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"Darò loro un nome eterno che non sarà mai cancellato"

I Giusti armeni riconosciuti da Yad Vashem

Concederò nella mia casa e dentro le mie mura un memoriale e un nome ... darò loro un nome eterno che non sarà mai cancellato" (Isaia 56:5). 




Lo Yad Vashem, il memoriale delle vittime della Shoah in Israele e il Giardino dei Giusti annesso, custodiscono la memoria dei Giusti non ebrei che durante la Shoah, a rischio personale, hanno salvato, soccorso o protetto gli ebrei. Si commemorano e si onorano i Giusti piantando un albero e i loro nomi sono per sempre custoditi nel Museo di Gerusalemme.
Una pagina poco nota riguardante i Giusti tra le Nazioni del Museo dello Yad Vashem è costituita dal riconoscimento che il “Tribunale del Bene”, grazie all’opera di Moshe Beijski, il “Giudice dei Giusti”, come lo definisce Gabriele Nissim, ha voluto tributare agli armeni che hanno salvato gli ebrei. Sono storie di salvatori raccolte in Ucraina, Crimea, Austria, Ungheria e Francia, alcuni tra i paesi nei quali gli ebrei venivano eliminati o deportati, vittime della follia nazista o dell’antisemitismo delle popolazioni locali che collaboravano con gli occupanti tedeschi. Alcune famiglie, molte della diaspora armena sopravvissute al genocidio del 1915,sfidando il pericolo,hanno soccorso amici e conoscenti ebrei, motivate oltre che da sentimenti di solidarietà e compassione,dal ricordo del Metz Yeghérn, la “grande catastrofe”, la prima pulizia etnica del ventesimo secolo, di cui portavano ancora le ferite profonde: più di un milione di armeni sterminati nei deserti dell’Anatolia.
Gli armeni sentivano anche un debito di riconoscenza verso gli ebrei, memori di ciò che avevano ricevuto: nel 1915, durante il genocidio perpetrato dal governo ottomano dei Giovani Turchi, molti autorevoli ebrei hanno salvato i deportati armeni, hanno sollecitato governi e nazioni ad intervenire per porre fine ai massacri. Primo fra tutti l’ambasciatore degli USA a Costantinopoli Henry Morgenthau; e Franz Werfel che con il suo romanzo I quaranta giorni del Musa Dagh ha fatto conoscere al mondo il primo genocidio dell’età moderna; per non dimenticare Raphael Lemkin che ha coniato il termine giuridico di genocidio dopo avere studiato per anni il crimine  senza nome di lesa umanità, perpetrato contro gli armeni.


Vedere tra i Giusti delle Nazioni riconosciuti dallo Yad Vashem, nomi e volti della mia gente armena, leggere le storie di salvataggio,aiuto e soccorso di cui gli armeni, sopravvissuti al primo genocidio del novecento sono stati protagonisti generosi e audaci, è per me motivo di orgoglio. La generazione di mio padre, sopravvissuto al genocidio, era stata costretta al silenzio dalla tragedia subita e dalla riscrittura della storia operata dai governi negazionisti turchi che si sono succeduti sino ad oggi; la mia generazione si è aperta all’impegno di ricerca e testimonianza su ciò che è accaduto nel 1915 nei deserti dell’Anatolia e ha avviato una battaglia per la verità e la giustizia.


La ricerca dei Giusti nella quale anch’io assieme a Gabriele Nissim sono impegnato da anni, il racconto delle storie di uomini e donne che per non tradire la propria umanità sono stati capaci di resistere al male con azioni di aiuto e soccorso alle vittime, è sicuramente la via per superare il risentimento, per non rimanere prigionieri del passato e dell’inquietudine angosciosa che nasce dalla visione del male.
Il raccordo tra le memorie di popoli che hanno subito un genocidio è spesso un cammino non facile, segnato dalle difficoltà del confronto sulla vastità del male subito, sui caratteri e l’intenzionalità delle azioni genocidarie, sulle conseguenze dello sterminio a breve o a lungo termine. Focalizzare lo sguardo sui giusti, i resistenti morali, i testimoni di verità, facilita  il dialogo e il confronto. Un genocidio negato, quello degli armeni,il primo della modernità; il paradigma dei genocidi quello degli ebrei; custodiscono entrambi, insieme al male estremo,  storie di bene che possono essere cercate e proposte alle nuove generazioni per alimentare la speranza in un futuro diverso.
Come ho ricordato altre volte, l’impegno di riflessione comune sulle pagine tragiche della propria storia nella mescolanza di male e bene che le segna, non è un episodio di rapporto tra le culture e non è nemmeno la semplice espressione della volontà di dialogo; vi è sotteso qualche cosa di più, un atto originario di riconoscimento reciproco: come posso essere riconosciuto nel mio dolore se non riconosco il dolore dell’altro? Ed è proprio dal riconoscimento del dolore dell’altro che nascono i buoni al tempo del male. Per questo raccontando il male estremo dei genocidi possiamo raccontare le storie dei salvatori e tra questi le storie dei salvatori armeni che hanno soccorso gli ebrei. 


Leggi le storie dei Giusti armeni riconosciuti da Yad Vashem scaricando il documento dal box a fondo pagina

Pietro Kuciukian, Console onorario d'Armenia in Italia e cofondatore di Gariwo

10 gennaio 2012

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