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Ambiente e cambiamenti climatici

In breve

Il Riscaldamento Globale è definito come l'aumento della temperatura del pianeta rispetto all’era preindustriale ed è causato da quantità crescenti di anidride carbonica (CO2) e altri gas serra intrappolati nell'atmosfera che assorbono calore dalle radiazioni solari.
Le attività umane, come l'uso di combustibili fossili, la deforestazione o l'allevamento di bestiame sono le principali fonti di emissione di gas a effetto serra.
Il problema è considerato tra le maggiori sfide del nostro tempo, poiché porta con sé non solo rischi ambientali, ma anche ricadute sui diritti umani, come nuovi conflitti e migrazioni di massa.

Cenni storici

Negli anni ’50, un team guidato dallo scienziato Charles Keeling cominciò a monitorare l’atmosfera nella stazione di rilevamento di Mauna Loa, nell’isola di Hawaii, e si accorse che la concentrazione di anidride carbonica era in costante aumento. Il primo allarme su queste tematiche è tuttavia arrivato negli anni ’70.

Nel decennio successivo il dibattito è proseguito all’interno dell’Organizzazione mondiale della Meteorologia (World Meteorological Organization, WTMO), fino alla costituzione, nel 1988, dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC). Questo gruppo, incaricato di produrre valutazioni periodiche sul riscaldamento globale, ha poi ricevuto il Premio nobel per la Pace nel 2007, insieme ad Al Gore.

Charles Keeling mostra la curva della concentrazione di anidride carbonica in atmosfera, aprile 1996.

Charles Keeling mostra la curva della concentrazione di anidride carbonica in atmosfera, aprile 1996.

Questione di gradi

Per limitare il riscaldamento climatico, gli accordi di Parigi del 2015 hanno previsto di contenere la crescita della temperatura media entro la fine del secolo a un massimo di 2 gradi centigradi. Tuttavia, questo scenario sembra difficile da mantenere: le attuali politiche ci porterebbero a superare la soglia degli 1,5 gradi già tra il 2030 e il 2052, mentre la temperature entro la fine del secolo potrebbero crescere fino a 4 - 5° in media in tutta la Terra. E non è mai accaduto, nelle ultime decine di migliaia di anni, che in un secolo l’aumento della temperatura globale avesse valori così alti: saremmo davanti a una perturbazione comparabile alla differenza tra un’era glaciale e un periodo interglaciale, ma in un periodo di soli 100 anni, non migliaia di anni.

Time, 9 aprile 2001

Time, 9 aprile 2001

National Geographics, settembre 2004

National Geographics, settembre 2004

Bloomberg Businessweek, 5 novembre 2012

Bloomberg Businessweek, 5 novembre 2012

Riscaldamento globale e cambiamenti climatici: le cause e i rischi

Ormai molte evidenze mostrano che il clima terrestre è in una fase di riscaldamento globale. Innanzitutto, dall’inizio del secolo, misure da decine di migliaia di stazioni meteo ci dicono che la temperatura globale si è innalzata di poco più di un grado. Altre evidenze sono poi lo scioglimento dei ghiacciai, l’aumento del livello del mare, lo scioglimento dei ghiacci artici, l’aumento di eventi meteorologici estremi.
Tali fenomeni sono dovuti all’aumento di gas serra di origine antropica, ovvero l’anidride carbonica prodotta dall’uso di combustibili fossili - petrolio, carbone, gas naturale - e il metano prodotto da alcune pratiche agricole intensive.

Ci sono quattro principali rischi che influenzano le attività umane e tanti settori socioeconomici.

Il primo è lo scioglimento dei ghiacciai continentali, che contengono la maggior parte dell’acqua dolce oggi disponibile (circa il 65%). La diminuzione della loro massa significa perdita di acqua, e siccome già oggi l’acqua è scarsa e la richiesta è sempre maggiore - soprattutto in Paesi emergenti come India o Cina, la cui fonte idrica principale sono i ghiacciai dell’Himalaya -, possono verificarsi seri problemi di disponibilità di questa risorsa, con impatti anche sulla produzione di cibo.

Il secondo, strettamente legato, è l’innalzamento del livello del mare: se i ghiacciai continentali si sciolgono, l’acqua finisce in mare. In più, le acque del mare si stanno riscaldando e questo produce una espansione dell’acqua, causando quindi un innalzamento del livello marino. Questo naturalmente genera grandissimi problemi nella zone costiere. Prima di tutto, un aumento dell’erosione e la scomparsa delle coste, con ingenti danni alle infrastrutture. In secondo luogo, mareggiate e alluvioni costiere sempre più dannose. Un altro problema molto grave è poi quello dell’intrusione dell’acqua salina nel suolo, che ne distrugge la fertilità. A questo si aggiunge il fatto che, secondo la comunità scientifica, utilizzando gli attuali sistemi di coltivazione, entro 60 anni non avremo più terreni da sfruttare.

Il terzo rischio è l’aumento di fenomeni meteorologici estremi, in quella che è definita intensificazione del ciclo idrologico: gli eventi piovosi sono più intensi, con un maggiore rischio di eventi alluvionali.

C’è poi un quarto fattore, molto importante: la distribuzione geografica dei cambiamenti climatici, che non sono percepiti in tutte le zone del mondo allo stesso modo. Se le “zone calde”, più sensibili e vulnerabili al riscaldamento globale, si trovano in Paesi poveri, questo può aumentare il rischio di migrazioni di massa. Infine, non vanno sottovalutate le ripercussioni sulla salute umana: oltre alla comparsa di nuove malattie, vi è infatti la probabilità della diffusione di alcune patologie già esistenti - come la febbre dengue - e dell’aumento della resistenza agli antibiotici di alcuni batteri e microorganismi.

La foto del 26 luglio 2010 mostra dove arrivava il ghiacciaio <em>Mer de Glace</em> nel 1990.
La città di Hanoi dopo il temporale nell’ottobre 2008.Macrofotografia di una zanzara.

Cambiamenti climatici e migrazioni

È facile immaginare come, in luoghi già difficili del mondo, una diminuzione delle aree con risorse idriche e alimentari costringa la popolazione a dividersi una fetta più piccola delle stesse, causando nuovi conflitti o acuendone di preesistenti. Se tutto ciò si combina con l’instabilità politica del Paese interessato dai mutamenti fisici e sociali e con un governo autoritario che sottrae agli abitanti territori e acqua per realizzare dighe e coltivazioni redditizie, non è difficile immaginare conseguenze devastanti.

Secondo i dati dell’UNHCR, ci sono circa 65,6 milioni di persone nel mondo costrette a spostarsi forzatamente dal proprio Paese. Di queste, circa 22,5 milioni sono rifugiati, più della metà dei quali di età inferiore ai 18 anni. Ogni minuto sono circa 20 le persone costrette ad abbandonare la propria casa a causa di conflitti, persecuzioni o mancanza di risorse. Le Nazioni Unite stimano che entro il 2050 ci saranno da 80 a 200 milioni di persone che migreranno in modo forzato a causa dei cambiamenti climatici - 143 milioni potranno migrare internamente ai propri Paesi in tre regioni (Africa sub sahariana, America Latina e Asia).

Di fronte a questi numeri, solamente 3 individui - tre uomini da un’isola del Pacifico, scappati in Nuova Zelanda - hanno chiesto ufficialmente asilo per cambiamento climatico (richiesta che è tra l’altro stata rifiutata). Questo è dovuto all’assenza di una qualsiasi legislazione in materia di migranti climatici. Le cose tuttavia stanno iniziando a cambiare: nel gennaio 2018 una Risoluzione del Parlamento Europeo ha dichiarato le migrazioni climatiche un fenomeno da riconoscere.

«Water suppliers carrying life», foto finalista al concorso Water Ways Photo Competition 2014.Un fotogramma del documentario <em>Climate Refugees</em> (2010), regia di Michael Nash.
Una sopravvissuta al tifone Haiyan chiede aiuto sul ciglio di un'autostrada nel comune di Palo, nelle Filippine, 27 novembre 2013.

Difendere l’ambiente, difendere i diritti

Oltre ai rifugiati climatici, molti attivisti ambientalisti vengono uccisi.
Tra loro troviamo indigeni che vivono tra le montagne o le foreste e vogliono proteggere le terre dei loro antenati e le loro tradizioni da multinazionali o catene di hotel di lusso, o ranger che cercano di contrastare il bracconaggio, o ancora avvocati, giornalisti o membri di Ong che denunciano abusi e illegalità.

Il 60% dei crimini ai loro danni avviene in America Latina, in particolare in Brasile, Colombia, Honduras e Perù. L’industria estrattiva è la maggiore causa delle proteste, e di conseguenza delle morti, anche in India e Turchia. In Messico e nelle Filippine gli ambientalisti vengono uccisi principalmente per mano di gang criminali, mentre in Africa la più grande minaccia alla loro vita arriva dal bracconaggio.
Molti omicidi non vengono mai portati alla luce, così come le minacce, le percosse o le molestie. Secondo l’Environmental Justice Atlas, nel mondo ci sono attualmente più di 2335 casi di tensioni su acqua, territorio, inquinamento o risorse, e i numeri sono destinati ad aumentare a causa degli effetti dei cambiamenti climatici.

Chico Mendes, sindacalista brasiliano ucciso per il suo impegno in favore degli Indios dell'Amazzonia.

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Nel Parco nazionale dei Virunga sono stati uccisi più di 170 ranger negli ultimi 20 anni.

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