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"Non siamo fatti per vivere nel momento presente"

perché per la scienza siamo Homo prospectus, prima che Sapiens

Martin E.P. Seligman, scienziato, e John Tierney, redattore scientifico presso il New York Times, hanno dedicato la rubrica di Scienze di questo giornale del 19 maggio 2017 alla questione di come la nostra memoria non sia semplicemente un archivio, ma rielabori continuamente l'accaduto. Ciò fa dell'essere umano una creatura lungimirante, o almeno dotata di capacità di previsione. Una caratteristica che non viene alterata da pensieri sulla morte, e che tutti potremmo sfruttare per vivere meglio con noi stessi e con gli altri.

Ci chiamiamo in modo sbagliato. Ci chiamiamo “Homo sapiens”, “l'uomo saggio”, ma si tratta più di una vanteria che non di una descrizione di ciò che siamo veramente. Che cosa ci rende saggi? Che cosa ci rende diversi dagli altri animali? Sono state proposte diverse risposte – il linguaggio, gli utensili, la cooperazione, la cultura, il fatto di avere un gusto sgradevole per i predatori – ma nessuno di essi è specifico dei soli umani.

Ciò che meglio distingue la nostra specie è una capacità che gli scienziati stanno appena iniziando ad apprezzare: il fatto che noi contempliamo il futuro. La nostra peculiare lungimiranza ha dato vita alla civiltà e sostiene la nostra società. Normalmente eleva le nostre anime, ma è anche la causa della maggior parte della depressione e dell'ansia, sia che ci colgano quando esaminiamo la nostra vita che quando ci preoccupiamo di come va il Paese. Altri animali hanno rituali di primavera per educare i giovani, ma solo noi li sottoponiamo a discorsi “di benvenuto” che li informano che un dato giorno è il primo giorno delle loro vite.

Un nome più appropriato per la nostra specie sarebbe Homo prospectus, perché stiamo bene quando consideriamo le nostre prospettive. Il potere della visione in prospettiva è ciò che ci rende saggi. Scrutare il futuro, consciamente e inconsciamente, è una funzione centrale del nostro grande cervello, come hanno scoperto gli psicologi e i neuroscienziati – piuttosto tardivamente, perché lo scorso secolo la maggior parte degli studiosi assumeva che siamo prigionieri del passato e del presente.

I comportamentisti pensavano all'apprendimento animale come a un ingranare di un'abitudine tramite la ripetizione. Gli psicoanalisti credevano che curare i pazienti fosse questione di dissotterrare e affrontare il passato. Perfino quando è emersa la psicologia cognitiva, essa si incentrava sul passato e sul presente - sulla memoria e sulla percezione.

Tuttavia risulta sempre più chiaro che la mente è principalmente attratta dal futuro, non guidata dal passato. Il comportamento, la memoria e la percezione non possono essere compresi senza apprezzare il ruolo centrale della visione in prospettiva. Impariamo non immagazzinando ricordi statici, ma continuamente rielaborando i nostri ricordi e immaginando possibilità future. Il nostro cervello vede il mondo non elaborando ogni pixel di una scena ma focalizzandosi sull'elemento inatteso.

Le nostre emozioni sono meno reazioni al presente di quanto non siano guide al comportamento futuro. I terapeuti stanno esplorando nuovi modi di trattare la depressione, ora che la vedono primariamente non come causata da traumi passati e stress presenti, ma da visioni alterate di ciò che ci aspetta in futuro.

La nostra capacità di guardare al futuro ci permette di diventare saggi non soltanto dalle nostre esperienze, ma anche da quelle degli altri. Siamo animali sociali diversi da tutti gli altri, viviamo e lavoriamo in gruppi molto ampi di sconosciuti, perché abbiamo costruito insieme il futuro. La cultura umana – il nostro linguaggio, la nostra divisione del lavoro, la nostra conoscenza, le nostre leggi e la tecnologia – è possibile solo perché possiamo anticipare ciò che gli altri esseri umani faranno nel futuro remoto. Facciamo sacrifici oggi che ci portano a maggiori benefici domani, che sia in questa vita o nell'aldilà promesso da così tante religioni.

Alcuni dei nostri poteri inconsci di previsione sono condivisi dagli altri animali, ma è difficile che altre creature siano capaci di pensare con un anticipo di più di pochi minuti. Gli scoiattoli seppelliscono le nocciole per istinto, non perché sappiano che arriva l'inverno. Le formiche cooperano per costruire le loro tane perché sono geneticamente programmate per farlo, non perché abbiano sottoscritto un programma. Gli scimpanzé sono noti per avere in alcuni casi esercitato una capacità di previsione di breve termine, come il burbero maschio di uno zoo svedese che è stato visto impilare le pietre da gettare agli umani che venivano a guardarlo con aria sciocca, ma questo non è nulla di comparabile a quanto fa l'Homo prospectus.

Se sei uno scimpanzé, passi gran parte del giorno cercando di procurarti il prossimo pasto. Se se umano, di solito puoi fare affidamento sulla previdenza del manager del tuo supermercato o puoi effettuare la prenotazione di un tavolo al ristorante per sabato sera grazie a un'impresa di notevole complessità basata sulla lungimiranza collaborativa. Tu e il ristoratore entrambi immaginate un tempo futuro - “sabato” esiste solo come fantasia collettiva – e anticipate ognuno le azioni dell'altro. Tu ti fidi che il ristoratore acquisti il cibo e lo cucini per te. Lui o lei si fida che tu ti presenterai e gli porterai i tuoi soldi, che lui o lei accetterà solo perché si aspetta che il padrone del suo locale lo accetti in cambio dell'occupazione dei locali dell'edificio.

Il ruolo centrale della lungimiranza è emerso negli studi recenti concernenti i processi mentali sia consci che inconsci, come una ricerca a Chicago che ha coinvolto quasi 500 adulti che durante il giorno dovevano prendere nota dei loro pensieri e umori immediati. Se la teoria psicologica tradizionale fosse stata corretta, queste persone avrebbero trascorso molto tempo ruminando pensieri sull'accaduto, ma invece pensavano al futuro tre volte in più che al passato, e perfino i pochi pensieri rivolti al passato implicavano tipicamente alcune considerazioni sulle sue implicazioni per il futuro.

Quando facevano progetti, quelle persone riportavano livelli più alti di felicità e più bassi di stress che le altre volte, presumibilmente perché il pianificare trasforma una massa di preoccupazioni in una sequenza organizzata. Anche se qualche volta temevano che qualcosa andasse storto, in media il doppio dei pensieri era rivolto a ciò che speravano si potesse realizzare.

Mentre la maggior parte delle persone tende a essere ottimista, quelle che soffrono di depressione e di ansia hanno una visione nera del futuro – e questo infatti sembra essere la causa principale dei loro problemi, e non i loro traumi passati o la loro visione del presente. Mentre i traumi hanno un impatto duraturo, la maggior parte della gente di fatto ne esce rafforzata. Altri continuano a lottare contro i propri fantasmi perché predicono in modo sbilanciato ipotesi di fallimento e di rifiuto. Gli studi hanno mostrato che le persone depresse si distinguono dalla norma per la loro tendenza a immaginare meno scenari positivi e a sovrastimare i rischi futuri.

Essi si isolano dal resto della società e si lasciano paralizzare da dubbi esagerati su di sé. Uno studente brillante e realizzato pensa: “Se sbaglio il prossimo test, deluderò tutti e mostrerò che falllimento sono davvero”. I ricercatori hanno iniziato a testare con successo terapie che progettate per spezzare questo modello, addestrando chi soffre a intravedere esiti positivi (immaginare di passare il test) e vedere i rischi del futuro in modo più realistico (pensando alle possibilità che rimangono perfino se si sbaglia il test).

La maggior parte della visione del futuro viene esercitata a livello inconscio quando il cervello filtra le informazioni per generare previsioni. Il nostro sistema di vista e udito, come quello degli animali sarebbe sovraccaricato se dovessimo elaborare ogni pixel di una scena o ogni suono intorno a noi. La percezione si può gestire perché il cervello genera la propria scena, così che il mondo rimane stabile anche se i nostri occhi si muovono tre volte al secondo. Questo libera il sistema percettivo dal dover occuparsi di caratteristiche impreviste, il che spiega come mai non siamo coscienti del ticchettio di un orologio finché questo cessa e spiega anche come mai non ridiamo quando ci si fa il solletico da soli: si sa già che cosa succederà dopo.

I comportamentisti erano soliti spiegare l'apprendimento come il radicamento di abitudini tramite la ripetizione e il rinforzo di alcuni comportamenti, ma la loro teoria non poteva spiegare perché gli animali erano più interessati a esperienze non abituali che a quelle familiari. È emerso che perfino i topi usati dai comportamentisti, invece di essere creature abitudinarie, stavano particolarmente attenti alle novità inaspettate, perché ciò era il modo che avevano appreso per evitare le punizioni e ottenere ricompense.

La memoria di lungo termine del cervello è spesso stata paragonata a un archivio, ma questo non è il suo scopo principale. Invece di ricordare fedelmente il passato, essa continua a riscrivere la storia. Richiamare un evento in un nuovo contesto può portare all'inserimento di nuove informazioni nella memoria. L'aiuto dei testimoni oculari può portare le persone a ricostruire la loro memoria, in modo tale che non resti traccia dell'originale.

La fluidità della memoria può sembrare un difetto, specialmente a una giuria, ma serve a un fine più ampio. È una caratteristica, non un errore, perché il punto cruciale della memoria è di migliorare la nostra capacità di affrontare il presente e il futuro. Per trarre il meglio dalle esperienze passate, le metabolizziamo estraendo e ricombinando le informazioni rilevanti per poter gestire situazioni nuove.

Questo legame tra la memoria e la visione del futuro è emerso nella ricerca, e mostra che le persone con danni al lobo temporale medio del cervello perdono i ricordi delle esperienze passate, come pure la capacità di costruire simulazioni ricche e dettagliate del futuro. Analogamente, studi sullo sviluppo dei bambini mostrano che essi non sono in grado di immaginare scene future finché non hanno acquisito la capacità di ricordare le esperienze personali, tipicamente a qualche punto tra i 3 e i 5 anni di età.

Forse la prova più notevole proviene dalla ricerca recente di imaging cerebrale. Quando richiamiamo alla memoria un evento passato, l'ippocampo deve combinare tre diversi tipi di informazioni – ciò che è accaduto, quando è accaduto e dove è accaduto – ognuno dei quali è immagazzinato in una parte diversa del cervello. I ricercatori hanno scoperto che viene attivato lo stesso sistema di circuiti quando le persone immaginano una scena nuova. Ancora una volta, l'ippocampo combina tre tipi di ricordi (che cosa, quando e dove), ma questa volta riorganizza le informazioni per creare qualcosa di nuovo.

Perfino quando ci si rilassa, il cervello ricombina continuamente le informazioni per immaginare il futuro, un processo che i ricercatori sono sorpresi di scoprire quando hanno analizzavano le immagini del cervello delle persone registrate mentre esse eseguivano compiti specifici come l'aritmetica mentale. Ogni volta che c'era un'interruzione nel compito, improvvisamente si verificava il passaggio delle attività al circuito di “default” del cervello, che si usa per immaginare il futuro o ritoccare le immagini del passato.

Questa scoperta mostra che cosa succede quando la mente divaga durante l'esecuzione di un compito: simula possibilità future. Ecco come si può reagire così rapidamente a sviluppi imprevisti. Quella che può sembrare come un'intuizione primitiva, un sentimento viscerale, è resa possibile da queste simulazioni precedenti.

Supponete di ricevere un invito via e-mail a una festa di un collega di lavoro. Al momento vi sentite perplessi. Vi ricordate vagamente di avere declinato un invito precedente, il che vi fa sentire obbligati ad accettare questo, ma poi vi immaginate di passare un momento brutto perché quella persona non vi piace quando beve. Ma quando considerate il fatto che non l'avete mai invitato a casa vostra, immaginate con disagio che il declinare il suo invito potrebbe comportare che lui sia risentito, causandovi problemi sul lavoro.

Soppesare metodicamente questi fattori richiederebbe molto tempo ed energia, ma si è in grado di prendere una decisione rapida utilizzando lo stesso trucco che usa il motore di ricerca Google quando vi fornisce i risultati di una ricerca in meno di un secondo. Google può darvi istantaneamente un milione di risposte perché non inizia da zero, ma sta continuamente prevedendo ciò che potreste chiedergli.

Il vostro cervello si impegna nello stesso tipo di visione del futuro per fornire le proprie risposte istantanee, che vengono espresse in forma di emozioni. Lo scopo principale delle emozioni è di guidare il comportamento futuro e i giudizi morali, secondo i ricercatori nel nuovo campo detto “psicologia prospettica”. Le emozioni ci permettono di empatizzare con gli altri prevedendo le loro reazioni. Una volta che immaginate come voi e il vostro collega vi sentirete se declinate il suo invito, intuitivamente sapete che fareste meglio a rispondere: “Certo, grazie”.

Se l'Homo prospectus assume il punto di vista veramente di lungo termine, si ammala? Questo era un assunto che è prevalso molto a lungo tra gli psicologi, quello della “teoria della gestione del terrore”, secondo cui gli esseri umani evitano di pensare al futuro perché hanno paura della morte. La teoria è stata esplorata in centinaia di esperimenti in cui si assegnava alle persone il compito di pensare alla loro morte. Una risposta comune era che si diventava più assertivi a riguardo dei propri valori culturali, come ad esempio il diventare più patriottici.

Tuttavia ci sono abbastanza poche prove che la gente davvero passi molto tempo fuori dal laboratorio pensando alla propria morte o gestendo il proprio terrore della mortalità. Questo certamente non è ciò che gli psicologi hanno scoperto nello studio che teneva traccia dei pensieri quotidiani degli abitanti di Chicago. Meno dell'1% dei loro pensieri riguardava la morte, e anche quelli tipicamente riguardavano la morte di altre persone.

L'Homo prospectus è troppo pragmatico per farsi ossessionare dalla morte, per lo stesso motivo per cui non si sofferma sul passato: non c'è niente da fare su questo. È diventato Homo sapiens imparando a vedere e dare forma al proprio futuro, ed è saggio abbastanza per continuare a guardare dritto davanti a sé.

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