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Rosenstrasse. Ricordare i 2.000 ebrei di Berlino salvati da delle donne tedesche

di Nathan Stoltzfus e Mordecai Paldiel

Berlino, monumento a Rosenstrasse

Berlino, monumento a Rosenstrasse

Proponiamo di seguito la traduzione della riflessione sulla protesta di Rosenstrasse pubblicata sul Jerusalem Post il 24 febbraio 2018 da Nathan Stoltzfus, storico americano e professore di studi sull'Olocausto del Dorothy and Jonathan Rintels alla Florida State University e Mordecai Paldiel, della Yeshiva University, già Direttore del Dipartimento dei Giusti di Yad Vashem.

Nel febbraio e nel marzo del 1943, centinaia di donne salvarono 2.000 ebrei, i loro mariti, dalle fauci della morte, con un’audace protesta sulla Rosenstrasse di Berlino. Vi si riunirono per oltre una settimana, nonostante le autorità ripetessero a più riprese l’ordine “sgomberate le strade o spariamo”. La massiccia “degiudaizzazione del territorio del Reich” portata avanti dalla Gestapo a partire dal 27 febbraio 1943 aveva incarcerato circa 2.000 ebrei in una struttura di pre-trasporto sulla Rosenstrasse, nell’ambito della retata finale degli ebrei di Berlino. Per gli ebrei e i gentili sposati con ebrei, le abitudini più banali si trasformarono in prove di forza attraverso una rete crescente di divieti e punizioni.

Le Leggi di Norimberga del settembre 1935 consideravano reato i rapporti sessuali tra ebrei e non ebrei in quanto “contaminazione razziale”. Dopo il pogrom della Notte dei Cristalli del novembre 1938, la Gestapo avviò una campagna per minacciare e convincere a divorziare le donne tedesche non ebree sposate con ebrei. Nell'autunno del 1941, le norme prevedevano che gli ebrei indossassero la Stella di David in pubblico e vietavano i rapporti amichevoli con gli ebrei. Molti genitori di donne sposate con ebrei le abbandonarono e vicini e colleghi una volta amici le esclusero.

Hitler fece temporaneamente qualche concessione alle coraggiose donne di Rosenstrasse. Per tutelare la sua rivendicazione di consenso popolare infatti, Hitler autorizzò una serie di eccezioni per gli ebrei tedeschi in matrimoni misti, privilegiandone alcuni che non avrebbero quindi indossato la Stella Ebraica ed esentando “temporaneamente” dal genocidio tutti gli ebrei sposati con tedeschi - compresi coloro che indossavano la stella. Tuttavia, questa esenzione poteva finire in qualsiasi momento. Centinaia di ebrei sposati con tedeschi furono trascinati nell’Olocausto con false accuse e alcuni, a Berlino, vennero deportati e assassinati al momento della protesta. Inoltre, non appena i rispettivi coniugi non ebrei accettarono di divorziare, la Gestapo deportò i loro ex coniugi ebrei.

Alcuni storici hanno espresso scetticismo rispetto a questa storia, sostenendo il fatto che Hitler avesse sempre represso ogni ostilità e che, a prescindere dalle proteste di queste donne, la sua dittatura non fu mai volta a deportare alcun ebreo da Rosenstrasse, al di là del fatto che indossasse la Stella Ebraica. Quest'idea non tiene in considerazione diversi punti fondamentali, tra cui le tipiche improvvisazioni di Hitler, in linea con il suo uso di tutti i mezzi a portata di mano per raggiungere i suoi obiettivi a lungo termine senza alienarsi le simpatie di troppe persone.

La protesta ha creato condizioni che contraddicono i racconti ufficiali e che hanno plasmato il dissenso. In più di un’occasione infatti, Hitler scelse di porre fine a questo tipo di minacce evitando il conflitto con i manifestanti. A Dortmund-Höede, alcune settimane dopo la protesta di Rosenstrasse, una folla di tre o quattrocento donne protestò con successo contro l'arresto di un soldato, secondo un rapporto della polizia nazista. Le loro grida energiche che proclamavano "restituiteci i nostri mariti!" facevano eco alle parole delle manifestanti di Rosenstrasse, il che fa pensare che la notizia si fosse diffusa.

Nella città di Witten, l'11 ottobre 1943, secondo la polizia, diverse centinaia di donne manifestarono in piazza Hitler per “obbligare” le autorità a consegnare le tessere di razionamento nella loro città natale, Witten, e non solo nei siti di evacuazione della difesa civile dove erano state trasferite. Quando ottennero quanto richiesto, il 2 novembre 1943, Goebbels dichiarò preoccupato che i tedeschi stavano imparando a protestare: “la gente sa esattamente qual è il punto debole della leadership, e lo sfrutterà sempre... Lo Stato non può mai, contro le sue migliori intuizioni, cedere alla pressione della strada”.

La forza della Gestapo avrebbe certamente potuto impedire alle donne di tornare nelle loro città d'origine, ma si chiedeva se fosse il “mezzo adeguato”. Il 24 gennaio 1944, Hitler deliberò contro tutte le forme di uso della forza in materia, proibendo anche la più morbida coercizione che si serviva della distribuzione delle razioni alimentari per controllare gli sfollati indisciplinati. Hitler non pensava che il terrore fosse il mezzo migliore per conseguire tutti i suoi obiettivi, in questo modo divenne più popolare e provocò molti più danni perché si servì di una serie di tattiche, piuttosto che reagire sempre con forza cieca.

Dalle donne che manifestarono in Rosenstrasse impariamo come le proteste pubbliche e collaborative non sono solo un modo per “sfogarsi”, ma un'importante tattica politica, quando i governanti voltano le spalle. Se queste donne erano disposte a protestare rischiando la propria vita, noi – poichè viviamo per lo più senza problemi e la nostra esistenza non è (ancora) a rischio – dovremmo sentirci obbligati a opporci fin dai primi sviluppi di una tendenza autoritaria che si spinge troppo oltre.

Il giornalista Georg Zivier, ebreo incarcerato a Rosenstrasse, sposato con una gentile tra i manifestanti, celebrò la protesta subito dopo la guerra come “il bagliore di una piccola torcia che avrebbe potuto innescare una resistenza generale alla tirannia arbitraria” - se solo il pubblico vi avesse partecipato. Mentre nuove dittature come quelle in Russia, Iran e Turchia schiacciano le proteste popolari e il giornalismo indipendente, anche un rapporto di Human Rights Watch definisce i manifestanti come un mezzo potente per affrontare la tirannia e i suoi predecessori. Nelle democrazie, le manifestazioni di massa che parlano all’unisono e rimangono non violente sono i mezzi più efficaci per contrastare i raduni degli agitatori estremisti.

I manifestanti iraniani che oggi proclamano “Protesteremo, moriremo” fanno eco alla decisione su Rosenstrasse, costringendo il Presidente iraniano Hassan Rouhani a riconoscere pubblicamente che le loro recriminazioni sono legittime. Queste sono le candele tremolanti di oggi, che puntano a strade troppo spesso silenziose di fronte alla tirannia e al suo nascere. A posteriori, quindi, la protesta di Rosenstrasse di 75 anni fa è stata un'avanguardia, una lezione del secolo scorso da tenere stretta.

I rapporti dell’SD su Witten e Hörde citati in questo saggio sono stati riportati su Der Spiegel 51, il 15 dicembre 1965, 83: “Der Führer darf das gar nicht wissen: Aus den Stimmungs-Analysen des nationalsozialistischen Sicherheitsdienstes von 1939 bis 1943”.

Analisi di Mordecai Paldiel, docente alla Yeshiva University, già Direttore del Dipartimento dei Giusti di Yad Vashem e Nathan Stoltzfus, storico e docente di studi sull'Olocausto alla Florida State University

5 giugno 2019

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