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Dove ci fu l’attacco chimico torneranno i melograni

di Joshua Evangelista per La Stampa

Riprendiamo il reportage per Specchio della Stampa del 5 marzo firmato da Joshua Evangelista, responsabile della comunicazione della Fondazione Gariwo.

“Nel nome di Dio onnipotente: ci sono i cambiamenti climatici, non affrettiamoci a tagliare gli alberi". Azad Muhamad ha cinquant'anni, il volto pieno di solchi, un paio di baffi corvini alla chevron e una folta e brizzolata chioma a spazzola. Su internet lo chiamano "il giardiniere del Kurdistan". I suoi video-tutorial sono seguiti da oltre 500 mila follower e hanno più o meno tutti lo stesso copione: c'è lui che passeggia tra vigne e frutteti dispensando consigli su innesti, scelta dei semi, organizzazione dei raccolti.

Quella che sembra un'innocua storia di successo online, in realtà sottende un messaggio politico ben preciso che emerge, nemmeno troppo velatamente, tra una lezione sul come proteggere la frutta dai parassiti e una su come potare le viti: "Fratelli curdi, aiutiamoci da soli a far tornare verde quest'area".

Prima di diventare un “influencer”, Azad era un contadino di Halabja scampato al massacro perpetuato dai soldati di Saddam Hussein nel 1988 durante l'Anfal, la campagna genocidaria condotta dal generale Ali Hassan Al-Majid che provocò da 50 a 200 mila morti. Il punto più tragico del genocidio fu l'attacco chimico del 16 marzo 1988, quando i soldati di Saddam assediarono Halabja e in poche ore uccisero 5 mila persone e centinaia di animali.

Sono passati 35 anni, Saddam è morto, la Regione del Kurdistan è un ente federale autonomo e Halabja ha persino ottenuto il suo governatorato. Gli abitanti sono tornati in città (dopo anni da

esuli nelle tendopoli iraniane), si sono rimboccati le maniche e, mattone dopo mattone, l'hanno ricostruita.

"Il genocidio sarà pure finito, ma non le ingiustizie", spiega con amarezza Kawa, che dall'88 lavora in una fabbrica di Tampere e che è tornato in città dopo un'assenza di oltre quindici anni. "La politica locale sta sventrando la regione e i contadini muoiono di fame. Forse ora la situazione è persino peggiorata, perché i nemici sono tra noi curdi". In questi anni sono arrivati molti soldi dalla cooperazione internazionale eppure, sostiene Kawa, pochi sono stati quelli utilizzati veramente per ricostruire la città.

"C'è una confluenza incredibile di problemi", spiega Qayssar Ahmed, giornalista investigativo scampato per caso al genocidio dell'88 e fondatore di NWE, un'organizzazione locale che si occupa di diritti umani e ambientalismo. "Le relazioni tra Baghdad e il Kurdistan sono pessime, soprattutto per quanto riguarda petrolio e distribuzione del budget pubblico. D'altra parte, anche i rapporti tra i due partiti che controllano il Kurdistan, il PUK (di base a Sulaymaniyya) e il KDP (la cui roccaforte è Erbil) sono al minimo. La situazione è instabile e i potenziali investitori ci pensano bene prima di avviare progetti da queste parti".

Intanto il Kurdistan sta affrontando uno degli inverni più freddi degli ultimi decenni e il costo della benzina è aumentato vertiginosamente. "Si ha energia solo poche ore al giorno, quindi i cittadini salgono sulle montagne e tagliano gli alberi, senza alcuna cognizione. Prevedo gravi danni all'ambiente".

Secondo un report delle Nazioni unite uscito nel 2022, l'Iraq è il quinto paese più vulnerabile al mondo per quanto concerne i cambiamenti climatici.

Questo è particolarmente evidente nell'area di Halabja, remota e mal collegata, più vicina all'Iran che a qualsiasi altro centro iracheno, lontanissima dalla politica che conta e quindi dagli incentivi all'agricoltura. In più c'è la questione dell'inquinamento del terreno. "In teoria la terra è tornata quella pre-1988", spiega Arian Ali, coordinatore del dipartimento di Geografia dell'Università di Halabja. Gli ultimi campioni estratti dal sottosuolo indicano che oggi il livello di radioattività è accettabile. "Ma le indagini per determinare gli impatti delle armi chimiche sul suolo sono ben lontane dall'essere concluse", avvisa Ali.

Una volta Halabja era famosa in tutto il Medio Oriente per il fermento culturale (ha dato i natali, tra gli altri, ad Abdullah Goran, il padre della moderna poesia curda) e per i melograni. Se della produzione letteraria sembra rimasto poco, i melograni di Halabja continuano ad attirare l'attenzione della regione. Ogni anno, a ottobre, migliaia di visitatori partecipano al festival del melograno, dove possono assaggiarne oltre trenta specie diverse e portarsi a casa melasse, estratti e cosmetici. Ma quando finisce la festa riemerge la frustrazione. "Il nostro melograno è il più buono del mondo, ma all'estero non lo compra nessuno", si lamentano gli utenti-contadini commentando i video di Azad Muhamad.

Eppure qualcosa si muove. Nei primi giorni del dicembre 2022, una serie di tir è partita da Halabja per gli Emirati Arabi. All’interno dei vani c’erano tonnellate di melograni, pronte a invadere i mega mall di Dubai e Abu Dhabi. “I melograni premium del Kurdistan stanno arrivando sugli scaffali dei supermercati in tutto il Golfo!”, scriveva festante su Twitter il primo ministro della regione autonoma del Kurdistan, Masrour Barzani. In realtà la produzione di melograni nel 2022 è stata tutt'altro che esaltante ad Halabja: circa 12.500 tonnellate in meno rispetto all'anno prima a causa della siccità e delle gelate improvvise.

Su Twitter Barzani aveva celebrato il nuovo mercato emiratino con una illustrazione nella quale si vedeva un autocarro percorrere una fittizia autostrada che collega il Burj Khalifa di Dubai al Memoriale del genocidio di Halabja. Il significato simbolico è evidente. Il memoriale fu fatto costruire nel 2003 in un'area periferica della città ancora piena di macerie ed è ben presto diventato l'emblema della città. Ma non per i sopravvissuti, che tre anni dopo l'edificazione, il 16 marzo 2006, hanno cercato in migliaia di occupare il memoriale. I tumulti sono stati placati col fuoco e un manifestante di 17 anni ha perso la vita.

Ancora oggi il memoriale continua a essere visto come un corpo estraneo da gran parte dei cittadini, che non hanno attività aggregative a parte quelle promosse dalle organizzazioni nate dal basso negli anni successivi all'invasione americana. Tra queste realtà, NWE è sicuramente una delle più interessanti. Qayssar Ahmed l'ha fondata con l'idea di dar vita a una radio che fosse indipendente dai partiti politici e dai gruppi religiosi. Dopo anni di minacce di morte (ma anche di numerosi premi internazionali), da semplice stazione radio NWE si è trasformata in un centro polifunzionale. Ha sede in una delle poche ville ottomane sopravvissute all'attacco chimico e nel suo cortile si fa cucito, lezioni di lingue, si ricicla la plastica.

Insieme ad altre organizzazioni ha lanciato Green Halabja, un progetto che mira a far diventare la città la prima "plastic free" del Medio Oriente, e un Giardino dei Giusti in collaborazione con le organizzazioni italiane Gariwo e Dare.ngo, il primo in Iraq, ricavato da un terreno abbandonato nei pressi del Governatorato.

A parte Qayssar e un paio di altri dipendenti, NWE è formato solo da donne, tra cui molte rifugiate siriane e yazide.

Le attività sono coordinate dalla moglie di Qayssar, Hero Ahmed. Si va dal lavoro di prevenzione contro le mutilazioni genitali femminili all'assistenza nella ricerca di lavoro. Non tutti apprezzano l'approccio delle attiviste di NWE: "Il mese scorso l'Iran ha fatto pressione su alcuni gruppi fondamentalisti locali affinché creassero problemi alle organizzazioni come la nostra, temendo che queste attività possano in qualche modo creare un ponte con le battaglie per l'emancipazione delle curde iraniane. Ad alcune donne hanno persino impedito la partecipazione a seminari universitari".

Mentre ci si avvicina al 35esimo anniversario dell'attacco chimico, Halabja lotta con disoccupazione e l'inflazione, subisce le ingerenze islamiste e non è pronta ad affrontare la siccità. Ma su quest'ultimo punto Hazad Muhamad non dispera: seguendo i suoi tutorial, i follower "hanno iniziato a trasformare le terrazze delle case in giardini. È un bel modo per salvare l'ambiente".

15 marzo 2023

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