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Aminatou Haidar (1966)

instancabile voce per i diritti del popolo Saharawi

Attiva fin da adolescente nella causa del popolo saharawi, Aminatou Haidar è oggi la Presidente del collettivo degli attivisti Saharawi per i diritti umani (CODESA) ed è conosciuta come la “Gandhi dei Saharawi”.

Per far luce su una crisi spesso dimenticata, Haidar ha organizzato manifestazioni, documentato casi di tortura e condotto scioperi della fame per veder riconosciuto il diritto all’autodeterminazione.

La “questione saharawi” ha inizio nel 1975, quando il Marocco approfittò della fine della Spagna franchista per cercare di impadronirsi del Sahara Occidentale, zona desertica ma ricca di miniere di fosfati. L’area era tuttavia abitata dalle popolazioni autoctone, che insieme al Fronte Polisario dichiararono l’indipendenza della Repubblica Democratica Araba Saharawi, riconosciuta da decine di nazioni ma non da UE e Stati Uniti.

La svolta nella vita di Aminatou arrivò nel 1987, quando il governo marocchino terminò la costruzione di una barriera di 2700 chilometri che attraversava il Sahara occidentale e separava il territorio sotto il controllo marocchino da quello del Polisario. Nel novembre di quell’anno, Haidar organizzò una manifestazione pacifica per denunciare le gravi violazioni dei diritti umani perpetrate dalle forze marocchine sin dal 1975 e per richiedere un referendum sull’autodeterminazione del popolo Saharawi. In questa occasione venne arrestata e rinchiusa in una prigione segreta per 4 anni, senza che nessuno sapesse dove si trovasse. Durante la prigionia, Aminatou ha subito torture e violenze da parte dei suoi carcerieri. Decine di persone arrestate con lei quel giorno non furono mai più ritrovate.

Rilasciata nel 1991, anno del termine ufficiale del conflitto armato tra governo marocchino e Polisario, Aminatou ha continuato il suo attivismo chiedendo il rilascio di altri prigionieri politici saharawi e documentando le violazioni dei diritti umani per aumentare la consapevolezza sugli abusi commessi dalle autorità. "Per due decenni, nessuno ha saputo nulla di ciò che stava accadendo nel Sahara occidentale", ha detto Haidar. “Non c'era Internet, nessuna linea telefonica per comunicare con persone all'estero. Gli osservatori internazionali non sapevano nulla e non potevano entrare nel territorio”.

Dopo anni di continue minacce, nel 2005 Aminatou è stata brutalmente picchiata dalla polizia durante una manifestazione e poi arrestata mentre era in ospedale per curare le ferite. Per sette mesi è stata detenuta nella “prigione nera” di El Ayoun, dove ha iniziato uno sciopero della fame durato 32 giorni per chiedere migliori condizioni di detenzione, accertamenti sulle accuse di tortura e il rilascio di tutti i prigionieri politici.

Nell’autunno del 2009 ha ricevuto il Civil Courage Award dagli Stati Uniti. Al momento del rientro in patria, il governo marocchino le ha ritirato il passaporto poiché si rifiutava di descriversi come cittadina marocchina nei documenti di ingresso. Bloccata all'aeroporto di Lanzarote, Haidar ha portato avanti un altro sciopero della fame, fino a quando il Marocco non le ha consentito di tornare a casa. Nel novembre 2012, è stata nuovamente picchiata e minacciata con un coltello dalla polizia mentre tornava a casa da un incontro con l'Inviato del Segretario generale delle Nazioni Unite sul Sahara occidentale, Christopher Ross, a El Ayoun. Ancora, nell’aprile 2015, la polizia ha preso a sassate la sua casa mentre ospitava un incontro con i rappresentanti delle Nazioni Unite. I suoi beni vengono costantemente congelati e le viene spesso negato il permesso di viaggiare.

Quella del Sahara occidentale è ancora una delle più gravi crisi umanitarie. "Non c'è possibilità di protestare, non c'è libertà di espressione e qualsiasi voce a favore dell'autodeterminazione porta a detenzioni arbitrarie e maltrattamenti, compresa la tortura all'interno delle stazioni di polizia", ​​ha dichiarato più volte Aminatou, che nel 2019 ha ricevuto il Right Livelihood Award (considerato come il Premio Nobel per la pace alternativo) "per la sua costante azione nonviolenta, nonostante la detenzione e la tortura, alla ricerca della giustizia e dell'autodeterminazione per il popolo del Sahara occidentale”.

Gli anni di reclusione, le torture e gli scioperi della fame hanno lasciato un segno molto pesante sulla salute di Aminatou Haidar. Tuttavia, questa donna coraggiosa continua senza sosta a sostenere l'indipendenza e il rispetto dei diritti umani.

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