profeti e nuovi redentori si trovano nella stessa situazione descritta nel bellissimo canto della scolta idumea durante il periodo dell’esilio, che si legge nell’oracolo di Isaia: “Una voce chiama da Seir in Edom: Sentinella! Quanto durerà ancora la notte? E la sentinella risponde: Verrà il mattino, ma è ancora notte. Se volete domandare, tornate un’altra volta”. Il popolo, al quale veniva data questa risposta, ha domandato e atteso ben più di due millenni, e sappiamo il suo tragico destino. Ne vogliamo trarre l’ammonimento che anelare ed attendere non basta, e ci comporteremo in un’altra maniera: ci metteremo al nostro lavoro e adempiremo al “compito quotidiano”, nella nostra qualità di uomini e nella nostra attività professionale. Ciò è semplice e facile, quando ognuno abbia trovato e segua il demone che tiene insieme i fili della sua vita”.

La gioventù tedesca dell’epoca non gli ha dato retta e … “sappiamo il suo tragico destino”.

Tuttavia, qui il grande sociologo tedesco descriveva, senza saperlo, la nostra condizione di oggi e definiva “il Giusto”: chiunque di noi individui si assuma la responsabilità che deriva dalla sua qualità di uomo.

Giovanni Cominelli

Analisi di Giovanni Cominelli, giornalista

4 marzo 2019

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