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Un nuovo percorso per la Memoria

di Gabriele Nissim

Telegramma di Mildred Burgess, 9 luglio 1948. Adottata la Risoluzione sul Genocidio.

Telegramma di Mildred Burgess, 9 luglio 1948. Adottata la Risoluzione sul Genocidio.

Il coronavirus è stato uno tsunami che ha cambiato le nostre vite, che ci ha fatto avvertire la paura della morte, la nostra fragilità, che ci ha messo improvvisamente di fronte a tutti i problemi dell’umanità.

Anche se il mondo appare così diviso, abbiamo avvertito, in ogni sua parte di fronte a questa malattia, che tutti abbiamo un destino comune e dipendiamo gli uni dagli altri. È diventato un momento importante per riflettere sul nostro futuro e ci ha richiamato a comprendere in questa emergenza che tutti quanti siamo chiamati ad essere responsabili e ad affrontare nuove sfide.

Il coronavirus si è trasformato in una grande lente di ingrandimento che ci ha fatto vedere tutte le contraddizioni del mondo in cui viviamo: i cambiamenti climatici, le democrazie illiberali, i nazionalismi, le autocrazie, l’odio on line, il terrorismo, il fondamentalismo.

Anche se non ne abbiamo ancora la consapevolezza, siamo entrati in una nuova epoca. Tanti vecchi parametri non funzionano più. Siamo tutti chiamati a cambiare.

Per questo dobbiamo ripensare anche alla stessa idea di memoria nata dopo la Shoah, per vedere come questa memoria, che ha formato milioni di uomini dopo la Seconda guerra mondiale, possa essere all’altezza dei nuovi tempi in cui viviamo.

Abbiamo così lanciato come Gariwo una Carta della Memoria che vuole indicare un nuovo percorso.

Lo dico subito per non creare equivoci. Non si tratta di buttare via quanto di significativo si è fatto dal dopoguerra, ma di indagare con coraggio i punti deboli e di guardare al futuro. Altrimenti il carattere esemplare e dirompente di questa memoria si esaurirà. Quella memoria è stata un grande fatto politico, che ha permesso non solo di ricordare le vittime e di chiedere giustizia, ma di raddrizzare il mondo dopo la guerra.

Vorrei ricordarne i punti fondamentali.

Si è ideato il termine di genocidio.

“È stato difficile per tutti dare un nome a quel fatto,
come diceva Churchill era un crimine senza nome.”

Il termine genocidio è un ibrido latino-greco che designa la distruzione (cidio) di un gruppo (genos) accomunato dalla stessa origine, utilizzato per la prima volta nel 1944 dall’ebreo polacco Raphael Lemkin, proprio a partire dalla distruzione degli ebrei.

Si è data la definizione di genocidio allo sterminio degli ebrei non precedente usando il termine Olocausto, Kurban e Shoah: uccidere ovunque gli ebrei nel mondo, come corruttori dell’umanità, per una idea di fantasia. Ricordo quanto aveva detto Hitler sulla guerra nel discorso del 1938.

Per merito di sopravvissuti come Primo Levi e Simone Veil si è fatta una differenza tra le vittime di guerra, i resistenti e coloro che sono morti con la colpa di essere nati, appunto gli ebrei.

Si è affermato il tema della responsabilità delle società e dei gruppi politici che hanno sostenuto il genocidio. Mi riferisco al tema della colpa in Germania per merito di Jaspers; ma anche al ruolo di István Bibó in Ungheria. Possiamo dire che dopo l’89 è cominciato all’Est un percorso di purificazione morale che oggi viene messo in discussione dai gruppi populisti.

È nata con Lemkin l’idea di una legge internazionale delle Nazioni Unite che sia alla base della prevenzione dei genocidi, anche se siamo ancora alla preistoria per i veti delle superpotenze, la scarsa messa in opera della protezione internazionale, l’inefficacia dei tribunali internazionali.

È nata l’idea di ricordare i Giusti e gli oppositori dei genocidi. Altri popoli sono entrati sulla scena pubblica per chiedere il riconoscimento del loro genocidio accanto a quello degli ebrei: i ruandesi, i cambogiani, gli armeni. Tutti esigono che il mondo ricordi "la loro Shoah" perché per ognuno è un genocidio specifico. 

Ecco però il cortocircuito che si è creato. Una concorrenza tra le memorie dei genocidi dove alcuni sono caduti in una visione identitaria e hanno teso a creare una gerarchia delle sofferenze. Così è mancata una lettura d’insieme dei genocidi. La solidarietà degli scossi. Non si sono analizzate le caratteristiche comuni ed è mancato il metodo della comparazione.

I genocidi sono stati letti come un mondo a parte e non come un momento in cui sono apparsi sulla scena carnefici, complici, indifferenti e vittime. Non c’è stata una memoria di valori. L’esempio più clamoroso è la guerra del Karabakh dove armeni ed ebrei si sono trovati in trincee contrapposte.

Si è creata una lettura distorta dell’antisemitismo. Lo si è separato dal resto del mondo. Tutto è stato visto in funzione di Israele. Certamente è stato fondamentale difendere lo Stato ebraico contro coloro che lo vogliono distruggere, ma è mancata, come osserva Nadav Tamir, un'alleanza internazionale con tutte le minoranze. È interessante un fenomeno. Prima nel mondo comunista la Shoah era spogliata dell’oggetto: gli ebrei. Oggi c’è invece una tendenza opposta. Un'appropriazione esclusiva senza che diventi questione dell’umanità, come diceva per esempio Marek Edelman. È un fenomeno, del resto, che vediamo sia per gli armeni che per i ruandesi.

Ma soprattutto c’è stato un vuoto sul mai più. Si è arrivati ad un mai più identitario. Il ricordare giustissimo, si è però separato dal mai più. 

Non si è legata la memoria alla responsabilità nel tempo presente sia rispetto ai crimini in corso, sia allo stato degli organi internazionali. Non si è capito che il punto fondamentale della prevenzione dei genocidi oggi si pone sul piano della difesa della democrazia.


Cosa allora possiamo fare?


Informare, nelle giornate della memoria, sui genocidi e sui crimini contro l’umanità in corso: come quelli verso gli Uguri in Cina, i Rohingya in Birmania, gli Yazidi in Iraq. Dobbiamo sempre comparare il passato e il presente e non creare un vuoto.

La comparazione tra genocidi e il rapporto con il presente, direbbe Pierre Hadot, è l’esercizio spirituale all’interno della pratica di una memoria. Io ricordo mia zia e mia cugina morte ad Auschwitz insieme ai miei bisnonni se mi impegno a fianco delle vittime di oggi. Ricordo in questo modo la Shoah che ha toccato la mia famiglia a Salonicco. Questa è memoria attiva. 

Non possiamo ricordare tutto, ma dobbiamo focalizzare la memoria sul tempo presente. Gli intellettuali, gli storici, devono orientare la scelte delle memoria in funzione positiva. Dobbiamo cogliere l’aspetto centrale della difesa della democrazia come la possibilità più importante per prevenire i genocidi. Una democrazia fa sempre da argine ad una deriva genocidaria al suo interno, vedi per esempio il caso dell’America e la guerra nel Vietnam. Una democrazia può denunciare i diritti umani violati in un altro Paese. E il caso di Macron oggi che non tace sul terrorismo, sul fondamentalismo, sui diritti violati in Cina...

In secondo luogo, è l’alleanza tra le democrazie il meccanismo che permette l’attivazione degli organismi internazionali per la prevenzione dei genocidi, i tribunali internazionali, la protezione delle popolazioni minacciate. Ecco perché, come ha detto Paola Peduzzi del Foglio, è importante la ripresa della collaborazione tra Europa e Stati Uniti con la fine della politica America First.

Oggi abbiamo visto con il trumpismo, con Orbán con i Kaczyński in Polonia come le democrazie possano essere minate dall’interno... Sono i nuovi segni del male che devono essere respinti.

Quali sono?

La politica del disprezzo nell’arena pubblica e sui social che considera l’altro come un nemico.

Una parte politica che si vuole rappresentare come il tutto, come il rappresentante totalitario del popolo e mina il pluralismo e i corpi intermedi della società. Ecco allora l’importanza del discorso di Biden, che dopo il risultato elettorale sostiene di volere rappresentare anche quelli della parte politica avversa, che non considera nemici.

L’uso delle teorie complottiste e delle fake news per fare passare la tesi che esistano delle forze oscure che governano il mondo e da cui le persone dovrebbero difendersi (i nuovi protocolli di Sion come le teorie di QAnon). L’avvocato Giuliani per invalidare le elezioni ha parlato di un complotto ordito da Soros, dai seguaci di Hillary Clinton e di Chavez, che avrebbero manipolato i software del conteggio dei voti.

Lo svuotamento degli istituti democratici, con nuovi tiranni che si fanno eleggere: è il caso di Erdogan, di Putin e del tentativo di Orban.

Se noi difenderemo le democrazie in tutti i modi, potremmo affrontare la sfida delle autocrazie e dei nuovi dispotismi come la Russia, la Cina e la Turchia. 

Dobbiamo essere consapevoli di due cose fondamentali:

L’evoluzione in questi Paesi sarà molto lunga e non possiamo pensare ad una guerra fredda e a una politica di contrapposizione, ma dobbiamo costantemente vigilare e denunciare quanto succede.

In secondo luogo, da questi Paesi potrebbero nascere eventi molto pericolosi. Quanto è accaduto in Karabakh con la Turchia e la Russia, il silenzio colpevole della Cina sul Coronavirus, l’attacco alla democrazia ad Hong Kong, la discriminazione degli Uguri ne sono degli esempi.

Ecco allora l’importanza dell’Europa e di una alleanza delle democrazie per sostenere chi si batte per i diritti umani in quei Paesi. Oggi sembrano pochi e isolati, come lo erano ai tempi del comunismo i dissidenti. Ma poche voci, come suggerisce il mio amico Francesco Cataluccio, possono fare la differenza e compiere miracoli. Chi lo avrebbe mai detto che Havel, Wałȩsa e Kuron avrebbero cambiato i loro Paesi, la Polonia e la Cecoslovacchia? Tutto è sempre possibile.

Gabriele Nissim

Analisi di Gabriele Nissim, Presidente Fondazione Gariwo

25 novembre 2020

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