Ancora una volta, in alcune aree del mondo, intellettuali ed esponenti della società civile dimostrano di muoversi sul terreno della cultura democratica sfidando governi e regimi che, ben lontani dal perseguire obiettivi di convivenza pacifica tra popoli ed etnie, alimentano nell’opinione pubblica e, cosa anche più grave, nelle nuove generazioni, il risentimento, l’intolleranza, la violenza, l’odio. Così accade in Azerbaigian. Uno scrittore azero, Akram Aylisli, sfida in solitudine il suo governo pubblicando un libro che parla di armeni. Si ritrova alcune copie date alle fiamme sotto la sua casa e sulla testa una taglia di 12.700 dollari, messa a disposizione di chi mozzerà le orecchie all’anziano scrittore. Gli è stata tolta la pensione e l’alta onorificenza di Stato che gli era stata assegnata per meriti culturali, quella di Scrittore del Popolo. La moglie e il figlio sono stati licenziati.
Le relazioni tra l’Azerbaigian e l’Armenia pesantemente segnate dalla guerra per la regione del Nagorno Karabakh, negli anni Novanta, sono caratterizzate oggi dopo la guerra di aggressione del 2020, la sconfitta degli armeni del Nagorno Karabakh, il trionfo degli azeri supportati dalla Turchia da un rafforzamento dell’ideologia dell’odio e del nemico.
Il pensiero di Akram Aylisli diverge da quello della maggioranza fanatica. Parla di dialogo e riconosce che agli armeni sono state inferte in anni recenti sofferenze inaudite. Il suo romanzo breve dal titolo “Sogni di pietra”, parla del genocidio armeno, delle violenze subite dal popolo armeno nel Nakhicevan agli inizi del ‘900 e ricostruisce i fatti di Sumgait del 1988, un vero e proprio pogrom degli azeri contro la minoranza armena, ripetutosi a Baku e in altre città dell’Azerbaigian. Racconta inoltre le vicende della guerra per il Nagorno Karabakh, l’enclave a maggioranza armena in territorio azero e si pronuncia sul tragico episodio di Khojalu, rifiutandosi di giudicare semplicemente gli armeni come aggressori e gli azeri come vittime.
Akram Aylisli ha pubblicato il suo romanzo negli Stati Uniti e in russo sul giornale letterario Druzhba Narodov, “Amicizia fra i popoli”, in Italia è uscito nel 2016 per Guerini e Associati. In una intervista l’autore chiarisce di avere avvertito, in quanto azero, la responsabilità di spiegare il ruolo del suo Paese nel conflitto: Non pensate che noi abbiamo dimenticato le brutte cose che abbiamo fatto agli armeni, noi le accettiamo; e anche voi armeni avete fatto brutte cose. È dovere degli intellettuali armeni scrivere sulle loro brutte storie. Ma se gli armeni continueranno a vivere nel Karabakh, dobbiamo vivere fianco a fianco. Questo è un messaggio per gli armeni: non abbiate paura, non è la fine di tutto, possiamo vivere assieme.
Questa è la dichiarazione che ha scatenato le reazioni più pesanti del governo azero.
Ali Akhmedov, segretario del partito al potere, ha dichiarato che Akram Aylisli ha inferto un colpo mortale al Paese e lo ha sospettato di nascondere un’origine armena. Altri, ironicamente, lo hanno paragonato a Orhan Pamuk che si è fatto pubblicità per il Premio Nobel dichiarando che i turchi devono riconoscere il genocidio armeno: “anche Aylisli aspira al premio Nobel, per questo distorce la storia del suo popolo”.
Nel 2016 Aylisli è stato bloccato all'aeroporto di Baku dove avrebbe dovuto imbarcarsi per Venezia, atteso al festival letterario "Incroci di civiltà", e arrestato da agenti di polizia azerbaigiani con l'accusa di aver aggredito una guardia di frontiera (all'epoca aveva già 78 anni). Da quel momento vive a Baku in una sorta di domicilio coatto e non può uscire dal Paese. I pubblici ministeri non hanno ancora fatto nulla per motivare l'accusa (che tecnicamente significa che il caso dovrebbe essere chiuso) ma i documenti di viaggio e di identità di Aylisli rimangono confiscati.
Nel 2018 lo scrittore ha pubblicato negli USA la trilogia Farewell, Aylis (Addio Aylis).
Nel 2020, scrive sul Corriere della Sera il giornalista Gian Antonio Stella, Aylisli ha dichiarato: "Nei miei confronti è stato disposto il divieto di espatrio. Non ho il diritto di lasciare Baku. La Procura mi ha ritirato la carta di identità e senza quella una persona è privata di tutti i diritti civili: non può partecipare alle elezioni, non può partecipare a un bel niente... Per legge aveva un anno di tempo, la Procura, per esaminare il mio caso. Ma pur essendo iniziato nel marzo 2016 il mio caso non è ancora stato esaminato". A proposito delle restrizioni dovute alla pandemia ha dichiarato: "Non ricordo un momento in cui sono stato una persona libera, non mi sono mai sentito così: né a scuola, né all’università, né al lavoro. Un minimo di libertà l’ho sentita soltanto quando stavo alla scrivania. Quella libertà no, non me l’hanno tolta. Non possono toglierla a nessuno scrittore".
Le motivazioni che hanno accompagnato le misure repressive inflitte allo scrittore ruotano attorno ad un’unica argomentazione: niente è più importante del sentimento nazionale. Credere nella convivenza pacifica tra armeni e azeri è un tradimento di quel sentimento di onore e di attaccamento alla nazione che ogni buon cittadino azero deve avere e non deve mai tradire.
Gli armeni sono i nemici del popolo azero, perché hanno sferrato un attacco all’’integrità nazionale ed eroe diventa chi rende giustizia al popolo azero difendendo con tutti i mezzi il sentimento nazionale: Un’enorme quantità di persone non tengono nulla nella loro anima, o possiedono qualcosa di sinistro dentro, si nascondono dietro le cosiddette visioni nazionali e se la cavano seminando semi di odio tra popoli e nazioni che non molto tempo fa vivevano insieme in pace.
Akram Aylisli respinge ogni attacco e accusa la classe dirigente azera di sfruttare il problema armeno- azero per ottenere vantaggi. Ci sono persone che hanno fatto fortuna sulla sofferenza dei due popoli, si sono costruite carriere, si sono arricchiti, hanno avuto incarichi governativi: Sapevo, afferma Aylisli, che queste persone avrebbero reagito rabbiosamente al mio scritto. Vedono che quello che dico è contro di loro e non ammetteranno mai di avere sbagliato nell’alimentare questa guerra che ha causato enormi sofferenze a questi popoli. Non vogliono che questo conflitto si risolva, vogliono continuare le loro vite nel lusso, vivere nelle loro ville e lasciare che la gente comune soffra.
Nel Paese, prima dell’ultima guerra, non serpeggiava solo la rabbia e l’insofferenza verso chi parla di pace e di convivenza. Akram Aylisli con la sua testimonianza di verità e il suo coraggio civile stava creando le condizioni per un cambiamento. Ha rianimato l’opposizione al regime e rinvigorito il dibattito interno tra le nuove generazioni.
Biografia a cura del Console onorario della Repubblica d'Armenia in Italia e co-fondatore di Gariwo Pietro Kuciukian
Giardini che onorano Akram Aylisli
Akram Aylisli è onorato nel Giardino di Milano - Monte Stella.