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Un Giardino dei Giusti a Tunisi

contro la paura e il terrorismo

La targa con i nomi delle vittime dell'attentato al Bardo

La targa con i nomi delle vittime dell'attentato al Bardo

A Tunisi le sale del museo del Bardo sono vuote. Dove fino a pochi mesi fa folle di turisti si accalcavano attorno alle pareti che ospitano alcuni dei più bei mosaici del mondo romano e bizantino c’è oggi un grande silenzio. Ala Eddine Hamdi, la guida tunisina che salvò decine di turisti francesi durante il raid dei terroristi e che a Parigi nessuno ha mai ricordato, è disperata. “Il Bardo sta morendo, non abbiamo soldi per riparare i danni e offrire ai turisti delle audioguide e dei nuovi libri con le bellezze di questo museo. Se non vinceremo la paura non rivedremo più i turisti italiani. Ho cominciato a studiare il russo, perché oggi è l’unica lingua che si sente parlare in queste sale.”

Nel porto di Tunisi non arrivano più le grandi navi che riempivano la città di migliaia di turisti europei. Decine di alberghi nelle più belle località marittime hanno chiuso i battenti. È ancora troppo forte tra gli occidentali il timore che sulle spiagge possa sbarcare improvvisamente una barca di terroristi pronti a sparare all’impazzata.

Quando improvvisamente un autobus di turisti si ferma sul sito archeologico di Cartagine, le guide quasi fanno festa, perché non ci sono più abituate.

Così grande è la loro gioia che può capitare di farsi raccontare la storia di quella vecchia civiltà - che sfidò Roma e che realizzò uno degli insediamenti più avanzati dell’antichità - con un entusiasmo e una passione che difficilmente capita di ascoltare da una guida abituata alla ripetizione meccanica delle sue nozioni.

All’aeroporto di Tunisi si prova quasi un senso di tenerezza nell’osservare gli addetti alla vigilanza darsi da fare con grande scrupolo per controllare ogni passeggero. Si capisce subito che non sono professionisti della sicurezza e che cercano di supplire alla mancanza di mezzi raffinati con una meticolosità artigianale.

In questi giorni si festeggia il Ramadan e chi dirige il Paese sa che nella testa dei terroristi c’è un pensiero nascosto. Il modo migliore per onorare Allah, secondo questi fanatici, è quello di fare una azione spettacolare in un momento di festa. Se mai accadesse, la Tunisia subirebbe un colpo fatale e l’economia andrebbe a rotoli.

Mentre oggi sulle prime pagine dei giornali americani il terribile attentato alla discoteca viene letto come se si avesse a che fare con un attacco esclusivo all’Occidente, a Tunisi, invece, la lettura dell’integralismo islamico è alquanto differente. Quel mostro totalitario colpisce prima di tutto le forze più moderne e avanzate del mondo arabo e musulmano. La Tunisia è oggi minacciata perché è l’unico Paese che dopo le primavere arabe ha scelto la strada del laicismo e della separazione tra politica e religione. Lo stesso partito Ennahda, di ispirazione islamica, nell’ultimo congresso ha deciso di intraprendere un percorso aperto alla modernità.

La Tunisia, a differenza dell’Egitto, ha scelto la democrazia e non la dittatura, come argine al fondamentalismo. Questo processo però si dimostra fragile, se viene a mancare un sostegno economico e politico da parte dell’Europa e delle democrazie occidentali.

Come osserva l’ambasciatore italiano Raimondo De Cardona, c’è il grave rischio che a causa della crisi economica non solo si possa manifestare una grave disillusione tra le forze democratiche, ma che possa di nuovo crescere l’influenza delle forze integraliste ed estreme in alcuni settori della popolazione.

Ecco perché ha un grande valore morale e politico per tutto il Medio Oriente l’iniziativa che Gariwo, insieme al Ministero degli Esteri e all’Ambasciata italiana, si appresta a realizzare nel mese di luglio in Tunisia.

Verrà infatti inaugurato dall’avvocato Ben Moussa, che proprio quest’anno ha ricevuto il Premio Nobel per la pace per il suo impegno per la democrazia in Tunisia, il primo Giardino dei Giusti in un Paese arabo.

La scelta dei nomi è importantissima. Verranno infatti premiati due eroi della resistenza all’Isis, come l’archeologo di Palmira Khaled al-Asaad e Hamadi Abdelssalam, la guida tunisina che salvato una ventina di italiani durante l’attacco terroristico al museo del Bardo; verrà poi ricordato Mohamed Buazizi, il giovane ambulante tunisino che si immolò come Jan Palach a Praga e accese la battaglia per la dignità che portò alla caduta del regime dittatoriale di Ben Ali; e poi un personaggio straordinario per il dialogo tra ebrei, arabi e musulmani, come Khaled Abdul Wahab, il tunisino che durante l’occupazione nazista salvò decine di ebrei. Mai in un Paese arabo, nel clima antisionista, c’è stata una iniziativa per ricordare dei salvatori degli ebrei. Fino a ieri era un argomento tabù.

Un giardino non può cambiare il mondo, ma è un segno in controtendenza rispetto alle tentazioni che si fanno sentire in America, dopo l’attacco alla discoteca e con il fascino mediatico di Trump che considera ogni musulmano un nemico potenziale dell’umanità.

Il fondamentalismo si sconfigge insieme agli arabi e musulmani che sono in prima linea per la democrazia, e non creando muri e divisioni.

Un segno di una politica diversa potrebbe venire dai giovani e dai turisti italiani.
Se di nuovo si riempiranno le sale del museo del Bardo e torneranno i turisti sulle spiagge della Tunisia, vorrà dire che avremo sconfitto la paura e avremo dimostrato di essere veramente dalla parte degli arabi contro il fondamentalismo.

Anche questo è il significato del giardino dei Giusti a Tunisi.

Gabriele Nissim

Analisi di Gabriele Nissim, Presidente Fondazione Gariwo

13 giugno 2016

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