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Sarà il secolo dei conflitti per l'acqua?

intervista a Emanuele Bompan

Copertina di "Water Grabbing. Le guerre nascoste per l'acqua nel XXI secolo" (emi, 2018) di Emanuele Bompan e Marirosa Iannelli

Copertina di "Water Grabbing. Le guerre nascoste per l'acqua nel XXI secolo" (emi, 2018) di Emanuele Bompan e Marirosa Iannelli

Emanuele Bompan è giornalista ambientale e geografo. Ha svolto reportage in 70 Paesi e con il team di Water Grabbing Observatory si occupa di rilevare, analizzare e comunicare fenomeni sociali ambientali ed economici legati all’acqua e al clima, contribuendo a diffondere consapevolezza sul tema in Italia e nel mondo. Il suo ultimo libro "Water Grabbing. Le guerre nascoste per l'acqua nel XXI secolo" (emi, 2018), scritto insieme a Marirosa Iannelli, è un testo-denuncia su come l’accaparramento delle risorse idriche sia sempre più al centro di conflitti, instabilità sociali e migrazioni.

“Guerre nascoste per l’acqua”: Perché questa definizione? Di quali guerre parliamo e perché sono nascoste?

Un titolo deve sempre catturare l’attenzione, per questo abbiamo usato una parola forte, ovvero guerra. In realtà, all’interno del libro parliamo di conflitti: tensioni politiche che possono coinvolgere comunità e persone oppresse da forze economiche statali, regionali o private che anelano al controllo delle risorse idriche. Abbiamo voluto lavorare molto sul concetto di conflitto perché crediamo che l’instabilità ambientale possa portare a una forte instabilità politica e securitaria. Ci avviamo sempre di più verso un mondo che avrà una realtà ambientale e climatica diversa da quella che l’umanità ha avuto a disposizione negli ultimi 11.000 anni, e la modalità con cui il cambiamento climatico si esprime principalmente è attraverso l’acqua. Da un lato, abbiamo una popolazione sempre più numerosa che vuole consumare sempre di più, dall’altro, una disponibilità idrica che diminuisce a causa delle alterazioni climatiche e dell’inquinamento. Le aree più povere del pianeta sono inoltre quelle più esposte al mutamento; questo fa sì che la risorsa idrica si riduca ancora di più in aree dove già è scarsa, aprendo scenari di potenziali conflitti, peraltro molti già esistenti, per il suo controllo.

Potremmo davvero essere nel “secolo delle guerre per l’acqua”?

L’acqua sarà un fine, cioè si combatterà per il suo controllo, oppure un mezzo, cioè il veicolo di una strategia di potere. Quest’ultimo caso lo abbiamo raccontato ad esempio nel reportage su Israele e Palestina, un contesto dove la gestione idrica rappresenta un vantaggio o uno svantaggio politico tra due popoli. Infine il problema dell’acqua potrebbe essere una casualità nelle guerre del XXI secolo: il deterioramento delle risorse idriche e il peggioramento dell’amministrazione delle stesse a causa di un conflitto prolungato andranno a inficiare ulteriormente la sicurezza alimentare e l’igiene delle persone nelle aree già colpite direttamente da conflitti di vario tipo - lo vediamo in Yemen o in Siria, dove la mancanza d’acqua ha avuto un impatto devastante sulle vittime del conflitto. Quindi direi che la risposta è “stiamo entrando nel secolo delle guerre per l’acqua”.

Anche nel libro “Water Grabbing” parli della necessità di applicare in tutto il mondo un’economia di tipo circolare, per poter far fronte al cambiamento globale. Come si supera il limite rappresentato dagli attori dell’economia e della politica mondiale che non hanno intenzione di muoversi in questa direzione? Come convincere le imprese a essere veramente circolari? Ci sono degli esempi positivi in questo senso che vorresti citare?

Indubbiamente le soluzioni per una gestione integrata e circolare dell’acqua oggi esistono. Con questa formula intendo: non sprecare acqua e limitarne la dispersione, adottare tecnologie che massimizzino l’efficienza idrica e, molto importante, trarre valore dagli scarti della gestione idrica. Oggi, solo una parte delle acque mondiali viene trattata/depurata, mentre dagli impianti di processamento idrico sarebbe possibile anche trarre energia e materiali da riutilizzare, come nel caso della raccolta dei reflui urbani che vengono poi trasformati in compost. Una direzione intelligente dell’acqua è il segreto per un’efficienza di sistema, per garantire resilienza agli shock ambientali e non solo. Tutte le compagnie idriche, o che hanno l’acqua come elemento chiave nella propria supply chain e nei propri affari, dovrebbero avere interesse a sviluppare strategie resilienti. Purtroppo però, in molti casi, non hanno ancora capito che l’acqua può essere un elemento debole del loro business. Soprattutto nel settore agricolo la sua mala gestione può ostacolare la sopravvivenza dell’attività imprenditoriale nel medio e lungo termine, fino a portare al fallimento.

È necessario quindi, per far fronte a queste problematiche, investire in colture che siano idroresilienti e adatte al territorio in cui vengono coltivate. Serve sostenere politiche indirette in particolare quelle legate ai consumi. Bisogna scegliere prodotti che abbiano una bassa impronta idrica e non sprecare cibo. Ricordo sempre questo dato: noi buttiamo il 30% della nostra produzione alimentare, il che significa destinare una quota significativa dell’acqua mondiale a un rifiuto che non sappiamo valorizzare.

Questi sono elementi di base per un’amministrazione idrica efficiente. Di esempi positivi in questo senso ce ne sono molti. A livello tecnologico sicuramente Israele è all’avanguardia, ma anche l’Italia e l’Olanda hanno da sempre adottato metodi intelligenti per l’utilizzo della loro ricchezza idrica. In tanti Paesi del mondo si lotta per tutelare la biodiversità e si sperimentano culture sostenibili. Come fare per avere un piano integrato globale dell’acqua? La diplomazia e l’ONU devono portare ai tavoli negoziali tutti quegli Stati che non hanno mai siglato trattati di gestione internazionale delle acque, o che non hanno l’acqua e l’ambiente come elementi fondativi nella loro legislazione nazionale. I passi da fare sono tantissimi, la sfida è ovviamente immane e il tempo poco. Fortunatamente, le tecnologie e le policy per vincerla ci sono tutte, oggi quello che manca è semplicemente la volontà di applicarle.

Sempre più e aziende nei prossimi cinque/dieci anni capiranno che l’economia circolare è un vantaggio strategico di lungo periodo: non un extracosto ma un extraprofitto. Attuare un sistema sempre più integrato e simbiotico dell’industria a livello transnazionale è il cardine del nostro futuro e di quello delle prossime generazioni, oltre che di quello economico delle imprese. Ricordiamoci sempre il mantra “Non c’è acqua più cara di quella che non c’è”.

È di qualche giorno la notizia del rapporto del Consiglio delle Accademie europee delle scienze (Easac) che evidenza i numerosi rischi per la salute dati dai cambiamenti climatici. Anche in questo caso uno dei suggerimenti di soluzione proposti dagli scienziati è legato a una riorganizzazione del nostro sistema alimentare. Che cosa ne pensi? Possiamo considerarla come una delle principali soluzioni per affrontare queste emergenze?

Ci sono due azioni da fare oggi per garantirci un futuro resiliente: mitigare l’emissione di gas serra, che sono legati principalmente al consumo di combustibili fossili e all’uso del suolo, quindi alla deforestazione e all’agricoltura intensiva, e ripensare al modo in cui consumiamo e produciamo il cibo.

La produzione deve adattarsi ai nuovi scenari ambientali e mitigare l’impatto sul terreno: serve un’agricoltura integrata con l’ambito forestale, che riduca il consumo di suolo mantenendone elevato il rendimento. Gli scarti devono essere poi riutilizzati in maniera intelligente, reimpiegati, garantendo un processo circolare.

Dal punto di vista del consumo, serve sicuramente diminuire le proteine animali, basterebbe anche una piccola riduzione per avere un impatto sostenibile. Bisognerebbe inoltre evitare non solo gli sprechi ma anche l’acquisto cibi d’importazione, soprattutto da aree esposte al cambiamento climatico o alla scarsità idrica, perché continuando a consumarne sottraiamo acqua a Paesi che ne sono già poveri: ci accaparriamo il diritto all’acqua di popolazioni sotto forma di commercio globale.

In sostanza, è fondamentale avere una visione sempre complessa del sistema acqua. Ciò che ci blocca oggi nell’agire in modo risolutivo contro il cambiamento climatico - e che spiega perché tante persone fatichino ad adoperarsi in questo senso e a comprendere quello che sta accadendo - è proprio il fatto che quello ambientale è un problema altamente sfaccettato, che tocca tantissimi ambiti tutti correlati l’uno con l’altro a scale variabili e con modalità che non sono mai state sperimentate. Tutti i giornalisti, gli esperti, gli scienziati che hanno il privilegio di conoscere questa realtà e il modo in cui si sta manifestando nel mondo, possono spiegare come, se non si osserva il fenomeno nella sua totalità, non lo si capisce e, di conseguenza, non si agisce.

Tra i reportage che hai condotto in giro per il mondo sul tema dell’accaparramento dell’acqua hai conosciuto diversi scenari di tensioni già in atto. Ce n’è uno in particolare che ti ha colpito anche per il potenziale conflittuale che potrebbe scatenare?

Certamente, tra i tanti, il conflitto sul fiume Mekong mi ha molto colpito. È molto interessante, perché dimostra come, in un bacino idrico che bagna sei diverse nazioni (Cina, Birmania, Thailandia, Laos, Vietnam e Cambogia) che hanno tutte un interesse particolare verso la grande risorsa che rappresenta - per produrre energia ma anche per avere acqua per agricoltura e pesca -, nessuno conosce quale sia l’impatto sul medio lungo termine della realizzazione di un numero impressionante di infrastrutture idriche, di cui ben 39 megadighe. La recente siccità del 2019 e la concomitante riduzione delle piogge ha infatti già mostrato il potenziale di rischio: l’acqua a disposizione diminuisce e chi possiede la diga tende a riempire il proprio bacino, cedendone meno agli Stati confinanti. In un contesto del genere, si può intravedere potenzialmente una guerra: uno scontro fra Stati in cui l’acqua è uno strumento di controllo o “un’arma” sfruttata qualora ci sia una tensione politica, specie in presenza di Stati autoritari.

Di casi del genere ce ne sono molteplici. L’Etiopia ad esempio è soggetta a conflitti tra tribù, che abbiamo raccontato nel nostro reportage, a causa della scarsità d’acqua; non grandi scontri ma tensioni altrettanto pericolose. Le tribù che sono rimaste senz’acqua a causa della realizzazione di un gruppo di dighe nella valle dell’Omo sono state costrette a spostarsi e sono entrate in conflitto con altre tribù, poichè si contendono territorio e risorse limitate.

Vedi la possibilità che si verifichino nuovi genocidi?

Ci sono zone densamente popolate, come i grandi laghi africani, dove qualora gli spazi e le risorse idriche vadano sempre più a limitarsi, è possibile che si verifichino anche dei genocidi. Nella guerra civile in Siria si è visto in modo evidente come la mancanza d’acqua può andare a esacerbare fortemente tensioni preesistenti tra gruppi politici distinti. A questo proposito citerei il caso del Lago Ciad, che è uno dei grandi bacini idrici mondiali che sta diminuendo a ritmi impressionanti: tra il 1962 e il 2014 ha perso oltre il 90% della sua superficie. Questo rappresenta una vera e propria crisi ambientale in una regione con 40 milioni di abitanti dove la scarsità idrica e l’avanzata del deserto hanno permesso a Boko Haram di raccogliere seguaci. Quando ci sono poche risorse, è facile trascinare giovani che non hanno speranze all’interno di simili follie ideologiche. Con il team di Water Grabbing abbiamo realizzato una mappa agghiacciante che mostra tutti gli attacchi di Boko Haram nell’area attorno al Lago Ciad: decine di migliaia di massacri, alcuni di più di 500 persone. Si tratta di un genocidio su base religiosa scellerato e potenziato da un elemento ambientale legato all’acqua.

Prossimi progetti?

Sicuramente l’Atlante geopolitico dell’acqua (Hoepli), che uscirà a settembre 2019. Con l’osservatorio Water Grabbing faremo nuovi reportage: la nostra missione è quella di continuare a documentare e raccontare la complessità delle tematiche acqua e cambiamento climatico nel mondo.

Helena Savoldelli, Redazione Gariwo

12 giugno 2019

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