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Carlo Urbani (1956 - 2003)

medico italiano, fu il primo a identificare e classificare la SARS

Medico italiano, fu il primo a identificare e classificare la SARS.
Laureato in medicina all'Università di Ancona, si specializza in malattie infettive e tropicali a Messina. Attivo fin dalla gioventù in operazioni di tipo umanitario, alla fine degli anni '80, quando era medico di base a Castelplanio, inizia a organizzare insieme ai colleghi viaggi in Africa, in luoghi in cui le popolazioni locali morivano per malattie curabilissime, come diarrea o crisi respiratorie. "Un numero impressionante di bambini muore per disidratazione da diarrea  e per salvarli basterebbe qualche bustina di reintegratori da pochi centesimi di euro" - scrive diverse volte, tormentato da un paradosso di cui non si capacita.
Nel 1993 diventa consulente dell'Organizzazione Mondiale della Sanità per il controllo delle malattie parassitarie, e con tale incarico si reca numerose volte nel continente africano. Negli anni seguenti, con l’ingresso in Medici Senza Frontiere, opera in Cambogia al termine del regime dei Khmer Rossi per controllare le malattie endemiche tra la popolazione locale. In Cambogia Urbani resta per un anno, e trova sulla sua via - a partire dalle rive del Mekong - un Paese da ricostruire. Pesano le ferite del genocidio, le mine antiuomo che continuano a mutilare giovani e adulti, le ferite degli animi, il dramma dell'Aids. Con il genocidio, due milioni di persone su meno di 7 milioni di popolazione sono state trucidate dai seguaci di Pol Pot. "Sembra un immenso sacrario - annota Urbani - per me e la mia famiglia è stato come conoscere i sopravvissuti di Auschwitz".

Nel 1999 Carlo diventa presidente di Msf Italia, con cui conduce una vera e propria battaglia per la diffusione dei medicinali essenziali a tutta la popolazione mondiale. Come riporta lo stesso Urbani in un'intervista ad Avvenire nel 2000, "Il 90% del denaro investito in ricerca sui farmaci è per malattie che riguardano il 10% della popolazione del pianeta. Solo lo 0,3% della ricerca è indirizzata verso le cinque principali cause di morte nel mondo". Basti pensare alla Tbc: "ai giorni nostri la Tbc miete una vittima ogni 10 secondi. È la seconda causa di morte per malattie infettive negli adulti: uccide ogni anno 3 milioni di persone, l'80% delle quali ha un'età compresa tra i 15 e i 49 anni". Il 95% di loro vive in Paesi a basso reddito, ma "solo 400mila sono potenziali clienti paganti: troppo pochi, dicono le industrie". Ecco per Urbani la missione del medico-umanitario, impegnato non solo nella cura dei malati ma anche in contesti di povertà, genocidi e guerre civili: curare ma nel frattempo denunciare, testimoniare, far sapere.
Con questo impegno Urbani si reca a Oslo nel 1999, come parte della delegazione che riceverà il Premio Nobel per la pace a nome di Msf. 

Nel luglio del 2000 arriva la svolta professionale della vita di Urbani: l'assunzione all'Oms come coordinatore delle politiche sanitarie contro le malattie parassitarie nel Sud-Est asiatico. Si tratta di una scelta radicale - per cui rinuncia anche il ruolo di primario del reparto di Malattie infettive all'ospedale di Macerata -, che porta Carlo e la sua famiglia a trasferirsi in Vietnam.

Nel febbraio 2003 l'ospedale francese di Hanoi contatta l'Oms per il caso di un paziente - mister Chen - che nessuno sa curare e che sta infettando il personale medico. Come accade quando qualcosa di preoccupante arriva ad Hanoi, lo staff dell'Oms decide di "chiamare Carlo". Urbani quindi decide di recarsi di persona al capezzale di mister Chen, uomo d'affari americano proveniente da Hong Kong, senza inviare preventivamente i "suoi" medici. È il solo, nelle corsie dell'ospedale di Hanoi, ad accorgersi di essere di fronte a una nuova malattia: lancia così l’allarme al governo e all’Oms, riuscendo a convincerli ad adottare misure di quarantena. Non è facile per Urbani riuscire nel suo intento: la necessità di isolare immediatamente i pazienti e di monitorare tutti i viaggiatori va a scontrarsi contro gli interessi economici e di immagine del Paese. Alla fine, tuttavia, il prestigio e la credibilità che Urbani ha acquisito negli anni riescono a persuadere le autorità, che decidono di affidarsi alle sue prescrizioni e di iniziare le procedure di isolamento. 

Pochi giorni dopo, mentre è in volo verso la Thailandia, Carlo avverte i primi disturbi: febbre, tosse, debolezza. Con una tragica autodiagnosi, teme di aver contratto il virus e una volta atterrato chiede di essere immediatamente ricoverato e posto in quarantena. Muore dopo due settimane, il 29 marzo 2003, raccomandando che il suo tessuto polmonare venisse utilizzato per la ricerca. Un mese dopo, il 28 aprile, il Vietnam annuncia di aver sconfitto la Sars, con un bilancio di 63 contagi e 5 morti - a differenza di altri Paesi, in cui il virus si è diffuso in modo più capillare. 
Gli ufficiali medici dell'Oms riconoscono che, se non fosse stato per il tempestivo intervento di Urbani, la Sars avrebbe infettato più lontano e più velocemente. Non sapremo mai quante vite ha salvato con la sua. 

Il metodo anti-pandemie da lui realizzato rappresenta, ancora oggi, un modello internazionale.


Dopo la sua morte, l'allora Segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan lo ha voluto ricordare con queste parole: Il dottor Carlo Urbani ha dedicato la sua vita a proteggere e salvare la vita degli altri. È stato determinante nel garantire un'imminente reazione da parte della comunità internazionale alla Sindrome Respiratoria Acuta Severa, e questo era caratteristico della sua natura di professionista competente e sempre vigile. Se non avesse intuito che l'insorgere di quel virus era qualcosa di fuori dall'ordinario, molte più persone sarebbero cadute vittima della Sars. È la più crudele delle ironie che egli abbia perso la sua stessa vita ucciso dalla Sars, mentre cercava di preservare il prossimo dalla malattia. Il dottor Urbani lascia un esempio illuminante nella famiglia delle Nazioni Unite e nella comunità sanitaria di tutto il mondo. Per il suo contributo in prima linea nella lotta contro il virus lo ricorderemo come un eroe, nel senso più elevato e più vero del termine.

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