Leggere un buon libro, mentre infuria la battaglia. Non è un lusso da generali d'altri tempi, e non avveniva esattamente in questo modo. Fatto sta che l'esercito americano, durante la Seconda guerra mondiale, rifornì i soldati che combattevano il nazismo anche di libri. Perché lo scontro non era solamente militare, ma anche culturale e ideologico, contro un nemico dalla propaganda insistente e pervasiva.
Questo è quanto racconta il libro When Books Went To War, che come da sottotitolo ambisce a raccontare "le storie che ci aiutarono a vincere la Seconda guerra mondiale", di Molly Guptill Manning, procuratore a New York.
Le edizioni dell'esercito USA e numerosi editori privati capirono che ci voleva un grande sforzo anche intellettuale per vincere contro le sirene della purezza razziale e della società "perfetta". Così fecero stampare in primis 20 milioni di libri a copertina rigida, e partirono donazioni con cui le famiglie diedero ai soldati altri milioni di testi vecchi e nuovi da leggere al fronte o nei campi di addestramento in America. Questo mentre i nazisti arrivavano a bruciare ben 100 milioni di libri.
Gli ostacoli anche mentali e psicologici non furono indifferenti ed era inoltre difficile individuare i libri adatti allo scopo.
Partirono per il fronte copie di manuali di come lavorare a maglia, libri di teologia, manuali per imprenditori o viaggiatori. Nel 1943 arrivò la svolta: i soldati furono riforniti di ben 120 milioni di libri tascabili, in un'operazione che creò icone letterarie (Un albero cresce a Brooklyn, di Betty Smith) e salvò alcuni testi dall'irrilevanza, come per esempio Il Grande Gatsby, che in quel momento non stava avendo grande successo.