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Cambiamento globale e conflitti per le risorse

come il clima influenza le vite

Al Festival dei Diritti Umani 2019, di cui Gariwo è media partner, alla Triennale di Milano, si è parlato anche di ambiente, clima e conflitti per l’acqua, con Daniele Bocchiola, professore del Corso di studi in Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio del Politecnico di Milano, ed Emanuele Bompan, giornalista, dellOsservatorio Water Grabbing. In un tema che spesso è considerato più emotivo che scientifico, ci sono alcuni dati che non possono essere ignorati e che da tempo conosciamo. Alla situazione attuale, se non vengono apportate modifiche ai nostri consumi e immissioni nell’atmosfera, la temperature entro la fine del secolo potrebbero crescere fino a 4 - 5° in media in tutta la terra. Ciò vuol dire che, con lo scioglimento dei ghiacci, il livello dei mari potrebbe salire di circa un metro e mezzo: metà dell’Olanda sarebbe sommersa e un terzo del Bangladesh sparirebbe, solo per fare qualche esempio. Parlando dell’Italia, i ghiacciai italiani si sono già ridotti della metà della loro superficie e, dall'inizio di quest’anno fino alle ultime stime effettuate, sul Po ha piovuto la metà dell’acqua rispetto alle medie stagionali. Non solo, esiste anche un evidente problema naturale di distribuzione dell’acqua: quella accumulata nei ghiacci è quasi tutta nel Polo sud e in Groenlandia, mentre un quinto di tutta l’acqua dolce mondiale è nel lago Bajkal in Russia, di certo non semplice da utilizzare.

"Parlare di Cimate Change (cambiamento del clima), non è più così esaustivo, piuttosto si dovrebbe parlare di Global Change (cambiamento globale)", dichiara Bompan, perché le modifiche al clima hanno conseguenze su tutti gli equilibri esistenti. Prolungati periodi di siccità rovinano le coltivazioni costringendo le persone a spostarsi in cerca di cibo e nuovi terreni, molti - in particolare nei Paesi economicamente più deboli e quindi più toccati dallo scarseggiare delle risorse -, cercano fortuna nelle periferie di città gia sovraffollate o in altre aree rurali, quasi sempre senza risultato. Sono i cosiddetti migranti climatici, destinati ad aumentare molto. È facile immaginare come, in luoghi già difficili del mondo, una diminuzione delle aree con risorse idriche e alimentari costringa la popolazione a dividersi una fetta più piccola delle stesse, causando nuovi conflitti o acuendone di preesistenti. Se tutto ciò si combina con l’instabilità politica del Paese interessato dai mutamenti fisici e sociali e con un governo autoritario che sottrae agli abitanti territori e acqua per realizzare dighe e coltivazioni redditizie, non è difficile immaginare conseguenze devastanti. Recentemente, il fiume Mekong è diventato oggetto, ad esempio, di una serie di progetti di mega dighe (39 o più), la cui costruzione è già in atto, racconta Emanuele Bompan, che si è recato sul posto con il team di Water Grabbing. Il corso d'acqua attraversa Cina, Birmania, Thailandia, Laos e Vietnam, tutti territori con regimi autoritari. Migliaia di abitanti sono stati deportati a forza dai loro territori ricevendo un compenso irrisorio o venendo risistemati in altre aree organizzate appositamente, povere di risorse e con un clima insopportabile. Alcuni esperti ipotizzano addirittura che questa situazione potrebbe causare "la prima grande guerra legata ad un fiume". Ancora, la scomparsa del lago d'Aral sta creando un conflitto fra Kazakistan, Uzbekistan e Kirghizistan, mentre Israele, dopo i negoziati di Oslo, controlla di fatto le sorgenti idriche palestinesi, che, in alcune aree beduine, spendono il 50% dei ricavi dell'allevamento per trasportare acqua.

Come agire allora? Di certo bisogna sottolineare che le risorse idriche ci sono ma sono usate in modo sbagliato, basti pensare al fatto che la maggior parte dell’acqua la impieghiamo nell’agricoltura e nell’allevamento, sprecando poi il 30% del cibo prodotto al mondo e quindi, presumibilmente, il 20% dell’acqua utilizzata. In sostanza, assetiamo popolazioni per produrre risorse alimentari che poi buttiamo. Un dato paradossale è quello dell'Italia, che è il terzo Paese al mondo per consumo di acqua in bottiglia, quando quella degli acquedotti pubblici è perfettamente potabile in tutto il suo territorio. La possibile soluzione, sostiene Bompan, è quella di avviare una gestione culturalmente e tecnologicamente migliore delle risorse idriche e delle energie pulite che devono sostituire quelle inquinanti - perché le tecnologie e le strategie per farlo esistono già. È importante capire che l’agire anche del singolo ha un impatto ambientale ed è fondamentale garantire giuridicamente il diritto all’acqua e il diritto all’ambiente come principi costituzionali di ogni Paese e come leggi internazionali. 

"We can fix the planet" (possiamo risolvere i problemi del pianeta), si potrebbe dire utilizzando le parole di Christiana Figueres, Segretario esecutivo dell'UFCCC e architetto degli accordi di Parigi, che, su Haaretz, sostiene che sia possibile farlo attraverso 3 elementi: alberi, tecnologia elettrica e trasporti.  

Helena Savoldelli, Responsabile del coordinamento Redazione

6 maggio 2019

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