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"Varsavia ha un'eco significativa per tutti noi"

intervento di Marc-Henri Fermont

Moshe Bejski e la moglie Erika

Moshe Bejski e la moglie Erika

Signore e Signori, cari amici,
sono profondamente commosso quest'oggi, come tutte le volte che partecipo alle Cerimonie nel Giardino dei Giusti a Milano, ma partecipare a questa cerimonia in particolare, sulla piazza di Varsavia dove un tempo sorgeva il ghetto, è ancora più commovente per me. Varsavia ha un'eco significativa per tutti noi. È stata la capitale dell'eroica resistenza e della disperata lotta degli ebrei e dei polacchi contro il nazismo, durante la seconda guerra mondiale.

Parlo qui in qualità di parente del dr. Moshe Bejski della Corte Suprema Israeliana e Presidente della Commissione dei Giusti dal 1970 al 1995, nonché artefice del Giardino dei Giusti di Gerusalemme.
Moshe Bejski è sopravvissuto miracolosamente alla guerra perché era sulla
lista di Schindler.

Io ho avuto il privilegio di stargli vicino fin dall'infanzia, da quando conseguì il Dottorato in legge alla Sorbona nei primi anni Cinquanta. La Francia è il Paese dove sono nato dopo la guerra. Moshe Bejski parlava fluentemente il francese, che aveva imparato a Parigi nei primi anni Cinquanta, con un professore che era niente di meno che il famoso poeta Paul Celan di Tchernivtsi, noto come il “poeta dell'Olocausto”.
Curiosamente, per Bejski, come per molti sopravvissuti alla Shoah, non c'era distinzione alcuna tra il passato e il presente, che si sono mescolati nella loro anima per tutta la vita. Le loro terribili esperienze durante la guerra hanno lasciato ferite profonde con cui essi convissero ogni giorno.

Bejski fece una notevole carriera in Israele, dove arrivò nel 1946. Divenne un famoso avvocato e servì come giudice alla Corte Suprema, alla quale era stato nominato nel 1979. Al contempo, tuttavia, non perse mai di vista il passato, la distruzione dell'ebraismo polacco, la perdita della famiglia e il ruolo di coloro che salvarono i pochi sopravvissuti. Nel 1961 Bejski si trovò per la prima volta sotto i riflettori, perché testimoniò al processo Eichmann a Gerusalemme. Mi ricordo ancora di avere letto il rapporto sulla sua testimonianza nel giornale francese “Le Monde”.
Quando gli chiesero: “Perché non vi siete difesi?”, rimase molto scosso e rispose con disperazione. “Come avremmo potuto, visto che avevamo le uniformi arancioni degli internati e portavamo le catene?”.

Come la maggior parte dei sopravvissuti della famosa lista, rimase sempre grato e leale verso Oskar Schindler, il loro salvatore. Dopo la guerra, i sopravvissuti in Israele sostennero e accolsero Schindler nelle loro case durante le sue visite annuali in Israele.
Come Presidente della Commissione dei Giusti, Bejski rimase consapevole del passato, onorando molti dei Giusti Gentili che avevano salvato gli ebrei durante la guerra.
Nel 1969, onorò con la Medaglia dei Giusti Jan Karski, che ammirava profondamente.
Continuò a lodare il suo coraggio e la sua determinazione, mentre lo stesso Jan Karski pensò di avere fallito per non essere riuscito a convincere Churchill e Roosevelt che la carneficina a cui aveva assistito era realtà.

Bejski era strenuamente convinto che tutti gli ebrei dovessero mostrare la loro gratitudine a coloro che avevano salvato gli ebrei perseguitati, rischiando la vita e quella delle loro famiglie. Questo è il profondo messaggio dei Giardini dei Giusti di Gerusalemme, Milano e Varsavia. Questi giardini sono monumenti di stima e gratitudine.

Un tema che per me costituisce un forte stimolo è il rapporto tra Moshe Bejski e Il suo Paese natale, da cui era fuggito nel 1945. Non cʼè bisogno di ricordare come raggiunse Plaszow e la fabbrica di Schindler a Cracovia, storia, questa, che è ben documentata nel libro di Nissim “Il Tribunale del Bene”.

Moshe Bejski era stato profondamente turbato dai problemi che gli ebrei avevano dovuto affrontare nel fare ritorno alle loro case e ai loro villaggi in Polonia negli anni 1945/1946. Per quanto riguarda la sua città natale, Dzialoszyce, vi fecero ritorno 90 sopravvissuti, tre furono assassinati e gli altri fuggirono.
Tuttavia, come Karski, Edelmann o Mazowiecki, anche Bejski non perse mai la speranza in una Polonia migliore, più democratica e più tollerante. Inizialmente fu sorpreso dal crollo dellʼUnione Sovietica nel 1990, ma dopo, e fino alla sua morte avvenuta nel 2007, espresse una rinnovata speranza per il suo Paese natale a mano a mano che assisteva ai progressi della nuova Polonia che non era più ossessionata dai fantasmi del passato, ma animata piuttosto da rinnovati valori di pace, fraternità e democrazia. Non nutro alcun dubbio sul fatto che Bejski avrebbe desiderato essere presente oggi allʼinaugurazione del Giardino dei Giusti di Varsavia, che speriamo ispirerà i giovani.

Le generazioni dei sopravvissuti dellʼOlocausto e delle vittime del comunismo erano ampiamente condizionate dal proprio passato traumatico e dal loro presente buio; le nuove dovrebbero essere motivate da un presente migliore e da un futuro più luminoso.
Moshe Besjki, in tutte le sue attività di educatore, avvocato e giudice, ha mostrato integrità, onestà e lealtà. Ha difeso strenuamente ciò che credeva giusto senza prestare troppa attenzione a chi lo criticava. Ma la cosa più importante è che era altruista, generoso e dedicava la propria esistenza a esprimere gratitudine a coloro che lo avevano aiutato e salvato, come Oskar Schindler. Era un uomo ligio al dovere, discreto, un poʼ timido e modesto, che non si vantava mai dei suoi successi. Sono fiero di averlo conosciuto e il suo esempio continua a ispirarmi!

Marc-Henri Fermont, parente di Moshe Bejski

Analisi di

4 giugno 2014

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