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Non ho nemici - Dichiarazione finale

di Liu Xiaobo

Un ritratto di Liu Xiaobo nel Nobel peace center di Oslo, il 10 dicembre 2010.

Un ritratto di Liu Xiaobo nel Nobel peace center di Oslo, il 10 dicembre 2010. ((Berit Roald, Afp))

Il testo seguente è la riproduzione integrale del discorso preparato da Liu Xiaobo in occasione dell’udienza finale del processo ai suoi danni, nel dicembre 2009

Nel corso dei miei oltre cinquant’anni di vita, il giugno 1989 è stato un importante omento di svolta. Fino ad allora ero stato tra i primi studenti a partecipare agli esami di accesso all’università, appena ripristinati dopo la Rivoluzione Culturale (1977), e la mia carriera era avanzata con successo dalla laurea al master, al dottorato, fino alla cattedra presso l’Università normale di Pechino, dove ero diventato un docente abbastanza amato dagli studenti. Nello stesso tempo ero un noto intellettuale impegnato e avevo pubblicato, negli anni Ottanta del secolo scorso, saggi e libri che avevano suscitato grande clamore. Inoltre avevo ricevuto numerosi inviti a tenere conferenze un po’ ovunque. Sono persino stato invitato come visiting professor negli Stati Uniti e in Europa. Mi ero imposto di essere onesto, responsabile e dignitoso nella vita come nella scrittura.
Poi, siccome ero tornato dagli USA per partecipare al movimento del 1989, sono stato incarcerato con l’accusa di “propaganda e istigazione controrivoluzionaria”. Così ho perso la tanto desiderata cattedra universitaria e, da allora, non ho mai più potuto pubblicare né parlare apertamente in Cina. Solo per aver espresso opinioni diverse da quelle ufficiali e aver partecipato a un movimento democratico pacifico, un professore è stato privato della sua cattedra, uno scrittore ha perso il diritto di pubblicare, un intellettuale impegnato la possibilità di esprimersi in pubblico. Questo è davvero triste sia per me sia per questa Cina che da più di trent’anni è entrata nel processo di riforma e apertura.
Dopo il 4 giugno, le mie uscite pubbliche sono tutte legate ai tribunali, poiché le uniche due occasioni di parlare di fronte a un uditorio mi sono state offerte dalle cause intentatemi dalla Corte intermedia del popolo di Pechino: la prima nel 1991 e la seconda adesso. In realtà, in entrambi i casi, sebbene le accuse mossemi siano formalmente diverse, sono stato imputato di un reato di opinione.

Sono passati 20 anni, ma le anime dei condannati senza colpa ancora non riposano in pace. Io, condotto sulla strada della dissidenza dalle passioni che hanno animato i moti di piazza del 1989, dopo essere stato scarcerato dalla prigione di Qincheng nel 1991 ho perso il diritto di portale in pubblico del mio Paese e ho dovuto farlo attraverso i media stranieri. Per questo motivo sono stato posto sotto sorveglianza per un lungo periodo di tempo, ristretto agli arresti domiciliari (dal maggio 1995 al gennaio 1996) e rieducato attraverso il lavoro (dall’ottobre 1996 all’ottobre 1999). Ora vengo nuovamente trascinato sul banco degli imputati a causa della “mentalità da nemico” del regime, ma ancora una volta voglio ribadire a chi mi priva della libertà che io rimango fedele ai principi che ho già espresso vent’anni fa nel Manifesto dello sciopero della fame del 2 giugno 1989: non ho nemici, né provo odio. Gli investigatori che mi hanno controllato, i poliziotti che mi hanno arrestato e interrogato, i pubblici ministeri che mi hanno processato e i giudici che mi hanno condannato non sono miei nemici. Anche se non posso accettare che mi abbiate inquisito, arrestato, processato e condannato, ho comunque rispetto della vostra professione e della vostra persona. Includo in questo elenco i miei due accusatori, i procuratori, Zhang Rongge e Pan Xueqing. Nel vostro interrogatorio del 3 dicembre ho sentito tutto il vostro rispetto e la vostra sincerità.

L’odio, che corrompe la coscienza e l’intelligenza dell’uomo, insieme con la “mentalità da nemico”, che avvelena lo spirito di una nazione, istigano alla lotta brutale in cui domina la regola mors tua vita mea, distruggono la tolleranza e l’umanità di una società, ostacolano il progresso di una nazione verso la libertà e la democrazia. Perciò, prescindendo dalle mie vicissitudini personali, spero di riuscire a focalizzare la mia attenzione sullo sviluppo della nazione e sul cambiamento sociale. Spero di riuscire a contrapporre all’ostilità del regime la mia massima benevolenza, e a dissolvere l’odio con l’amore.

Tutti sanno che lo sviluppo del Paese e le trasformazioni sociali sono frutti della politica di Riforma e apertura. A mio avviso, riforma e apertura sono iniziate quando si è smesso di esercitare il potere in base all’assioma della lotta di classe vigente in epoca maoista, e ci si è impegnati nella costruzione dell’armonia sociale e dello sviluppo economico. L’abbandono di quella “filosofia della lotta” ha anche comportato una graduale attenuazione della “mentalità da nemico” e la scomparsa della “psicologia dell’odio”. Proprio questo processo ha permesso di creare un’atmosfera favorevole alle riforme, sia in politica interna sia in politica estera; ha offerto un terreno proficuo alla coesistenza pacifica di interessi e valori diversi, e alla rinascita dell’amore fra le persone; e, infine, ha contribuito a far emergere con forza la creatività popolare e a far rinascere un sentimento di umanità. Si può dire che l’abbandono dell’ “antimperialismo” e dell’ “antirevisionismo”, in politica estera, e della “lotta di classe”, in quella interna, sono state le premesse che hanno consentito alle riforme di durare fino a oggi. Se l’economia va verso il mercato, la cultura tende al pluralismo e il Paese procede verso lo Stato di diritto, cioè la conseguenza dell’attenuazione della “mentalità da nemico”.
Anche in campo politico, sebbene il progresso sia estremamente lento, il crescente indebolimento di questo modo di pensare ha consentito al regime di essere sempre più indulgente verso il pluralismo sociale. La violenza della persecuzione dei dissidenti è sostanzialmente diminuita: oggi i movimenti del 1989 non sono più definiti “istigazioni alla ribellione” ma “incidenti politici”. Il regime, venuta meno questa mentalità, ha gradualmente accettato l’universalità dei diritti dell’uomo. La promessa del governo cinese, fatta nel 1998 davanti al mondo intero, di sottoscrivere le due convenzioni internazionali dei diritti umani formulate dalle Nazioni Unite ne è il segno. Nel 2004 l’Assemblea nazionale del popolo ha scritto per la prima volta nella Costituzione che “lo Stato rispetta e garantisce i diritti umani”, e ciò prova che i diritti dell’uomo sono diventati uno dei principi guida dello Stato di diritto cinese. Contemporaneamente, il regime attuale ha proposto formule politiche quali “porre l’uomo al centro” e “creare una società armoniosa”, simboli di come anche l’idea del governo del PCC si stia evolvendo.

Io stesso ho sperimentato i passi avanti fatti in questo campo nella mia esperienza personale dopo il mio ultimo arresto. Nell’anno e mezzo in cui sono stato privato della mia libertà, nonostante mi professi innocente e sostenga l’incostituzionalità dell’accusa che mi è stata mossa, ho conosciuto due luoghi di detenzione, quattro uffici di polizia, tre procuratori e due giudici che non mi hanno mai mancato di rispetto, non hanno mai superato i limiti né mi hanno estorto confessioni. La calma e la ragionevolezza del loro atteggiamento hanno spesso rivelato benevolenza. Il 23 giugno 2009 sono stato trasferito dal mio luogo di detenzione provvisoria al primo centro di detenzione dell’Ufficio di pubblica sicurezza di Pechino, noto come Beikan. Nei sei mesi che vi ho passato ho visto i progressi realizzati nella gestione delle carceri.
Ero già stato detenuto a Beikan (quando la sua sede era a Babu ciao) nel 1996 e sicuramente l’amministrazione del centro e le strutture odierne sono molto migliorate rispetto a quelle di una decina di anni fa. In particolare, la maggiore umanità nella gestione della nuova Beikan, basata sul rispetto della dignità e dei diritti dei detenuti, ha reso le guardie carcerarie più indulgenti in ogni loro azione e parola. Il giornale Huiwu (Pentimento), la Warm Radio e la musica trasmessa al risveglio, prima dei pasti e prima di andare a letto, sono un riflesso di tale cambiamento. Questo tipo di gestione trasmette ai detenuti un senso di dignità e di calore, li stimola a tenere in ordine le celle, a non considerare i carcerieri dei tiranni. Ha creato condizioni di vita più umane per i detenuti e ha notevolmente migliorato il loro comportamento e il loro modo di affrontare il processo. Io sono stato a stretto contatto con l’agente di custodia Liu Zheng, responsabile della mia cella. Ogni suo atto e ogni sua parola dimostrano rispetto e premura per i detenuti, ti fanno sentire bene. Conoscere l’onesto, sincero, coscienzioso e cortese agente Liu è stata la mia fortuna a Beikan.

Sulla scorta di queste convinzioni e della mia esperienza personale, sono convinto che in Cina il progresso politico non si arresterà e attendo con ottimismo l’arrivo di una futura Cina libera: nessuno può sconfiggere l’umano desiderio di libertà. La Cina diventerà una nazione dove i diritti dell’uomo hanno il massimo valore, e spero che ciò sia dimostrato già dalla sentenza di questo processo. Attendo il giudizio imparziale della corte - un giudizio che superi la prova della storia.

Se mi è consentito, vorrei dire che la mia più grande fortuna in questi vent’anni è stata quella di poter contate sull’amore incondizionato di mia moglie Liu Xia. Oggi tu non puoi essere qui, ma voglio dirti comunque, amore mio, che sono sicuro che il tuo sentimento per me non cambierà. In tutti questi anni in cui sono stato privato della libertà il nostro amore ha conosciuto l’amarezza imposta dalle circostanze esterne, ma quando ne assaporo il retrogusto sento che è un affetto sconfinato. Io sconto la mia pena in una prigione visibile, mentre tu attendi nella prigione invisibile del cuore. Il tuo amore è la luce che oltrepassa le alte mura del carcere, penetra attraverso le grate, accarezza ogni centimetro della mia pelle, riscalda ogni mia cellula, mi contente di mantenere la calma interiore, la nobiltà d’animo e la lucidità, riempie di senso ogni minuto che trascorro in prigione. Ma il mio amore per te è pieno di rimorsi e rimpianti che talvolta pesano tanto da far vacillare i miei passi. Io sono come una pietra nel deserto, sferzata da ogni genere di tempesta, gelida tanto che nessuno osa toccarla, ma il mio amore per te è solido, acuminato, capace di superare ogni ostacolo. Anche se fossi ridotto in polvere, ti abbraccerei comunque con le mie ceneri.

Mia cara, con il tuo amore posso affrontare con calma la sentenza di questo processo e, senza rimorsi per le mie scelte, aspetterò con ottimismo il domani. Spero che il mio Paese diventi una terra dove ci si possa esprimere liberamente; dove le opinioni di tutti i cittadini siano rispettate; dove valori, idee, posizioni politiche diverse possano confrontarsi tra loro e coesistere pacificamente; dove le opinioni della maggioranza e della minoranza siano garantite allo stesso modo, in particolare siano pienamente rispettate e difese le idee politiche diverse da quelle di coloro che detengono il potere; dove tutte le convinzioni politiche possano essere espresse alla luce del sole per essere giudicate dal popolo; dove ogni cittadino possa manifestare le sue idee politiche senza paura, e nessuno sia perseguitato per aver professato opinioni divergenti. Spero di essere l’ultima vittima delle interminabili inquisizioni letterarie cinesi e che, dopo di me, nessuno venga più incriminato per le sue parole.
La libertà di espressione è il fondamento dei diritti umani, la radice dell’umanità, la madre della verità; metterla al bando equivale a calpestare i diritti umani, a soffocare la dignità dell’uomo, a conculcare la verità.
Non c’è nulla di criminale nelle mie azioni e nei miei comportamenti. Io sono innocente, perché ho semplicemente esercitato il mio diritto costituzionale alla libertà d’espressione e ho fatto tutto il possibile per adempiere a quelli che sono i doveri di un cittadino cinese. Se mi si accusa per questo, non me ne dolgo.

Grazie.

Liu Xiaobo, Premio Nobel per la pace 2010

Analisi di

3 febbraio 2021

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