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Ambiente e Democrazia

i due topic del Premio Sacharov 2017

“Io sono convinto che il compito sommo degli istituti umani - fra cui anche il progresso - sia quello non solo di preservare gli uomini da sofferenze inutili e da morte precoce, ma anche di conservare nell'uomo tutta la sua umanità”. Andrej Dmitrievič Sacharov

Il Premio Sacharov per la libertà di pensiero - istituito nel 1988 - quest’anno oscilla tra l’attivismo per l’ambiente e la lotta per la democrazia: niente di più attuale e rischioso per cui lottare. 

I finalisti - il vincitore sarà annunciato a fine ottobre, mentre la premiazione si svolgerà il 13 dicembre - sono: Aura Lolita Chavez Ixcaquic  - impegnata nella difesa della terra e dei popoli indigeni, Dawit Isaak - giornalista e prigioniero di coscienza in Eritrea e l’opposizione democratica in Venezuela. Lolita, è un'educatrice e attivista per i diritti umani appartenente alla comunità indigena Maya K'iche, nel dipartimento di El Quiché in Guatemala (9^ Paese nella lista “Killings of Land” di Global Witness). È leader del Consiglio dei popoli K'iche per la difesa della vita, di Madre natura, della terra e del territorio: un’organizzazione che riunisce 87 comunità autoctone e i rispettivi capi. Cerca di preservare la sua terra dallo sfruttamento causato da progetti minerari e idroelettrici.

Questa lotta ha messo le comunità indigene contro potenti interessi e il 4 luglio 2012, dopo aver partecipato a una dimostrazione pacifica, Lolita e i suoi compagni sono stati vittima di un agguato da parte di uomini armati di machete, coltelli e bastoni. Lei è rimasta illesa, ma quattro altre donne sono state ferite. Successivamente è stata più volte oggetto di incriminazioni penali infondate, minacce e persecuzioni. 

“Le imprese multinazionali dicono che sono una minaccia per il mio Stato e per la costituzione della Repubblica; nella mia città mi hanno sempre chiamata maestra, ora sono una terrorista”, afferma ironicamente la guatemalteca durante un’intervista rilasciata a Frontline Defenders, organizzazione di Dublino volta alla protezione dei difensori dei diritti umani. "Il nostro motto - aggiunge poi - è difendiamo la terra non perché ci appartenga ma perché noi ne facciamo parte, tzu-ayt: io sono te, tu sei me”. La partecipazione e la leadership delle donne è un elemento cruciale del movimento, che è messo incredibilmente in pericolo dallo “spalleggiamento reciproco” di governi e corporates.

“L’arresto di Dawit Isaak e i suoi collaboratori è uno dei segni più evidenti della repressione della libertà di espressione. Le autorità eritree continuano a soffocare tutte le forme che potrebbero essere percepite come critiche al governo”: in questo modo Sheila B. Keetharuth - responsabile diritti umani delle Nazioni Unite in Eritrea dal 2014 al 2016 - ha parlato invece del giornalista candidato. Dawit è divenuto un simbolo internazionale della lotta per la libertà di stampa in uno dei Paesi che presenta la peggiore situazione da questo punto di vista (da otto anni l'Eritrea si colloca all'ultimo posto nella classifica dei Paesi valutati dall'indice sulla libertà di stampa di Reporter senza frontiere).

Nel 2001 è stato prelevato dalle forze di polizia dalla sua casa. Secondo il governo eritreo, l'uomo sarebbe stato arrestato perché considerato un traditore del Paese, mentre secondo altre voci sarebbe stato incarcerato a causa di un suo articolo sulla necessità di una riforma democratica in Eritrea (Amnesty International lo considera un prigioniero di coscienza). Il reporter è detenuto senza processo da oltre 15 anni in diversi penitenziari noti per le loro pessime condizioni. In tutto questo tempo non gli è stato consentito di contattare il suo avvocato, né la sua famiglia. Non si hanno sue notizie dal 2005. Le autorità eritree si sono rifiutate di fornire informazioni precise sul suo stato di salute o su dove si trovi; il 20 giugno 2016 il Ministro eritreo degli Esteri Osman Saleh ha tuttavia riferito che è vivo e sarà processato "quando il governo lo deciderà".

Recentemente gli è stato conferito inoltre il Premio mondiale per la libertà di stampa Unesco/Guillermo Cano 2017. Inoltre, è stato insignito della Penna d'oro per la libertà dell'Associazione mondiale della carta stampata, del Premio per la libertà di stampa di Reporter senza frontiere e del Premio Anna Politkovskaja del Club nazionale della stampa svedese.

Per quanto riguarda il terzo finalista, occorre specificare che con Opposizione democratica in Venezuela si intende: l'Assemblea nazionale (Julio Borges) e tutti i prigionieri politici figuranti nell'elenco del Foro Penal Venezolano, rappresentati da Leopoldo López, Antonio Ledezma, Daniel Ceballos, Yon Goicoechea, Lorent Saleh, Alfredo Ramos e Andrea González.

In Venezuela il partito di Nicolás Maduro ha continuamente limitato lo Stato di diritto e l'ordine costituzionale e nel marzo 2017 la Corte suprema ha tolto il potere legislativo all'Assemblea nazionale, eletta democraticamente. Tra i prigionieri politici figurano appunto i leader di primo piano dell’opposizione. Come Leopoldo López, che pur avendo ottenuto gli arresti domiciliari in luglio dopo tre anni di detenzione, è stato nuovamente incarcerato nell'agosto 2017. Un altro politico di spicco dell'opposizione, l'ex sindaco di Caracas Antonio Ledesma, è agli arresti domiciliari dal 2015, e sono stati incarcerati anche alcuni ex sindaci e lo studente attivista Lorent Saleh

Dall'inizio dell'anno sono stati uccisi oltre 130 oppositori e più di 500 sono stati arbitrariamente incarcerati. “Gli unici colpevoli della crisi e della fame in Venezuela - ha dichiarato ieri in un tweet il Presidente dell’Assemblea nazionale venezuelana Julio Borges - sono Maduro e il suo Governo". 

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