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Le parole di Alganesh Fessaha

alla cerimonia del Monte Stella

Alganesh Fessaha al Giardino di Milano

Alganesh Fessaha al Giardino di Milano

Signore e signori, care amiche e cari amici,

oggi voglio ringraziarvi per il grande onore che mi avete tributato piantando un albero nel Giardini dei Giusti con il mio nome.

Ma su quell’albero da oggi, in questa città che mi ha adottato, su un monte nato sopra le rovine della guerra, sono incisi soprattutto decine di migliaia di nomi.

Sono i nomi delle 23mila persone che, stando alle stime, sono annegate e giacciono sul fondo del Mediterraneo, vittime dei viaggi della morte che da oltre venti anni causano lutti e dolore. Sono i nomi delle migliaia di vittime che giacciono insepolte nei deserti del Sahara e del Sinai, morte per gli stenti di viaggi massacranti prima di poter raggiungere il Mediterraneo e senza nemmeno poter sognare dalle coste nordafricane l’Europa e la libertà.

Sono state umiliate nella loro dignità, spesso torturate senza pietà e fino alla morte dai trafficanti per estorcere denaro ai loro familiari. Sono le persone i cui corpi, nel Sinai, sono stati trovati privi di organi. Non potevano pagarsi la libertà, allora i mercanti di morte che li hanno rapiti hanno venduto pezzi del loro corpo. Come fossero animali.

Su quell’albero ci sono i nomi delle centinaia di vittime del naufragio del 3 ottobre 2013 a Lampedusa, che ancora non hanno una tomba, e quelle dei superstiti che con l’Ong Gandhi abbiamo seguito e continuiamo a seguire nel loro difficile ritorno alla vita in tanti Paesi europei. E quelli delle persone morte di freddo in mare poche settimane fa, uccise dal freddo proprio quando una nave italiana li aveva tratti in salvo.

E i nomi delle persone imprigionate in Libia dalle milizie in attesa di venire imbarcati su barconi e gommoni con il mare in qualsiasi condizione al prezzo di 4.000 dollari.

Quell’albero ci ricorda storie dimenticate: le tragedie di migliaia di madri e padri che non sanno più nulla dei loro figli. Ci ricorda che nei primi quindici anni di questo nuovo secolo l’umanità ha visto tornare il mercato degli schiavi, che prospera sulla pelle di donne, uomini e bambini in fuga da guerre, conflitti e dittature. Come quella che sta svuotando di giovani il mio Paese natale, l’Eritrea, costretti al servizio militare a vita in uno Stato dove non ci sono libertà civili e prospettive di sviluppo. Finché non ci saranno pace e democrazia in Africa e in Medio Oriente le rotte della morte continueranno ad essere battute.

Ma quell’albero non è solo memoria di un immenso dolore, è anche segno di vita e speranza.

Con l’Ong Gandhi abbiamo salvato dalle mani dei trafficanti di morte del Sinai centinaia di donne, uomini e bambini portandoli nei campi profughi etiopi di Mai Aini. E lì la vita riprende. Quell’albero è un impegno per me a contribuire alle loro prospettive per il futuro, a non lasciarli soli, a non dimenticare le loro terribili condizioni. Spero con il vostro aiuto e con quello di tanti amici, di continuare questo cammino al loro fianco.

Vi ringrazio

Alganesh Fessaha

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