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Sullo scontro tra Trump e Twitter

libertà o censura?

Per la prima volta, Twitter ha segnalato con una notifica Get the facts (Informati sui fatti) - che guida gli utenti su una pagina di verifica delle informazioni - due tweet di Donald Trump, in cui il presidente parlava di frode elettorale in relazione alla proposta del governatore della California Gavin Newsom e altri suoi colleghi democratici di estendere l’uso dello strumento del voto per posta causa Covid-19, per poter raggiungere più votanti possibile. Qualche giorno dopo, la piattaforma social ha inoltre parzialmente oscurato e segnalato per incitazione alla violenza - senza preoccuparsi del decreto di stretta sui social media firmato da Trump - un tweet del presidente sulle proteste per l’uccisione di George Floyd che diceva: “In caso di saccheggi si inizia a sparare”. La stessa frase, è stata condivisa da Trump anche su Facebook ma il suo amministratore delegato Mark Zuckerberg ha deciso di non agire - scatenando uno sciopero dei suoi dipendenti - criticando la diversa scelta del Ceo di Twitter, Jack Dorsey, elevatosi, secondo lui, ad arbitro della verità di tutto ciò che la gente dice online.

La responsabilità dei social media

Partendo dal presupposto che, come Gariwo ha voluto evidenziare nella propria Carta della responsabilità dei social media, le parole sono potenti, emergono subito due questioni: se una notifica che invita, ad esempio, a informarsi sui fatti possa essere considerate censura, e se la libertà di esprimersi debba essere sempre garantita acriticamente senza nessun intervento da parte dei gestori delle piattaforma social, anche nel caso di una possibile disinformazione pericolosa. Facendo un passo indietro, dal 5 marzo 2020 Twitter ha adottato una nuova policy per contrastare la diffusione di contenuti manipolati o semplificati che possano essere ingannevoli e creare danno alla sicurezza pubblica. Tra i metodi che ha inserito a fronte di questa tutela, vi sono quello di fornire chiarimenti per contestualizzare il contenuto di un tweet forviante e segnalare incitazione alla violenza. Questa, probabilmente, la regola applicata ai tweet di Trump in questione. La presa di posizione da parte di Twitter apre quindi nuovamente una riflessione importante all’interno della tutela delle libertà e delle democrazie, che riguarda se e chi deve decidere che cosa segnalare sui social media e in base a quali criteri e come si può preservare il più possibile la verità dei fatti senza violare la libera espressione. Non è più tempo di rimandare il ragionamento su come agire responsabilmente rispetto al ruolo che i social media hanno assunto nella vita delle persone, in politica, nei rapporti internazionali.

Una finestra sul voto negli USA

La polemica che ha scatenato la prima azione da parte di Twitter verso Trump, quella sul voto per corrispondenza, non è certo inedita ma trae nuova linfa nel mezzo della pandemia. E pare farlo con l’intento strumentale di delegittimare anticipatamente le elezioni presidenziali del 2020, tendenza che, di contro, Trump attribuisce a Twitter: ”Le grandi imprese dell'hi-tech stanno facendo tutto quello che è in loro potere per censurare le elezioni del 2020. Se questo dovesse succedere perderemmo la nostra libertà, e io non permetterò che accada!”, ha dichiarato il presidente. Quello che le parole di Trump ci suggeriscono, è sia il tentativo di screditare il risultato elettorale nel caso fosse a suo sfavore, sia di mobilitare nuovamente la grande e fittizia narrativa dei brogli elettorali compiuti dal partito democratico per proseguire nell’opera di disincentivazione, a danno soprattutto delle minoranze, del diritto di voto negli Stati Uniti, percependo quest’ultimo come possibile avversario ad una propria rielezione.

La pratica della “voter suppression” (soppressione dei votanti), che si sta rivelando il principale campo di battaglia tra opposti interessi politici alla vigilia delle elezioni 2020, sfruttando il deus ex-machina della pandemia da Covid-19, si intreccia con la questione della segregazione razziale e dell’oppressione delle minoranze. Attualmente, per votare negli Stati Uniti è necessaria la registrazione in apposite liste. I requisiti per registrarsi variano da Stato a Stato. Per esempio, nello Stato del Wisconsin, per essere iscritti è necessario fornire prova di residenza (certificati di proprietà, contratti di locazione…). La mancanza di documentazione adeguata, non prevista dalla Costituzione, comporta l'impossibilità di esercitare il diritto di voto. Abi Berman, reporter di Mother Jones, storica testata americana di giornalismo investigativo, cita a questo proposito uno studio realizzato dalla University of Wisconsin che ha rivelato come queste disposizioni sulla documentazione obbligatoria abbiano costituito un valido strumento deterrente per impedire il voto a circa 23.000 residenti delle contee di Milwaukee e Dane Country nel solo 2016. Un numero che eccede largamente il margine di vittoria di Trump alle elezioni presidenziali in quello Stato. Tra i non votanti, quelli che hanno citato questi ostacoli burocratici come ragione principale per l’astensione sono cittadini afro-americani, in una misura tre volte maggiore rispetto agli altri astenuti.

A ridosso delle spettacolari proteste anti-lockdown inscenate da cittadini sostenitori di Trump, tornando al presente, molti osservatori politici, tra i quali Roger Cohen, hanno espresso inoltre il fondato timore che a novembre, in seguito alle elezioni, possa esserci una chiamata alla violenza e alle armi in caso di sconfitta elettorale del presidente e che questa polemica sull’affidabilità ed efficacia del voto per corrispondenza costituisca un lavoro preparatorio per normalizzare future rivendicazioni.

La democrazia digitale

Tutti questi elementi che emergono dietro ai tweet segnalati (non censurati) del presidente USA ci fanno capire come la decisione del social media non sia casuale, ma sia probabilmente motivata da una preoccupazione per la sicurezza e i diritti dei cittadini statunitensi. È una risposta complessa quella sulla tutela del diritto di espressione di fronte all’enorme problema della disinformazione, e ancora di più lo è quella rispetto alla repressione dello stesso da parte di governi, come Cina e Russia, che usano i mezzi di pubblica sicurezza per censurare argomenti scomodi. “La democrazia digitale arriva fino a dove non si ledono i diritti dell’altro, che deve essere tutelato dal non subire l’imposizione di un’idea o dalla ricezione di narrazioni prestabilite”, abbiamo scritto nella Carta delle responsabilità dei social media. È necessario che a livello internazionale si lavori per trovare un punto di equilibrio, anche dal punto di vista legislativo, che non censuri le opinioni ma nemmeno permetta che dichiarazioni che mettono in pericolo la pace, la democrazia e i diritti umani passino inosservate. L’azione di Twitter ha dato il là a un rinnovato ragionamento sul tema, ma sarà fondamentale discutere su chi dovrà lavorare su questa tutela, magari individuando gruppi di esperti o elementi di diverse testate autorevoli che possano vigilare sull’autenticità di alcune informazioni di rilevanza pubblica.

Non è di seconda importanza poi la responsabilità personale di ogni individuo rispetto a come interpreta ciò che legge. Il ruolo dell’educazione civica digitale è quanto mai fondamentale, accanto all’insegnamento delle lingue nelle scuole anche da un punto di vista comunicativo e contenutistico, che aiuti a individuare la strategia comunicativa dietro al modo di esprimersi, la fallacia narrativa, l’intento emozionale, e che costruisca quindi una base più solida su cui i cittadini possano elaborare le proprie opinioni.

Helena Savoldelli, Responsabile del coordinamento Redazione

3 giugno 2020

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