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Se un Memoriale della Shoah ospita i dittatori

analisi del New York Times dopo le visite di Orbán e Duterte

Matti Friedman, opinionista, è autore del memoir “Pumpkinflowers: A Soldier’s Story of a Forgotten War”, sulla guerra in Libano negli anni '90, e del libro di prossima uscita “Spies of No Country,” su quattro agenti israeliani nella guerra del 1948. L'8 dicembre 2018 ha dedicato un articolo sul New York Times al dissenso del personale di Yad Vashem nel confronto di svariati leader populisti e autoritari che visitano il Memoriale della Shoah più importante al mondo. Lo pubblichiamo di seguito tradotto.

Il tranquillo campus di Yad Vashem, il memoriale e museo della Shoah ufficiale di Israele, sorge in cima a una collina boscosa nei dintorni di Gerusalemme, lontano dalla frenesia cittadina. Può sembrare un eremo, un luogo non proprio di questo mondo. Eppure, la famosa istituzione ora si trova al centro di una tempesta molto tipica di questo 21° secolo, ed è un barometro del clima politico che sta cambiando nel mondo, al di fuori dei suoi confini.

Yad Vashem e lo Stato che lo ospita furono fondati da ebrei cacciati dalle loro case dal nazionalismo sciovinista e sopravvissuti del genocidio europeo - che fu la logica conclusione di tali idee. Il museo e Israele sono fioriti in anni in cui si riteneva che quelle idee fossero definitivamente screditate.

Oggigiorno, tuttavia, alcune di quelle convinzioni stanno prendendo piede ancora una volta in Europa e negli Stati Uniti, e Israele si trova a essere corteggiato da alcuni dei loro sostenitori: politici di destra capaci di istigare animosità contro gli ebrei e altre minoranze in patria, ma pure di dirsi ammiratori dello Stato di Israele.

L’Israele visto da loro non è un’enclave democratica o cosmopolita creata da socialisti, ma lo Stato nazione di un gruppo etnico coerente sospettato di coltivare fantasie sovranazionali, una forte potenza militare e un baluardo contro il mondo islamico. E questi leader hanno cercato e trovato buoni rapporti con la coalizione di destra attualmente al potere.

Per avere un’idea di questo cambiamento politico, basti pensare solo al libro degli ospiti di Yad Vashem. Il memoriale è una tappa importante nel tour dei dignitari in visita a Israele. Negli ultimi sei mesi vi si sono avvicendati il Primo Ministro ungherese, Viktor Orbán, uno dei volti più noti della nuova ondata politica, che egli stesso chiama “democrazia illiberale”, e il Presidente filippino Rodrigo Duterte, che una volta si è paragonato a Hitler intendendo ciò come un complimento per Hitler e per se stesso. Il nuovo presidente populista del Brasile, Jair Bolsonaro, ha dichiarato che uno dei suoi primi viaggi all’estero sarà in Israele, il che significa che Yad Vashem potrebbe averlo presto in visita. Matteo Salvini, il vice primo ministro nazionalista dell’Italia, vi si è appena recato.

Lo staff di Yad Vashem non può parlare ai media senza permesso, e il permesso di discutere di questi argomenti sensibili non viene accordato facilmente. Un ricercatore senior ha tagliato di netto la nostra conversazione quando ho spiegato che cosa mi interessava. Il Presidente di questa istituzione non si è reso disponibile per un’intervista e una portavoce mi ha semplicemente inviato un messaggio e-mail che diceva: “Yad Vashem non partecipa alla formulazione o all’attuazione della politica estera di Israele”.

Tuttavia, negli uffici e archivi di Yad Vashem, l’argomento sta diventando sempre più scottante.

“C’è profondo disagio qui, e perfino rabbia”, mi ha confidato un membro dello staff, “perché molti di noi vedono una collisione tra ciò che crediamo siano le lezioni della Shoah e quello che noi vediamo: che il nostro lavoro, e nel mentre lo stesso Yad Vashem, viene sfruttato arbitrariamente per finalità politiche”.

I membri dello staff di Yad Vashem, che riceve il 40% del suo budget dal governo, rivolgono a se stessi e agli altri domande quali: che ruolo dovrebbero giocare nella real politik praticata dal loro Stato? A che punto quel ruolo può danneggiare il loro altro ruolo nel commemorare e insegnare la Shoah? E come un memoriale della devastazione inflitta, almeno in parte, dal suprematismo, dal culto della personalità e dal disprezzo per il diritto, dovrebbe trattare i governi che flirtano con queste stesse idee?

La tensione interna a Yad Vashem è esplosa pubblicamente in giugno, nella parte del memoriale nota come Valle delle Comunità, dove iscrizioni murarie ricordano le città i cui ebrei furono uccisi dai nazisti e dai collaborazionisti. Il cancelliere austriaco, Sebastian Kurz, stava passando in rassegna i nomi delle comunità perdute dell’Austria, quando la sua guida ha parlato del fatto che alcuni di quegli stessi posti recentemente sono stati teatro di incidenti antisemiti che coinvolgevano membri del Partito della Libertà Austriaco. Quel partito, i cui primi due leader furono ex ufficiali delle SS, è partner di coalizione nel governo dello stesso Kurz.

La guida a Yad Vashem del signor Kurz, Deborah Hartmann, lei stessa nata in Austria, ha detto al cancelliere che alcuni dei suoi alleati sono persone che “devono essere informate di quello che fu l’Olocausto”. Quando Kurz se n'è andato via, l’Ambasciata austriaca, secondo le nostre fonti, ha espresso un raro reclamo ufficiale, dicendo che la signora Hartmann aveva sconfinato impropriamente nel terreno politico. L’incidente è stato risolto con delle scuse da parte dell’amministrazione del museo.

L’episodio si era appena sedimentato quando, un mese dopo, un corteo di auto è arrivato con a bordo Orban. La visita dell’ungherese ha suscitato critiche aperte non solo dalla sinistra israeliana, ma anche da politici centristi come Yair Lapid, che ha ricordato gli elogi di Orbán lo scorso anno per Miklós Horthy - il leader della Seconda guerra mondiale che siglò l’alleanza dell’Ungheria con la Germania nazista e collaborò all’assassinio degli ebrei del Paese. Lapid, figlio di un sopravvissuto ungherese e nipote di una vittima, ha affermato che la visita era “una disgrazia”.

Prima dell’arrivo di Orban, l’amministrazione di Yad Vashem ha visto bene di emettere un comunicato inusuale, in cui ricordava che era il Ministro degli Esteri a decidere l’itinerario per gli ospiti stranieri in visita. In altre parole: il memoriale non ha alcuna voce in capitolo su chi viene. Il messaggio suggeriva una consapevolezza dello stato d’animo incline a ribellarsi che sta crescendo in alcune parti dell’istituzione. La visita di Orbán al memoriale si è svolta senza incidenti, anche se alla partenza ha subito un ritardo a causa di un gruppo di dimostranti fuori dai cancelli.

Circa 7 settimane dopo, il 3 settembre, è arrivato Duterte, che coltiva di sé un’immagine da criminale e, come altri membri dell’attuale gruppo di leader populisti, utilizza uno stile di retorica offensiva e di attacchi verbali contro la stampa. Come il Primo Ministro di Israele Benjamin Netanyahu, anche lui vede il Presidente Trump come un “buon amico”. Mentre questo spostamento nella politica globale continua a manifestarsi, le sfide poste a Yad Vashem non faranno che crescere.

“C’è qualcosa che sta accadendo nel mondo, e questo qualcosa sembra molto importante”, mi ha detto un altro membro dello staff. “Trump fa parte di ciò, e questi leader anche”. Le direttive di stare alla larga dalla politica attuale, diceva questo addetto, non erano solamente irrealistiche, ma anche dannose, perché ignoravano i modi in cui Yad Vashem è utilizzato da Netanyahu, nel perseguimento della sua politica estera, e da astuti politici esteri che colgono il valore di una comparsata in questo luogo.

I primi ricercatori sull’Olocausto di Israele erano persone per le quali la materia non era puramente accademica, come per esempio per la Dr.ssa Sarah Friedlander di Budapest, che era appena uscita dal campo di concentramento di Bergen-Belsen quando li e alcuni altri crearono Yad Vashem in un appartamento di tre stanze al centro di Gerusalemme, subito dopo la guerra.

Nel 1953, quando Israele aveva 5 anni, il Parlamento ha conferito uno statuto legale a Yad Vashem. Dopo un quarto di secolo sotto la guida di Avner Shalev, un ex ufficiale paracadutista molto ammirato, il lussureggiante campus ora comprende numerosi siti memoriali, un immenso archivio e un museo che spezza il cuore, progettato all’architetto israelo-canadese Moshe Safdie, che attira circa un milione di visitatori ogni anno.

La tensione tra i vari ruoli di Yad Vashem è vecchia almeno quanto l’istituzione. “Noi ebrei non possiamo permetterci il lusso di fare meramente ricerca – il terrificante pericolo non è ancora passato, come abbiamo avuto modo di renderci conto negli ultimi anni”, dichiarò lo studioso Aryeh Tartakower nella prima conferenza sullo studio della Shoah a Gerusalemme nel 1947. “È abbastanza probabile – quanto vorrei avere torto – che queste cose ritornino, e noi dobbiamo sapere che cosa fare per prepararci per i tempi orribili che probabilmente ritorneranno”.

Per gli israeliani, lo studio della Shoah ha sempre significato leggere il genocidio come un ammonimento – e come una bussola per dirigere le nostre azioni odierne.

Il problema con le lezioni dell’Olocausto è che se ne possono trarre molte, spesso in conflitto tra loro. Un liberale americano, per esempio, potrebbe dire che la lezione è quella dei valori umanistici universali – il tipo di valori che molti di noi presumevano, sbagliando, che fossero in costante ascesa nel mondo postbellico. L’approccio sionista è stato tradizionalmente che mentre quei valori erano desiderabili, essi tuttavia non proteggono gli ebrei dopo l’Olocausto più di quanto non lo facessero con la Shoah in corso, e ci dev’essere uno Stato con sufficienti poteri per proteggere gli ebrei in un mondo brutale.

Ciò significa stringere alleanze con altri Paesi che hanno interessi comuni, qualunque sia il loro atteggiamento verso i valori liberali e perfino verso gli ebrei. Israele ha firmato un accordo di pace con il leader egiziano Anwar el-Sadat, per esempio, anche se Sadat era un uomo autoritario che un tempo aveva supportato la Germania nazista.

La minaccia a Israele oggi, nel 2018, non proviene da estremisti di destra in Occidente ma dal mondio islamico, e particolarmente dal regime teocratico in Iran, che ha per slogan “Morte a Israele”, e i cui soldati e alleati ora sono presenti su ben tre dei confini di Israele. Gli israeliani potrebbero preferire gli alleati liberali, ma i leader delle democrazie occidentali generalmente sono intenzionati a fare affari con gli iraniani e associarsi alle dittature, isolando Israele alle Nazioni Unite. Israele ha bisogno di tutti gli alleati che trova, e i leader come Orbán e Trump, che condividono un fare sospettoso verso i nemici di Israele, sono un’opzione probabile.

Il calcolo politico è legittimo e costituisce anche un’interpretazione legittima delle lezioni della Shoah. La questione è dove tutto ciò lasci Yad Vashem.

Il dilemma è stato illustrato al meglio nella prima parte di quest’anno nel pasticcio sorto intorno a una legge proposta dal governo nazionalista della Polonia per restringere la possibilità di accusare i polacchi di complicità nell’uccisione di ebrei durante l’occupazione nazista. Chi viene colpito maggiormente dal provvedimento sono gli storici polacchi, molti dei quali sono colleghi e amici di storici di Yad Vashem. Lo stesso governo polacco, tuttavia, è diventato un importante alleato di Israele.

Dopo un’ondata di proteste, i polacchi hanno allargato le maglie della legge, e i governi polacco e israeliano hanno emesso un comunicato congiunto sulla storia dell’Olocausto in Polonia – uno strano documento di revisionismo storico utilitarista che mirava a conservare un’importante alleanza.

Il capo degli storici di Yad Vashem, Dina Porat, ha dichiarato che potrebbe “convivere con” la bozza con alcune riserve. Per questo, è incorsa nella furia degli altri storici dell’istituzione, che hanno stroncato pubblicamente il documento israelo-polacco, affermando che enfatizzava di molto gli sforzi polacchi per salvare gli ebrei, suggeriva un parallelo tra l’antisemitismo e “l’antipolonismo” ed era espresso “in forme verbali molto problematiche, che contraddicono la conoscenza storica esistente e accettata” – o, per usare un linguaggio meno diplomatico, li accusavano di dire menzogne.

In un episodio simile, un nuovo museo sulla Shoah ungherese chiamato “la Casa dei Destini”, che è in fase di costruzione da parte del governo Orban, ha attirato severe critiche da parte di Yad Vashem perché sembra sminuire il ruolo degli ungheresi nel genocidio. Robert Rozett, uno degli storici di Yad Vashem, ha detto che il progetto implica “una grave falsificazione della storia”. Il dr. Rozett aveva l’incarico di guidare Orbán nella sua visita quest’anno.

Poi, proprio questa settimana, Channel 10 di Israele ha riportato che ufficiali di carriera ungheresi e israeliani “hanno raggiunto un consenso sulla narrazione del museo”, attirando accuse che Netanyahu stesse di nuovo usando la storia dell’Olocausto, e il ruolo percepito di Israele come arbitro di quella storia, come moneta di scambio sul mercato della politica internazionale.

Uno degli artefici della risposta di Yad Vashem in queste materie è lo studioso Yehuda Bauer, il decano degli analisti dell’Olocausto israeliani. Bauer fuggì dalla Cecoslovacchia da bambino con la sua famiglia nel 1939, e la sua acuta intelligenza rimane brillantissima all’età di 92 anni.

Yad Vashem, mi ha detto, ha svolto un lavoro ammirevole di tenersi su una linea politicamente labile, rimanendo fedele alla storia mentre navigava attraverso le vicissitudini politiche del Paese. Mentre Bauer conviene sul fatto che Yad Vashem viene utilizzato sia dal governo israeliano che dai visitatori com Orbán e Duterte, ha detto che il memoriale non aveva scelta: il Ministero degli Esteri stila la lista, e la politica del memoriale come istituzione educativa è sempre stata che chiunque voglia venire possa farlo. “È importante per noi mostrare loro queste cose, anche se non li inviteremmo a cena”, mi ha detto. Quando negli anni ’90 è emersa la possibilità di una visita da parte di Yasir Arafat dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, il memoriale era a favore. “Abbiamo detto, se vuole una guida, non c’è problema, abbiamo abbastanza persone che parlano arabo” (Arafat non venne mai).

Mentre l’accoglienza ai leader più controversi potrebbe attirare critiche dal pubblico o da membri dello staff scontenti, rifiutare le loro visite o affrontarli a malo modo potrebbe attirare le ire del governo israeliano, il che costituisce una preoccupazione molto più grande per una ragione pratica non necessariamente evidente agli outsider. Il presidente di Yad Vashem, il signor Shalev, compirà 80 anni l’anno prossimo. Il posto è assegnato per nomina politica. Shalev, incaricato sotto un governo laburista nel 1993, viene visto come un uomo del vecchio establishment israeliano moderato. La sua sostituzione potrebbe portare l’ente ancora più in linea con il programma politico di Netanyahu. Fonti interne a Yad Vashem intendono questa sia come una ragione per cui Shalev non sta andando in pensione, sia come una ragione per l’estrema cautela nel trattare queste attuali controversie e quelle che sicuramente verranno.

L’idea di portare dignitari esteri a rendere omaggio a Yad Vashem è legata alla tradizione di altri Paesi di portare fiori sulla Tomba dei Caduti Ignoti – un riconoscimento comunemente accettato senza controversie di una parte di storia importante per il Paese ospite. Yad Vashem potrebbe considerare necessario continuare a essere un memoriale di quel tipo, ma non può, per la stessa ragione per cui i suoi storici sono costantemente coinvolti in guerre nel presente: perché questa storia non è ancora nel passato.

13 dicembre 2018

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