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Nella nuova battaglia sull'eredità di Auschwitz, la Polonia cade vittima della geopolitica dell’Olocausto

di Anshel Pfeffer

Proponiamo di seguito la traduzione della riflessione di Anshel Pfeffer su Haaretz sul contesto in cui si è svolto il quinto Forum mondiale sull’Olocausto. 

Costretto a scegliere tra il fare un torto alla Russia o alla Polonia, lo Stato di Israele si è sempre schierato con Vladimir Putin - ecco perché nei prossimi giorni ci saranno due eventi separati per la liberazione di Auschwitz-Birkenau.

Nel 70° anniversario della liberazione di Auschwitz-Birkenau - il 27 gennaio 2015 - si è svolto un importante evento internazionale che ha richiamato leader mondiali e delegazioni di alto livello provenienti da 50 Paesi. Naturalmente, si è svolto sul sito stesso del campo di sterminio nazista in Polonia. L'attenzione si è concentrata sugli anziani sopravvissuti ad Auschwitz, centinaia dei quali hanno partecipato in due gruppi distinti che si sono mantenuti distanti l'uno dall'altro. Erano stati invitati dai due enti che organizzavano l'evento. I cittadini polacchi che erano stati incarcerati nel campo sono stati invitati dal governo polacco. I sopravvissuti ebrei, nati e vissuti in Paesi dell'Europa occupata dai nazisti prima di essere trasportati ad Auschwitz, sono stati fatti arrivare in aereo da tutto il mondo dal Congresso ebraico mondiale.

Per tutta la durata dell’evento, è stato chiaro - per via dell'ordine dei discorsi e del tempo assegnato ai rappresentanti dei diversi gruppi e fedi - che si trattava di una cerimonia congiunta e fortemente connotata alla Polonia e agli ebrei. L'allora presidente polacco Bronislaw Komorowski e il presidente del Congresso ebraico mondiale Ronald Lauder hanno avuto lo stesso peso nel programma.

Un Paese è stato con grande evidenza assente: la Russia, che rivendicava il cappello dell'Unione Sovietica, la cui Armata Rossa ha liberato Auschwitz-Birkenau (anche se l'URSS era composta da quelle che oggi sono 15 nazioni sovrane), ha boicottato l'evento.

Nel gennaio 2015, le tensioni in Europa orientale, per l'annessione della Crimea da parte della Russia e la sua invasione dell'Ucraina orientale l'anno precedente, erano al culmine. La Polonia, sempre sospettosa nei confronti della Russia e saldamente radicata nel campo NATO occidentale, non si era affatto entusiasmata all'idea che il presidente Vladimir Putin arrivasse alla commemorazione non solo della liberazione del campo, ma anche dell'inizio di una traumatica occupazione russa e di oltre 40 anni di dittatura comunista dominata dal Cremlino. Putin, dal canto suo, non voleva partecipare a un evento gestito dai polacchi e, non avendo ricevuto un invito personale, ha fatto annunciare dal suo portavoce che la Russia non avrebbe partecipato.

Seguì un piccolo battibecco diplomatico quando l’allora ministro degli Esteri polacco, Grzegorz Schetyna, disse che in realtà erano stati gli ucraini a liberare Auschwitz. Tecnicamente, Schetyna non si sbagliava. Le unità che liberarono Auschwitz appartenevano al Primo Fronte Ucraino dell'Armata Rossa ed erano comandate da ufficiali ucraini. Ma per quanto riguardava la Russia, si trattava di una dichiarazione "blasfema e cinica", come disse il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov. Alla fine, la maggior parte degli ospiti che parteciparono all'evento commemorativo ad Auschwitz si sentirono sollevati di non dover affrontare Putin.

Custode dell'eredità di Auschwitz

Cinque anni dopo, il 75esimo anniversario della liberazione di Auschwitz-Birkenau sarà segnato da due grandi eventi che vedranno la partecipazione di delegazioni provenienti da tutto il mondo. Quello che si terrà lunedì al campo di sterminio sarà ospitato esclusivamente dalla Polonia e vi interverrà solo il Presidente polacco Andrzej Duda. Duda, tuttavia, sarà assente dall'evento parallelo ospitato dal Presidente israeliano Reuven Rivlin a Gerusalemme questo giovedì, dove Putin sarà uno dei principali relatori al Centro mondiale per la Memoria dell'Olocausto di Yad Vashem.

Ci sono tre parti in competizione  sull'eredità di Auschwitz: la Russia, che sostiene di rappresentare i liberatori sovietici del campo; la Polonia, dove si trova il campo e che oggi gestisce il sito storico (circa 350.000 degli assassinati ad Auschwitz erano cittadini polacchi, di cui circa l'80% ebrei); e poi c'è lo Stato ebraico. Circa un milione di ebrei di molte nazionalità sono stati assassinati ad Auschwitz: un ebreo su sei morti nell’ Olocausto. Chi li rappresenta? È il loro Paese di nascita (il numero maggiore è stato deportato dall'Ungheria)? È Israele, lo Stato ebraico, dove molti dei sopravvissuti di Auschwitz sono andati a vivere dopo la guerra? O sono rappresentati da una delle grandi organizzazioni ebraiche transnazionali, i cui opachi rapporti difficilmente si può dire che rappresentino gli ebrei oggi?

I tre governi coinvolti vogliono tutti il cappello di "custode dell'eredità di Auschwitz". Per la Polonia, Auschwitz è molto più di un simbolo nazionale della tragedia che l'ha colpita come nazione - il Paese dove è scoppiata la Seconda guerra mondiale e che è stato occupato per cinque anni e mezzo. La sofferenza degli anni della guerra della Polonia tra i due ex occupanti, Germania e Russia, (e poi del comunismo) deve essere mantenuta viva per rafforzare la posizione della Polonia come membro della NATO, ma anche per giustificare la sua posizione contrariata rispetto a un'Unione Europea dominata dalla Germania.

L'attuale governo polacco nazionalista di destra ha approvato una legislazione revisionista che vieta qualsiasi riferimento alla collaborazione del popolo o dello Stato polacco con i suoi occupanti nazisti. Viene anche soppressa ogni menzione delle stragi compiute dai polacchi a danno dei loro vicini ebrei e dell'aiuto dato ai tedeschi per il loro rastrellamento. Nulla deve permettere di negare alla Polonia - come minimo - uno status pari a quello degli ebrei come vittime.

La Russia si impegna in una propria forma di revisionismo storico. A differenza del resto d'Europa, fa risalire la Seconda guerra mondiale al periodo compreso tra il 1941 e il 1945; i primi due anni, a partire dal 1939, sono opportunamente cancellati dalla memoria ufficiale.

Sono trascorsi più di 80 anni, ma la Russia ancora non vuole che venga ricordato il Patto Molotov-Ribbentrop e il fatto che non solo abbia firmato un trattato di non aggressione con la Germania nazista nell'agosto del 1939, ma anche che, una volta scoppiata la guerra, abbia annesso parti della Polonia - incontrando la Wehrmacht in mezzo al Paese distrutto e unendosi ai tedeschi nelle marce per la vittoria. Solo quando la Germania rinnegò il patto nel giugno 1941, l'Unione Sovietica divenne sua nemica e iniziò immediatamente a riscrivere la Storia. Putin e la vasta rete di propaganda del Cremlino ritrarranno l'Armata Rossa solo come liberatrice, cancellando dalla storia russa i due anni di collaborazione con i nazisti.

Solo sotto un aspetto Putin è migliore dei suoi predecessori sovietici: è disposto a riconoscere l'Olocausto degli ebrei. Sotto il comunismo, si parlava poco dello sterminio sistematico degli ebrei europei; essi esistevano solo come "vittime del fascismo". Proprio come i leader sovietici, i propagandisti di Putin (e gli utili idioti dell’Occidente?) continuano a bollare qualsiasi rivale della Russia - dall'Ucraina, alla Polonia e la NATO in generale - come "fascista". A differenza loro, Putin si aspetta, da parte degli ebrei e dello Stato ebraico, un sostegno per la sua narrazione.

In Israele ci sono attualmente due narrazioni sull'Olocausto. Una è quella degli storici dello Yad Vashem, i custodi nazionali della memoria e della ricerca sull'Olocausto. Si tratta di una narrazione che di solito cerca l'obiettività e la veridicità storica, mettendo in primo piano la sofferenza degli ebrei durante la guerra e la storia dell'antisemitismo nazista negli anni prima della guerra. E poi c'è la narrazione che è politicamente e diplomaticamente utile al governo israeliano di oggi. Benjamin Netanyahu potrebbe essere uno dei più grandi "sfruttatori" dell'Olocausto per il proprio programma politico, ma non è affatto il primo: ogni primo ministro israeliano, da David Ben-Gurion in poi, ha fatto uso di una particolare narrativa dell'Olocausto.

Nessuna scelta

Nel 2015, Israele ha preso parte all'evento principale di Auschwitz, inviando una delegazione guidata dall'allora ministro dell'Energia Silvan Shalom. (Nel suo precedente incarico di ministro degli Esteri, Shalom aveva avuto un ruolo centrale nel far riconoscere alle Nazioni Unite il 27 gennaio come Giornata internazionale della Memoria dell'Olocausto). Israele non era rimasto bloccato tra Polonia e Russia - e c'era stato comunque un solo evento principale.

Molto è cambiato in cinque anni. Il presidente Barack Obama era ancora alla Casa Bianca e gli Stati Uniti erano più saldamente sostenuti dai loro alleati europei della NATO. Putin era relativamente isolato e doveva ancora dispiegare la sua forza aerea nella Siria devastata dalla guerra. Questo sarebbe accaduto sette mesi dopo, facendo di lui un attore chiave in Medio Oriente. Inoltre, a Washington è salito al potere anche un presidente amico di Putin.

Per anni, Netanyahu ha cercato di giocare da entrambe le parti: avvicinandosi a Putin, ma anche intrecciando stretti legami con i nazionalisti di Varsavia. Ha persino firmato una dichiarazione - criticata dagli storici di Yad Vashem in una rara dichiarazione pubblica - con il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki nel giugno 2018, di fatto insabbiando la collaborazione dei polacchi con i tedeschi e gonfiando il ruolo piuttosto deludente svolto dal governo polacco in esilio a nome degli ebrei durante la guerra. Ma non è stato sufficiente. Lo scorso febbraio, un commento disinteressato di Netanyahu sulla collaborazione polacca, seguito dall'allora ministro degli Esteri Yisrael Katz, che ha ripetuto la famosa citazione di Yitzhak Shamir su come "ogni polacco allattava l'antisemitismo con il suo latte materno", ha causato un’agitazione diplomatica con la Polonia che è ancora in corso. Israele avrebbe voluto il sostegno della Polonia nelle istituzioni dell'Ue. Ma se costretto a scegliere tra Russia e Polonia, non c'era alcun dubbio sui suoi interessi principali. Nel frattempo, c'erano altri attori che promuovevano gli interessi del Cremlino.

L'incontro internazionale di questa settimana a Gerusalemme è organizzato congiuntamente dalla presidenza israeliana, dallo Yad Vashem e dal Congresso ebraico europeo. Nonostante il suo titolo altisonante, il Congresso ebraico europeo è poco più che la personale piattaforma di vanità di un oligarca poco conosciuto: il miliardario Moshe Kantor (alias "re dei fertilizzanti" della Russia), che ha stretti legami sia con Putin che con Netanyahu. Kantor è un rivale del presidente del Congresso ebraico mondiale Lauder e nell'ultimo decennio ha fatto il suo business nel criticare ogni leader europeo per non aver fatto abbastanza per combattere l'antisemitismo, lodando invece Putin, e portando al Cremlino i meritevoli delle comunità ebraiche per lusingarlo.

Mentre all’evento di commemorazione del 2015 il Congresso mondiale ebraico era il partner principale, adesso è passato in secondo piano e Lauder, un tempo mecenate di Netanyahu, è in procinto di sostituire la leadership professionale dell'organizzazione. Allontanatosi da Netanyahu da dieci anni - da quando si è rifiutato di costringere i giornalisti dell'emittente televisiva israeliana di sua proprietà a desistere dall'indagare sugli affari finanziari della "famiglia dominante" di Israele - Lauder ha rinunciato al ruolo centrale che aveva un tempo nella politica ebraica globale. "Kantor è stato veloce ad entrare nel vuoto lasciato da Lauder", ha detto un alto dirigente di una grande organizzazione ebraica. "Rivlin aveva bisogno di una grande organizzazione ebraica per mettere soldi nel suo vertice internazionale, e Kantor era lì". Cinque anni fa, Kantor ha cercato di aiutare Putin organizzando un evento concorrente a quello di Auschwitz. Quell'evento di Praga non riuscì ad attirare l'attenzione. Quest'anno ha una sede migliore a Gerusalemme e, stranamente, mentre Putin terrà un discorso allo Yad Vashem in qualità di leader di una delle potenze alleate liberatrici, Duda è stato informato che non gli sarà permesso di parlare.

Duda e Lauder non ci saranno, ma Kantor e Putin sì. Presenti anche: Sheldon e Miriam Adelson, attuali mecenati di Netanyahu e megadonatori di Trump, che hanno messo a disposizione di Netanyahu il loro giornale gratuito Israel Hayom. Per coincidenza, gli Adelson e Kantor sono i maggiori donatori individuali dello Yad Vashem.

In sua difesa, Rivlin non voleva trovarsi al centro di una disputa tra Polonia e Russia. Ma ci sono in gioco poteri molto più grandi di lui. Il presidente israeliano voleva solo l'opportunità di ospitare un grande forum internazionale. Non è colpa sua se la presidenza non ha il budget per farlo, e quindi non ha altra scelta che trovare dei partner. Il suo ufficio ha cercato di placare Duda facendo sì che fosse l'unico leader straniero a parlare al ricevimento alla Residenza del Presidente mercoledì sera, ma l'affronto è stato troppo grande. Perché Putin e i rappresentanti dei Paesi alleati di Gran Bretagna, Stati Uniti e Francia dovrebbero parlare allo Yad Vashem, ma non quelli della Polonia? In un'intervista alla televisione pubblica di Kan lunedì sera, Duda ha detto che il luogo per commemorare Auschwitz è Auschwitz. E non ha tutti i torti.

"Il passato non è mai morto. Non è nemmeno passato", ha scritto William Faulkner. E nel caso dell'Olocausto, il passato è la geopolitica di oggi. La Polonia ha perso ancora una volta e Israele è stato costretto a schierarsi dalla parte della Russia.

Anshel Pfeffer, giornalista di Haaretz

Analisi di

24 gennaio 2020

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