Brillante ingegnere e tecnologo dell'industria nucleare sovietica, a Chernobyl insieme a Valeriy Bezpalov e Boris Baranov impedì una seconda esplosione nucleare dopo quella che il 26 aprile 1986 travolse il reattore 4 della centrale.
Avendo collaborato nella costruzione della centrale di Chernobyl, sapeva con precisione dove fossero posizionate le valvole di sfogo dell’acqua nelle piscine di sicurezza sotto ai reattori. Queste ultime, andavano svuotate manualmente per evitare che il reattore al di sopra di esse, in fusione a 1666 gradi, crollasse a pezzi nell’acqua, provocando una serie di grandi esplosioni di vapore ad altissima temperatura, che avrebbero disperso a distanza di migliaia di km ulteriori quantità di radiazioni.
Sapendo di rischiare la morte, si immerse nell’acqua contaminata delle piscine e insieme ai suoi compagni svitò le valvole. Questo gesto evitò che il disastro nucleare Chernobyl si trasformasse in uno ancora peggiore.
Oggi Alexei non vive da eroe, ma con una piccola pensione. Quando viene intervistato dice: "feci solo il mio dovere".
Si veda la testimonianza del regista, Davide Ferrario che, nel documentario La strada di Levi (2006), ha dedicato una sezione, girata sul campo, a Chernobyl: "Uno di loro, Alexei Ananenko, ancora vivo e apparentemente in salute, ha dichiarato in un’intervista alla stampa occidentale che non si offrì volontario, con gesto eroico, come vediamo sul piccolo schermo, ma semplicemente eseguì un ordine senza che gli venisse detto che rischio correva. Ma d’altra parte c’è chi sostiene che l’uomo intervistato non sia il vero Ananenko, ma una controfigura pagata dal governo che lo impersona da anni. Quello vero sarebbe, con tutta probabilità, morto da tempo" (D. Ferrario, Chernobyl. L'eterno ritorno, "doppiozero", 22/VI/2019).